Rivista "IBC" XXIII, 2015, 1

biblioteche e archivi / linguaggi, media, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni

Nato dalla passione rigorosa di uno studioso, il sito "Dialetti romagnoli in rete" è diventato un luogo di scambio fruttuoso tra chi parla la lingua locale e chi la analizza.
Dialetti romagnoli punto it

Davide Pioggia
[glottologo, curatore del sito web "Dialetti romagnoli in rete"]

Una delle caratteristiche più vistose dei dialetti è la loro variabilità nello spazio e nel tempo. Ciò non sorprende, in quanto una lingua priva di una tradizione letteraria e di una grammatica codificata si trasforma più rapidamente e risulta meno omogenea di una lingua letteraria. E ogni dialetto ha alcuni aspetti in cui tale variabilità è maggiore. Infatti, intervistando diversi individui appartenenti alla medesima comunità linguistica, di solito si trova che essi condividono stabilmente solo una parte della fonetica, della morfologia, della sintassi e del lessico; a volte tale variabilità si manifesta anche nello stesso individuo.

Per esempio, se un dialetto si trova in una fase in cui sta semplificando la morfologia dei sostantivi e degli aggettivi maschili eliminando una certa alternanza vocalica, si troveranno alcuni parlanti che declinano sistematicamente esibendo quell'alternanza, altri che non declinano, o che declinano solo i nomi che si usano più spesso al plurale, altri ancora che oscillano fra declinazione e invarianza.

Questa variabilità può essere dovuta anche alla presenza di un confine linguistico: se il luogo si trova al confine fra un'area in cui quell'alternanza è conservata e un'altra in cui è stata abbandonata, non sorprende che lungo il confine si trovino oscillazioni fra un sistema e l'altro. Peraltro la variabilità geografica e quella temporale sono spesso correlate, e i confini linguistici non sono immobili.

Così, se si sta progressivamente allargando l'area in cui certi nomi maschili si lasciano invariati, un luogo che oggi si trova sul confine fra due o tre generazioni sarà stato definitivamente inglobato nell'area in cui si ha invarianza. Chi osservasse lo stesso fenomeno restando nel luogo in questione, confrontando interviste raccolte a distanza di qualche decennio, vedrebbe che quella fase di estrema variabilità risulta instabile, e tende a risolversi in un progressivo abbandono dell'alternanza.

Situazioni analoghe si producono anche per la variabilità fonologica dei dialetti romagnoli. Infatti, essendo questi ricchissimi di vocali accentate, la "gestione" di un tale inventario vocalico produce un incessante lavorio di trasformazione. In generale, nei centri urbani maggiori e lungo le principali vie di comunicazione, si ha una progressiva semplificazione, sicché due parole che in passato costituivano una coppia minima, evidenziando i tratti distintivi di una coppia di vocali, oggi possono essere omofone, a causa dell'avvenuta neutralizzazione dell'opposizione. E ovviamente, anche in questo caso, si avrà una fase di transizione, nella quale alcuni parlanti sentono e/o fanno sentire chiaramente l'opposizione, e altri no.


Da questi semplici esempi ci si può rendere conto di quanto sia importante, per la comprensione di ogni singolo dialetto, disporre di un "paesaggio linguistico" che sia quanto più ampio ed esauriente possibile. In altri termini, ogni singolo dialetto costituisce un dettaglio della visione di insieme che bisogna possedere per comprendere i singoli punti del paesaggio.

Stando così le cose, non sorprende che i linguisti che si occupano di dialetti finiscano puntualmente per confrontarsi con la necessità di disporre di una mappatura dei dialetti che si trovano in ampie regioni, anche su distanze di centinaia di chilometri. Tale necessità si è palesata anche a me, quando alcuni anni fa ho iniziato a studiare i dialetti della Romagna sudorientale: ogni volta che mi imbattevo in qualche fenomeno complesso, o fortemente variabile, si rendeva necessario allargare il paesaggio linguistico in cui collocare quel fenomeno.

Così, spostandomi ogni volta di qualche chilometro, mi sono ritrovato a raccogliere interviste in un territorio che va dalle Marche settentrionali al Po, e dal mare fino ai confini dell'area bolognese. Grande importanza ha avuto per me l'incontro con il glottologo bolognese Daniele Vitali, che prima di me aveva già raccolto decine di interviste, anche in Romagna, sicché abbiamo potuto unire le forze, le risorse e le competenze. Tale collaborazione ha prodotto, nel 2010, la pubblicazione del saggio Dialetti romagnoli (Verucchio, Pazzini Editore), in cui si analizzano, più o meno dettagliatamente, una trentina di dialetti romagnoli, e anche alcuni dialetti di regioni contigue.

Ora, questo lavoro sul territorio richiede spesso settimane, o addirittura mesi, di ricerca preliminare, per individuare gli informatori giusti. Poi, ovviamente, bisogna incontrare anche la disponibilità degli informatori, e per questo molti informatori li ho trovati fra gli appassionati dialettofili, che magari hanno scritto qualcosa in dialetto, o addirittura hanno pubblicato dei testi (si tratta spesso di raccolte di poesie, o monologhi teatrali).

Così, mentre portavo avanti il mio lavoro di "mappatura", ho avuto modo di conoscere un gran numero di autori di testi dialettali, e ho pensato che la registrazione della lettura di questi testi potesse essere fruibile per chiunque, non solo per il linguista che volesse farsi un'idea del paesaggio linguistico romagnolo, ma anche per la persona comune, desiderosa di (ri)ascoltare il proprio dialetto, o curiosa di sentire come cambiano i dialetti e le parlate spostandosi ogni volta di qualche chilometro. È nata quindi l'idea di realizzare il sito Dialetti romagnoli in rete ( www.dialettiromagnoli.it), che ha avuto più successo di quanto mi sarei atteso: negli ultimi mesi ha ricevuto mediamente circa duecento visite al giorno, e di questo passo credo che si supereranno le sessantamila visite annuali.

Ovviamente la qualità del materiale audio disponibile nel sito non ha i requisiti richiesti per le analisi acustiche più raffinate, che si ottengono per mezzo di macchine dedicate o di programmi specifici. Tali requisiti, infatti, imporrebbero agli utenti di scaricare file di dimensioni ingenti, con attese di diversi minuti anche per ascoltare la lettura dei testi più brevi. Tuttavia, nonostante questi limiti, ho scoperto con piacere che il materiale pubblicato è stato utile anche ad alcuni studiosi. In particolare è di aiuto a chi voglia farsi un'idea di massima sui dialetti romagnoli, limitandosi a un ascolto naturale ("a orecchio"), per poi approfondire eventualmente l'analisi di alcuni dialetti con la raccolta di interviste di qualità migliore.

Ma anche gli studiosi che utilizzano le macchine per l'analisi acustica possono ricavare molte informazioni dal materiale presente sul sito, nonostante la qualità sia ridotta. Per esempio, in occasione della presentazione dell'opera multimediale Friedrich Schürr's Recordings from Romagna (1914) (Vienna, VÖAW, 2014), tenutasi il 10 ottobre 2014 a Ravenna presso la Biblioteca Classense, Antonio Romano, dell'Università di Torino, ha svolto un intervento dal titolo Contributo allo studio acustico dei dittonghi romagnoli a cent'anni dalle inchieste di Schürr, in cui ha illustrato alcune caratteristiche generali dei dialetti romagnoli che emergono chiaramente già dall'analisi acustica del materiale audio scaricato dal sito Dialetti romagnoli in rete.


Il rapporto e la frequentazione con i parlanti non è importante solo per la raccolta delle interviste, ma anche per il confronto metalinguistico. In particolare alcuni parlanti dimostrano di avere un'eccellente sensibilità fonologica, e già durante l'intervista osservano, spontaneamente, che una certa vocale si distingue da un'altra per certi tratti. Ovviamente il linguista deve avere la massima cautela ad accogliere queste annotazioni metalinguistiche dei parlanti, perché molti non sono consapevoli di certe opposizioni o, viceversa, credono di cogliere delle opposizioni anche in coppie di omofoni. Ma in alcuni casi la percezione dei parlanti mostra inequivocabilmente di avere delle basi oggettive.

Supponiamo, per esempio, di avere individuato una certa coppia minima, e di essere in presenza di un gruppo di parlanti. Possiamo preparare alcuni biglietti in cui abbiamo scritto, casualmente, uno o l'altro dei due elementi della coppia minima, dopodiché li distribuiamo ad alcuni parlanti e chiediamo loro di leggere la parola corrispondente nel proprio dialetto, senza pronunciare la parola in italiano, né qualche altro elemento che possa rendere riconoscibile la parola dal contesto. Ebbene, se tutti gli altri presenti riconoscono ogni volta con certezza la parola che è stata pronunciata, siamo certi di essere in presenza di una opposizione, anche se magari non abbiamo ancora sviluppato la sensibilità necessaria per cogliere certi tratti distintivi con la stessa affidabilità con cui li colgono i parlanti. Inoltre, in simili circostanze, molti parlanti hanno l'opportunità di acquisire una chiara consapevolezza delle caratteristiche fonologiche del proprio dialetto, e mi è capitato spesso di sentir esclamare: "È vero, non ci avevo mai fatto caso!".

Anche quando si sia studiato a lungo un certo dialetto, si sia fatta un'accurata analisi fonologica, e si sia verificato più e più volte l'inventario fonologico, la possibilità di confrontarsi metalinguisticamente con un gruppo consistente di parlanti è sempre utile. Infatti si può verificare che certe opposizioni sono effettivamente chiare a tutti e che certe altre mettono più in difficoltà alcuni parlanti, poi si può valutare meglio la distribuzione statistica di certe parlate all'interno di quella comunità, oppure si può valutare quale sia la percezione di certi tratti distintivi da parte dei parlanti, perché il fatto che un parlante sappia distinguere due fonemi non implica necessariamente che egli abbia una percezione consapevole e oggettiva dei tratti distintivi.


Per tutte queste ragioni considero l'incontro con il pubblico un momento importante del mio lavoro, un appuntamento ricco di opportunità. Si pone allora il problema di riuscire a coinvolgere questo pubblico, attirando l'interesse delle persone comuni sull'attività dei linguisti, che molti ritengono troppo specialistica per essere fruibile al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori.

Anche recentemente ho raccolto questa sfida, proponendo alla Biblioteca Gambalunga di Rimini un ciclo di lezioni sul dialetto riminese, aperto a tutti. L'intenzione era quella di trovare un taglio "divulgativo", che fosse accessibile alla persona di cultura media e/o generica, e che allo stesso tempo affrontasse i problemi essenziali della linguistica, introducendo gli strumenti concettuali di questa disciplina. Nonostante lo scetticismo di alcuni, ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno creduto nel progetto, esponendosi anche in prima persona per realizzarlo. In particolare desidero ricordare e ringraziare Paola Delbianco della Biblioteca Gambalunga e Fabio Bruschi. Quest'ultimo è l'ideatore di "Lingue di confine", un progetto organizzato dall'Assessorato alla cultura del Comune di Rimini e giunto ora alla seconda edizione.

Il progetto ha un carattere composito: si va dalla rappresentazione teatrale alla didattica, che quest'anno ha coinciso appunto con le mie lezioni. E siccome il problema da affrontare consisteva nel mettere a punto una grafia adeguata per il riminese, il ciclo di lezioni si è chiamato "Grafie di confine". Gli incontri si sono tenuti nella splendida Sala del Settecento della Biblioteca, con l'inaspettata partecipazione media di una sessantina di persone; tanto che a richiesta si sono aggiunte due lezioni alle quattro originariamente programmate. Inoltre, alla fine del ciclo, si sono raccolte una trentina di adesioni per costituire, presso la Biblioteca, un gruppo di approfondimento. Considerato che le lezioni avevano titoli "impegnativi", come Problemi ed elementi di fonologia, il risultato ottenuto è andato ben oltre le aspettative.

 

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