Rivista "IBC" XIV, 2006, 2
territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni
Errata corrige: nel n. 1-2006 di "IBC" (in versione cartacea) l'articolo intitolato Ville: una nuova stagione, scritto da Alessandro Alessandrini, Piero Orlandi e Franco Siligardi, è stato attribuito, per un errore della redazione, al solo Alessandrini. Ce ne scusiamo con gli autori.
L'invasione di specie esotiche rappresenta una delle minacce maggiori alla biodiversità, seconda solo alla distruzione di habitat. Con questa frase drammatica inizia un quaderno della serie "LIFE Focus" intitolato Alien species and nature conservation in the EU.1 Dall'invasione può nascere una serie di eventi che influenza radicalmente non solo il patrimonio biologico ed ecologico, ma anche la stessa struttura sociale ed economica. È emblematico, a livello planetario, il caso del Persico del Nilo, che, introdotto nel Lago Vittoria, ha dato l'avvio a un processo di estinzione a catena delle specie endemiche del lago, che un tempo fornivano alimento alle popolazioni locali. Poiché le carni vengono affumicate, i territori circostanti sono stati deforestati per ricavare legna da ardere. Il caso del Lago Vittoria è solo quello più ampiamente noto, ma il problema è generale e generalizzato, ormai interessa tutto il nostro pianeta ed è di particolare gravità per le aree più ricche di endemismi. Il continente australiano è forse quello che in modo più grave ed esteso ha subìto gli effetti delle invasioni biologiche; ma anche l'Europa conosce bene la questione.
Spesso si parla di specie animali, ma problemi gravi si creano anche in seguito a invasioni di specie vegetali. Un termine molto efficace, anche se non strettamente scientifico, per definire gli organismi che al di fuori dei loro territori d'origine divengono invasivi e fonte di problemi è "peste", a indicare l'analogia con le epidemie e riecheggiando antiche e mai sopite paure. Soprattutto le piante di ambiente acquatico sono in grado di invadere canali e superfici lacustri, a volte nel giro di poche settimane. Ma ben noti sono i casi della Robinia e dell'Ailanto, per rimanere nella nostra regione, o dei Carpobrotus, che colonizzano le dune e gli ambienti rocciosi in ambiente mediterraneo costituendo un tappeto inestricabile e sottraendo spazio alle cenosi spontanee.
Alcune piante sono state introdotte per produrre alimenti, fibre tessili, legname pregiato, sostanze utili in medicina; o sono piante apprezzate per la loro bellezza. Per gran parte le piante coltivate non sono in grado di vivere al di fuori dell'ambiente agrario, se non per brevi periodi e sempre nei dintorni del luogo di coltivazione. In alcuni casi tuttavia qualcosa sfugge, ma per stabilire se effettivamente la specie sfuggita forma popolazioni stabili e relativamente durevoli nel tempo, e per capire se essa compie l'intero ciclo biologico in ambiente aperto, occorrono osservazioni ripetute e attente.
Tra le piante coltivate, che spesso non sono ceppi selvatici, ma varietà selezionate, alcune possono inselvatichire, a volte recuperando caratteri simili alle popolazioni selvatiche: si tratta delle cosiddette "ferali"; queste sono alloctone in origine, ma le stirpi che divengono spontanee si sono generate nel nostro territorio.
Un problema del tutto diverso è rappresentato dalle "archeofite": questo termine indica le specie alloctone originarie del Vecchio mondo, giunte sul nostro territorio spesso al seguito di piante coltivate. Le archeofite più note e tipiche sono le commensali dei campi di cereali, come i Papaveri, il Fiordaliso, l'Erba-consolida, le Adonidi, il Gittaione. Con l'uso di diserbanti selettivi le archeofite sono divenute spesso rarissime o addirittura sono scomparse da ampi territori. In alcuni paesi (come l'Olanda), con i fondi dei regolamenti applicativi della politica agricola comunitaria, sono finanziate azioni per la loro protezione attiva, soprattutto in aree protette o per rafforzare i corridoi ecologici della rete ecologica nazionale o locale.
Sul tema delle esotiche e del loro impatto sulla flora italiana è stato avviato un progetto finanziato dalla Direzione per la protezione della natura del Ministero dell'ambiente, progetto in corso di svolgimento da parte del Centro interuniversitario "Biodiversità, fitosociologia ed ecologia del paesaggio" e del Gruppo di lavoro di Floristica della Società botanica italiana. L'Istituto per i beni culturali (IBC) è stato coinvolto come coordinatore del progetto per la Regione Emilia-Romagna; è stato quindi costituito un gruppo di lavoro, del quale fanno parte per ora Giacomo Bracchi (Piacenza e Museo civico di storia naturale di Milano), Filippo Piccoli e Mauro Pellizzari (Università di Ferrara), Nicola Merloni (Cervia), Alessandro Alessandrini (IBC), tutti esperti conoscitori della flora regionale e in particolare della flora esotica.
Un incontro di lavoro si è tenuto all'Orto botanico di Roma il 23 e 24 marzo 2006. Sono state presentate alcune relazioni generali, e ciascuna Regione ha presentato lo stato delle conoscenze sul tema, a partire dagli elenchi già presenti nella Checklist della Flora italiana (di cui s'è parlato nel n. 1/2006 di "IBC"), elenchi che sono stati integrati, corretti e aggiornati. L'argomento è infatti in rapidissima evoluzione e nuove scoperte si succedono con ritmi accelerati.
Un primo obiettivo del progetto consiste nello stilare una lista nazionale di piante alloctone. Per chi non si occupa del tema può apparire facile stabilire se una specie è alloctona,2 o autoctona, ma non sempre è così. Occorre infatti valutare molti aspetti, per i quali spesso non si hanno dati sufficienti. Alcuni esempi già presentati possono essere utili al lettore per conoscere qualcuno dei problemi che si incontrano. È stato svolto molto lavoro per mettere a punto la lista nazionale delle piante esotiche; grazie al fatto che si sono ritrovati nello stesso luogo i migliori esperti di flora, sia nazionale che regionale, questo importante obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto, grazie anche all'efficace coordinamento di Laura Celesti dell'Università di Roma "La Sapienza"; come si è già accennato, non sempre le opinioni degli esperti sono concordi e quindi queste occasioni per mettere a punto una visione condivisa sono di fondamentale importanza metodologica.
Qualche notizia è opportuna sulla situazione dell'Emilia-Romagna, che per le sue caratteristiche geografiche e territoriali offre ampie possibilità di insediamento per piante esotiche. Tra le caratteristiche del suo territorio almeno due sembrano infatti giocare un ruolo decisivo per l'ingresso e la diffusione di flora esotica: circa metà di questo territorio è costituita dalla pianura alluvionale del Po e dei suoi affluenti; è una regione di passaggio tra l'Italia settentrionale e quella peninsulare. L'attività agricola è molto estesa e intensa; sono presenti grandi conurbazioni in rapida estensione e trasformazione e potenti corridoi di collegamento, sia naturali, come i fiumi (e tra questi il Po e i litorali marini sabbiosi), sia artificiali, come strade e ferrovie. L'impatto complessivo della presenza e delle attività umane è molto elevato e in crescita.
Un primo dato qualitativo è che nei lavori più recenti le "novità" segnalate per la flora dell'Emilia-Romagna sono assai spesso costituite da piante esotiche, chiaro indizio che il tasso di specie esotiche nella flora regionale è senz'altro in crescita. Attualmente possiamo parlare di un pool di esotiche che si aggira intorno alle 450 specie complessive; escludendo le "casuali", il numero si aggira intorno alle 280.
Grazie al progetto potranno essere migliorate le conoscenze su questo tema, con la compilazione di una lista aggiornata e criticamente analizzata delle piante esotiche note e documentate, sia nel passato che attualmente. Alcuni temi da sviluppare in specifico: le aree fluviali (quella del Po in primis), le aree ferroviarie e industriali, le aree di cantiere delle grandi opere infrastrutturali (alta velocità ferroviaria, variante di valico); un tema preoccupante, infine, riguarda l'impatto sulla flora spontanea di alcune piante molto aggressive, che costituiscono un'ulteriore minaccia verso habitat già a rischio, come i litorali sabbiosi, le zone umide e gli ambienti fluviali.
Terminologia
Di seguito si propone la terminologia raccomandata nell'ecologia delle invasioni vegetali (tratta da: D. M. Richardson et alii, Naturalization and invasion of alien plants: concepts and definitions, "Diversity and Distribution", 2000, 6, pp. 93-107, lievemente modificato).3
Piante aliene (sinonimi: piante esotiche, non-native, non-indigene, xenofite)
Entità vegetali la cui presenza in una certa area è dovuta all'introduzione intenzionale o accidentale, come un risultato dell'attività umana.
Piante aliene casuali
Piante aliene che possono propagarsi e persino riprodursi occasionalmente in un'area, ma che non formano popolazioni autosostituenti, e che dipendono da introduzioni ripetute (il termine include entità denominate in letteratura come "effimere", "transeunti", "occasionali" e "persistenti dopo la coltivazione").
Piante naturalizzate
Aliene che si riproducono regolarmente e formano popolazioni che si sostengono autonomamente per numerosi cicli vitali successivi senza (o nonostante) intervento umano diretto; spesso si diffondono liberamente, di solito nei pressi di piante adulte, e non necessariamente invadono ecosistemi naturali, seminaturali o di origine umana.
Piante invasive
Naturalizzate che producono discendenza, e spesso in quantità molto elevata, a distanza considerevole dai genitori (scala approssimativa: oltre 100 metri / entro 50 anni, per piante che si diffondono per semi e altri propaguli; oltre 6 metri / entro 3 anni, per piante che si diffondono per radici, rizomi, stoloni, o fusti striscianti), e quindi possiedono il potenziale per diffondersi su un'estensione notevole.
Malerbe (sinonimi: piante infestanti, piante nocive, piante problematiche, pesti)
Piante (non necessariamente aliene) che crescono in luoghi dove non sono volute e che di solito producono sensibili effetti economici o ambientali. "Infestanti ambientali" sono piante aliene che invadono la vegetazione naturale, di solito danneggiando la biodiversità nativa e/o il funzionamento degli ecosistemi.
Trasformatrici
Un sottoinsieme di invasive che modificano il carattere, le condizioni, la forma o la natura di ecosistemi per un'area sostanziale rispetto all'estensione di quell'ecosistema. Esempi: utilizzatori eccessivi di risorse come acqua o luce; luce e ossigeno (in ambienti acquatici); che cedono risorse limitate come l'azoto; che facilitano o ostacolano il fuoco; che stabilizzano le sabbie; che accumulano e ridistribuiscono sali; ecc.
Approfondimenti in rete
Sono centinaia i siti nel web che trattano l'argomento, tanto che una rassegna richiederebbe molte pagine. Forniamo qui due utili punti di partenza:
● nel sito della Convention on Biological Diversity (CBD): www.biodiv.org/programmes/cross-c utting/alien/default.aspx;
● la World Conservation Union (IUCN) ha al suo interno un gruppo di specialisti sulle specie invasive: www.issg.org.
Note
(1) Il quaderno può essere scaricato dal sito dedicato al Programma LIFE: europa.eu.int/comm/environ ment/life/infoproducts/alienspecies_en.pdf.
(2) Altri termini usati e praticamente sinonimi di "alloctona": "esotica", "aliena", "xenofita", ecc.
(3) web.uct.ac.za/depts/ipc/pdf/richard/rich09.pdf.
Azioni sul documento