Rivista "IBC" XXIII, 2015, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, pubblicazioni

Come si fa un erbario nell'epoca della fotografia digitale? E come si faceva in antico, quando le piante si disegnavano a mano? Note a margine di un libro che mostra in tutta la sua bellezza la flora spontanea dell'Emilia-Romagna.
Da Dioscoride al web

Alessandro Alessandrini
[IBC]

L'Istituto regionale per i beni culturali ha pubblicato il volume "Erbario. Flora spontanea dell'Emilia-Romagna", che propone una straordinaria documentazione fotografica delle specie vegetali presenti sul territorio. Le immagini, realizzate da un'équipe di autori diversi (Alessandro Alessandrini, Luciano Bersani, Patrizia Ferrari, Nicola Merloni, Sergio Picollo), provengono dalla parte occidentale della regione, dall'area centrale, dalla Romagna: appartengono a specie rare, tipiche di contesti ambientali molto specializzati, ma anche a specie comunissime, altrettanto degne di attenzione. La parola al curatore, che racconta come nasceva un erbario in epoca antica, e come nasce oggi.


La botanica è nata dalla concreta necessità di saper distinguere le piante: per esempio, quelle utili per l'alimentazione o per la salute, per tingere i tessuti o per conciare le pelli; oppure da quali alberi ricavare materiale per costruire ricoveri solidi o come evitare le specie pericolose perché tossiche. La conoscenza delle piante è dunque una scienza antichissima e affonda le sue radici nella più lontana preistoria umana.

Per trovare i primi esempi di catalogazione di piante con apparato iconografico occorre però riferirsi ai codici cosiddetti "dioscoridei", derivati cioè dall'opera di Dioscoride Pedanio, medico greco del I secolo, autore del De Materia Medica, un testo che viene considerato fondativo per la nascita della medicina e della farmacia. La botanica nasce quindi non tanto come studio delle piante "in sé", ma come scienza ancillare della medicina; le piante infatti venivano trattate in quanto materia prima per la preparazione di farmaci.

Per facilitare il riconoscimento e la trasmissione della conoscenza i codici dioscoridei sono illustrati con modalità piuttosto primitive, ma assai efficaci, tanto che è ancora possibile riconoscere la maggior parte delle piante illustrate. Vengono messi in chiara evidenza i caratteri più immediati: a volte la forma delle foglie o delle infiorescenze, la spinosità o la forma delle corolle.

Occorre anche tener presente che il numero di piante oggetto di interesse è esiguo, dell'ordine di poche decine di specie. Tuttavia il rischio di confondere le piante utili in quanto terapeutiche da quelle simili ma inefficaci, se non addirittura dannose, è elevatissimo, tanto che uno degli argomenti che più spesso viene sollevato è proprio quello del rischio di errori o di frodi.

La scienza medica si confonde poi con la magia o la superstizione, per cui vengono messi a punto medicamenti misteriosi e di formula segreta che avrebbero dovuto risolvere ogni malanno, primo tra tutti ilMorbus Gallicus. Grande fama ha conquistato nei secoli la "Teriaca", medicamento di cui ognuno affermava di detenere la vera e più efficace formula di preparazione.

La coltivazione di piante con proprietà terapeutiche di sicura identità è peraltro uno dei motivi per cui vengono fondati gli "orti botanici" come luogo di produzione sia di materiali per la didattica (la cosiddetta "ostensione"), sia per la preparazione di farmaci a partire dai componenti elementari, i cosiddetti "semplici".

Questo breve excursus ci serve per giungere al momento cruciale di svolta, costituito dall'invenzione della stampa. Dalle illustrazioni vergate una a una, da amanuensi e scrivani, si passa infatti a matrici su legno che permettono la pubblicazione in più copie sostanzialmente identiche delle illustrazioni oltre che, naturalmente, dei testi. Il De Materia Medica conosce allora una nuova vita e viene edito in numerosissime versioni a stampa, nelle quali, oltre alla trascrizione più o meno fedele dei testi, i diversi autori polemizzano tra loro, ciascuno rivendicando a sé l'"autentica" identificazione delle piante trattate da Dioscoride e sbeffeggiando coloro che invece le identificavano con specie più o meno simili, ma in realtà diverse.

Anche le illustrazioni risentono delle vicende alterne di questo periodo; accanto a piante ben riconoscibili ne vengono tratteggiate altre invece poco chiare e che risultano impossibili o assai ardue da riconoscere. Non è corretto esprimere giudizi sul passato con gli assai più smaliziati occhi di oggi, ma va precisato che non di rado le piante da rappresentare erano effettivamente difficili, facilmente confondibili e per distinguerle sarebbe stata necessaria un'analisi e una forma mentis che in quel periodo erano impensabili. Mancava poi la consapevolezza di quando fosse importante osservare direttamente le piante da raffigurare; spesso le immagini derivavano da altre immagini, perdendo di freschezza e di dettagli man mano che passavano da un'incisione all'altra.

Alcune opere tuttavia sono considerate cardinali in quanto puntano proprio sulla qualità delle illustrazioni e grazie a ciò hanno esercitato un'influenza ampia e duratura. Si tratta del Kräuterbuch (Libro delle Erbe, o Erbario) di quel Leonhart Fuchs che nei paesi di lingua germanica fa parte dei Vätern der Botanik, i "Padri della Botanica", e ancor di più del Dioscoride (dapprima Commentarii e poi Discorsi) di Pietro Antonio Mattioli (si veda per esempio l'edizione Valgrisi con le tavole di grande formato "tirate dalle naturali & vive"; Mattioli, 1581).

Nonostante le notevoli differenze di stile e di ambito culturale, uno luterano e l'altro cattolico (siamo all'epoca del Concilio di Trento), Fuchs e Mattioli realizzano entrambi opere che costituiscono una svolta fondamentale sia per la qualità artistica delle immagini, sia perché la trattazione non solo riprende la tradizione, ma deriva dalla visione diretta "autoptica" delle piante di cui si parla. La pianta viene cioè osservata nel corso di apposite "escursioni" e coltivata in orto in modo da poterla seguire in tutte le fasi stagionali.

Sia Fuchs che Mattioli erano in stretto rapporto ciascuno con una propria rete di colleghi e collaboratori. Nel caso di Mattioli è di fondamentale importanza la sua amicizia con Ulisse Aldrovandi (1522-1605), bolognese, naturalista curioso di tutte le "produzioni naturali" che raccolse materiali che poi andarono a costituire un museo tuttora presente in Palazzo Poggi a Bologna. Aldrovandi produsse poi un erbario figurato (Hortus pictus) in numerosi volumi dove sono raccolte diverse centinaia di acquarelli di grande qualità, destinati nelle intenzioni dell'autore a diventare la base per le incisioni su legno da usare nella stampa.

Restando al tema dell'illustrazione botanica, questi acquarelli sono testimonianza della grande perizia artistica cui erano giunti i disegnatori dell'epoca e anche della grande importanza che veniva riconosciuta alle illustrazioni quale corredo alla descrizione degli esseri viventi. Nello stesso periodo nascono anche gli erbari veri e propri, cioè le raccolte ordinate di campioni essiccati di piante: Luca Ghini ne è considerato l'ideatore. Tra i suoi allievi ricordiamo Andrea Cesalpino, Gherardo Cibo e lo stesso Aldrovandi, il cui erbario, uno degli esempi più antichi noti al mondo, è anch'esso conservato a Bologna.

L'esame dell'opera botanica di Aldrovandi rende evidente il salto di percezione del mondo vivente che informa soprattutto il suo Hortus Pictus. La diversità dei vegetali viene osservata e analizzata in tutte le sue componenti, non più e non solo come fornitrice di alimento o di guarigione. Le tavole che raffigurano vegetali di importanza farmaceutica o frutti, ortaggi e cereali sono numerose e assai accurate; tra queste, alcune rappresentano anche le diverse varietà coltivate in quel tempo. Accanto a questi soggetti che appartengono alla tradizione post-dioscoridea compaiono decine di altre piante: per esempio moltissime acquatiche o numerose ombrellifere o semplicemente piante che avevano attirato la curiositas del naturalista. Piante che rappresentavano il bottino delle sue escursioni, come già accennato, ma anche spedite da corrispondenti (molte da Candia, come allora era chiamata Creta) o in alcuni casi dal continente americano, da cui cominciano a pervenire nel Vecchio Mondo piante che stupiscono per la loro bellezza e che ben presto si riveleranno di grande importanza per l'alimentazione o per la farmacopea.

La confusione nomenclaturale che regna nelle opere di questo periodo verrà superata solo parecchi decenni dopo grazie all'opera di Linneo e grazie al principio della "priorità cronologica", ovvero a quella regola che stabilisce che il primo nome assegnato a un'entità è quello valido.

Dell'erbario, ossia della collezione ordinata di esemplari vegetali essiccati, Linneo dirà, nella sua Philosophia Botanica (1751): "Herbarium praestat omni Icone, necessarium omni Botanico" (l'erbario è in tutto migliore di ogni iconografia, ed è del tutto necessario al botanico), lasciando trasparire un giudizio non del tutto favorevole rispetto all'illustrazione, che comunque porta con sé un divario incolmabile con quanto viene rappresentato e, secondo Linneo, non è in grado di sostituire il campione essiccato. Ciò che oggi appare scontato, e del tutto superato dal dibattito scientifico e dalle sue conseguenze pratiche, costituiva invece al tempo un argomento per opinione diverse a volte diametralmente. Va comunque sottolineato che il campione essiccato e l'illustrazione svolgono ciascuno funzioni importanti e insostituibili.

L'illustrazione, ovvero la rappresentazione figurata, era considerata una forma minore della pianta essiccata che a sua volta, e necessariamente, non coincide con l'esemplare vivente e inserito nel suo ambiente. Più in generale, era comunque la descrizione letteraria che rappresentava la summa della perizia del botanico e quindi gran parte dell'attività dei botanici del tempo si esplicò nella creazione di un lessico sempre più preciso e di regole da seguire nella descrizione di un vegetale (su questo restano magistrali le pagine della stessa Philosophia Botanica).

Il patrimonio lessicale e metodologico fissato in quei decenni, lungi dall'essere superato, costituisce ancora oggi una base imprescindibile, un linguaggio comune, che deve essere compreso e padroneggiato da chi si occupa di piante.

Linneo sottolinea nella stessa sede che l'immagine è "artificio inusitato presso gli antichi"; tuttavia di fatto ne riconosce l'importanza se egli ne analizza la funzione conoscitiva in rapporto con il processo di stampa, in base alla tecnica, alla diffusione e alla qualità delle figure.

Ma grazie a questo enorme sforzo di razionalizzazione nasce una visione del tutto nuova dell'organismo vegetale, che è visto sia come unitario che come insieme di parti, ciascuna delle quali ha sue caratteristiche anatomiche, morfologiche e presenta rapporti dimensionali stabili e quantificabili con le parti adiacenti. Nella descrizione degli organismi vegetali dovranno essere seguite regole fisse: dare una descrizione generale, cui segue una descrizione partendo dal basso verso l'alto: radice, fusto, rami, foglie, fiori, frutti; in particolare andranno analizzati il tomento, le stipole, le brattee; Linneo si dilunga con metodo analitico e stile asciutto sulle caratteristiche della descrizione letteraria (che deve essere, tra l'altro, completa ma non troppo lunga).

Leggendo queste poche pagine, si resta colpiti dal fatto che le regole per una corretta descrizione, man mano che si svolgono, mirano evidentemente a creare un'immagine mentale della pianta; possono quindi servire anche come base per il lavoro di un disegnatore botanico, il quale seguendo le stesse regole potrà delineare un'immagine completa di tutti i particolari necessari (e sufficienti) a raffigurare efficacemente la pianta e fornire gli elementi utili a distinguerla da specie simili con le quali potrebbe essere confusa.

Nasce dalla codificazione una modalità nuova per la creazione di immagini botaniche; accanto alla figura intera della pianta, verranno collocati tutti quei particolari anatomici, siano essi il fiore o una sua parte, la foglia, la radice, la forma e la densità dei peli: insomma, tutto ciò che caratterizza quell'organismo e lo distingue da tutti gli altri. Quella raffigurazione deriva da uno o più soggetti concreti, ma mira alla rappresentazione generale di una certa entità sistematica (specie, sottospecie, varietà) a cui va associato univocamente uno specifico nome.


La fotografia e la botanica

L'immagine fotografica è stata usata fin dai suoi inizi per la rappresentazione di organismi vegetali. Uno dei primi esempi di "immagine fotogenica" realizzati da Henry Fox-Talbot è costituito proprio dal cosiddetto "Album Bertoloni", dove sono state riprodotte su carta fotosensibile piante che gli furono inviate dal grande botanico.

Non esiste una filosofia generale dell'uso della fotografia nelle scienze naturali, o della botanica in particolare, come potrebbe essere quella che prende forma dalla Philosophia botanica di Linneo. Ma di una tale filosofia non si ravvisa la necessità, poiché l'uso della fotografia rappresenta un'evoluzione di quanto già consolidato nei secoli precedenti sull'uso e sul ruolo delle illustrazioni come ausilio alla descrizione e al riconoscimento delle piante.

La fotografia non è peraltro un mezzo (o un insieme di mezzi) alternativo al disegno; la rappresentazione fotografica può essere integrata con quella pittorica o viceversa, utilizzando al meglio le diverse possibilità tecniche e scegliendo ciascuna per le proprie specifiche possibilità. Per esempio, la collocazione nell'ambiente dell'organismo vegetale può essere risolta in termini fotografici con l'uso di focali grandangolari in condizioni di luminosità elevata (o con tempi di posa lunghi) e con diaframmi chiusi per aumentare la profondità di campo. Si ottengono così immagini di potente contenuto informativo, con tutti i piani a fuoco e la specie che si vuole illustrare collocata nel suo habitat: prato, bosco, roccia, spiaggia e così via.

Se invece si desidera enfatizzare il soggetto lasciando sfocato lo sfondo, si lavorerà con focali lunghe, tenendosi lontano dal soggetto e con diaframma aperto, curando ovviamente con grande attenzione la messa a fuoco. Con queste modalità si ottengono effetti di grande gradevolezza estetica, anche grazie a quello che viene indicato nel gergo fotografico come bokeh (fondo sfocato) e che attualmente è molto apprezzato.

Del tutto diversa è invece la "macrofotografia", che permette di avvicinarsi al soggetto fin quasi a toccarlo, in modo da poter registrare particolari di dimensioni millimetriche o submillimetriche, grazie all'uso di ottiche specifiche, fino al rapporto 1:1 in fase di ripresa e oltre in fase di stampa o di uso in ambiente digitale.

Le ottiche possono essere adattate o potenziate con tubi di prolunga, soffietti, lenti addizionali, in modo da ottenere già in fase di ripresa rapporti dimensionali tra l'oggetto e la sua rappresentazione su pellicola o supporto digitale, riuscendo a "catturare" particolari di ordine decimillimetrico, pur senza avventurarsi nel campo dell'immagine da microscopio.

Grazie alla combinazione di immagini diverse è possibile ottenere un mosaico, in cui ciascuna delle immagini illustra un aspetto della pianta, con esiti comunicativi e didattici di grande efficacia.

I problemi con cui si confronta il fotografo sono essenzialmente gli stessi del disegnatore; si deve cioè interrogare su ciò che intende fare, come e perché. La maggiore praticità della fotografia rende possibili però alcune modalità che le sono proprie, come la facilità di effettuare scatti diversi e in tempi brevi se la ripresa non fosse soddisfacente. La conoscenza della pianta e delle sue caratteristiche peculiari è condizione che migliora sensibilmente la qualità del risultato; possono quindi essere scattate immagini relative all'habitus generale e di particolari utili per distinguerla rispetto a piante affini o comunque simili.

Inoltre, se corredata dei dati essenziali, la fotografia diventa anche documentazione obiettiva di un rinvenimento e può sostituire il campione d'erbario. Rispetto per esempio al campione essiccato, per esempio, l'immagine fotografica la capacità di mantenere i colori nel tempo e di rendere bene l'impressione della tridimensionalità, soprattutto laddove questi aspetti sono decisivi per il riconoscimento. Si pensi, tra tutte, alle Orchidaceae, ma anche a molte Fabaceae o Scrophulariaceae, o al genere Orobanche.

La pubblicistica che adotta un apparato fotografico come strumento per il riconoscimento è ormai molto ampia. L'immagine fotografica, e in particolare quella a colori, presenta indubbi vantaggi pratici rispetto a quella disegnata o dipinta. Tuttavia uno svantaggio notevole deriva dalla necessità di stampare i volumi su carta pesante, sia per la miglior resa tecnica, sia per evitare che il colore traspaia: i volumi diventano pesanti e quindi poco comodi per essere trasportati in escursioni a piedi.

Infine un campo del tutto innovativo e in rapidissimo sviluppo è quello dell'immagine digitale e del suo utilizzo nel web. Sono ormai numerosi i casi di forum dedicati allo studio della flora nei quali vengono proposte anche gallerie fotografiche relative a migliaia di specie, frutto del lavoro disinteressato degli aderenti. Tra queste, l'esempio forse più noto è quello di Acta Plantarum, dove a tutt'oggi sono illustrate oltre 5.600 specie della flora italiana, con un patrimonio liberamente consultabile di oltre 70.000 immagini. In forum come questi, le immagini fotografiche possono essere proposte come mezzo per l'identificazione di una pianta non nota, sottoponendo il caso agli altri iscritti; ovviamente, nel caso di piante "difficili", è necessario documentare particolari specifici o corredare l'immagine con unità di misura per poter apprezzare le dimensioni delle diverse parti.

Qualche cenno, infine, sull'utilizzo della fotografia per ritrarre campioni d'erbario. Come è noto, i campioni sono conservati in appositi locali e costituiscono documentazione di rinvenimento o in alcuni casi sono il "typus" di un'entità sistematica, ovvero la base della descrizione che fa fede per qualsiasi confronto e analisi critica. Un campione viene dapprima preparato ed essiccato; poi viene montato su un supporto cartaceo sul quale è apposta un'etichetta che contiene dati identificativi, località e data di raccolta, autore della raccolta e dell'identificazione ed eventuali note di qualsiasi contenuto.

La fotografia del foglio d'erbario può essere utile per conservare al meglio le caratteristiche del campione, che a volte riveste anche una grande importanza storico-culturale; la consultazione della fotografia limita la manipolazione fisica ai casi di effettiva necessità; possono essere costituiti archivi iconografici anche da pubblicare nel web; vengono facilitati gli scambi di informazioni tra istituzioni e studiosi. La ripresa fotografica deve quindi rispettare alcune regole che garantiscano la massima corrispondenza possibile tra foto e soggetto. Saranno dunque curati il parallelismo grazie all'uso di stativi, l'illuminazione e la taratura del bianco tali da garantire il rispetto dei colori; saranno appoggiati al foglio d'erbario anche un'unità di misura di lunghezza adeguata e una scala cromatica.

 

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