Rivista "IBC" XX, 2012, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / itinerari, progetti e realizzazioni

Le conoscenze sugli usi tradizionali delle piante rischiano l'oblio. Per salvarle, un gruppo di ricercatori ha esplorato l'area di Suviana, nell'Appennino bolognese.
Antichi saperi sotto il cielo

Piero Bruschi
[Dipartimento di biotecnologie agrarie, Università di Firenze]
Maria Teresa Egea Molines
[Dipartimento di biotecnologie agrarie, Università di Firenze]
Luca Ongaro
[GISMAP, Firenze]
Maria Adele Signorini
[Dipartimento di biotecnologie agrarie, Università di Firenze]

L'importanza delle conoscenze sugli usi tradizionali delle piante, o conoscenze "etnobotaniche" (piante medicinali, alimentari, artigianali...), non è solo nel fatto che sono un'espressione del rapporto tra comunità umane e ambiente in cui queste vivono; come tutti i saperi tradizionali, tali conoscenze sono anche una componente essenziale della diversità culturale presente nella specie umana, a sua volta frutto della diversa storia (socioeconomica, culturale e biologica) di ciascuna comunità.

Fino a poche decine di anni fa, nel nostro paese, le conoscenze etnobotaniche erano molto diffuse in particolare nelle comunità rurali, dove la trasmissione avveniva oralmente: verticalmente tra le generazioni e orizzontalmente tra i gruppi familiari. Tra le molte conseguenze dei cambiamenti socioeconomici e demografici avvenuti nelle campagne italiane nella seconda metà del XX secolo, c'è stata anche la perdita di molte di queste conoscenze tradizionali, scomparse insieme all'organizzazione sociale di cui erano espressione.

In tempi recenti, sia nella comunità scientifica, sia tra chi ha la responsabilità della gestione e conservazione del territorio, è cresciuta la consapevolezza che questo patrimonio di conoscenze va recuperato prima che scompaia definitivamente insieme con gli anziani che ne sono gli ultimi depositari. Di conseguenza sono state svolte indagini etnobotaniche in varie aree del paese, allo scopo di raccogliere informazioni, archiviarle ed elaborarle, per consentirne una comprensione critica. Non tutte le zone dell'Italia sono state però indagate con la stessa accuratezza: l'Emilia, che pure è ben conosciuta nelle sue caratteristiche ambientali e storico-culturali, sotto questo aspetto è stata poco studiata. Per l'area dell'Alta valle del Reno, che rientra per una parte consistente nel Parco dei laghi, studi recenti sull'argomento sono praticamente inesistenti, nonostante si tratti di una zona di particolare interesse, anche per la sua posizione di cerniera tra Emilia e Toscana.

Va sottolineato che l'interesse degli studi etnobotanici non si limita agli aspetti scientifico-culturali: i saperi tradizionali sono una risorsa preziosa nel quadro di una gestione sostenibile del territorio, particolarmente importante nelle aree protette, dal momento che possono facilitare il rapporto tra comunità locali ed enti gestori e offrire materiale per ricadute applicative. Con queste premesse, negli anni 2010-2012 è stata svolta un'indagine sulle conoscenze etnobotaniche nell'area del bacino di Suviana (alta valle del Reno). La ricerca - realizzata grazie al sostegno economico dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (risorse del Fondo regionale per la conservazione della natura) e del Parco dei Laghi Suviana e Brasimone - si è articolata in diverse fasi.1


Ricerca bibliografica, con reperimento e analisi critica della documentazione disponibile su ambiente naturale, storia, cultura, aspetti demografici, economici e sociali dell'area indagata e delle comunità che vi risiedono.


Indagine di campo, con raccolta delle informazioni etnobotaniche per mezzo di interviste a informatori locali. Gli informatori, reperiti per mezzo di passaparola (metodo snow ball), sono stati in tutto 45. I dati etnobotanici sono stati acquisiti per mezzo di interviste semistrutturate individuali o di gruppo, condotte sempre dalla stessa ricercatrice e con le medesime procedure (in particolare facendo riferimento a una scheda-base predisposta in precedenza come guida nella conversazione), così da rendere i dati comparabili tra loro. Nelle interviste si è seguito un approccio di tipo emico,2 privilegiando la costruzione di un rapporto di fiducia e confidenza con gli informatori e si è seguito il metodo dell'osservazione partecipante, spesso con la presenza di una persona del luogo conosciuta dall'informatore, che facilitasse il contatto tra ricercatrice e intervistato. È stata posta cura nell'accertarsi, per quanto possibile, che le conoscenze fossero state apprese nell'ambito della comunità locale e non da fonti esterne (libri, media...).

I dati raccolti hanno riguardato:

· gli informatori (genere, età, livello di istruzione, attività lavorativa, fonte delle conoscenze);

· le piante;

· gli usi locali.

Sono stati considerati di interesse etnobotanico gli usi relativi a specie spontanee e a specie coltivate, ma solo nel caso che non fossero quelli per cui le piante sono normalmente coltivate.

Per la gestione delle informazioni raccolte è stato necessario accordare la sistematica popolare locale (folk taxonomy) con quella botanica scientifica: è stato cioè indispensabile "tradurre" nomi vernacolari riferiti a etnospecie in nomi scientifici riferiti a specie (o entità di diverso rango).3 A tal fine sono stati raccolti campioni delle piante su indicazione degli informatori (i campioni sono conservati nell'erbario FIAF di Firenze).

Per l'identificazione, la nomenclatura e la sistematica si è seguita fondamentalmente la Flora d'Italia di Pignatti,4 facendo largamente ricorso a un concetto di specie "in senso lato" (da cui l'abbreviazione "s. l.", sensu lato). Nei casi in cui mancanza di campioni o indicazioni troppo vaghe degli informatori non hanno consentito un'identificazione sicura, si è indicata la specie più probabile, preceduta dall'indicazione "cfr." (confer, confronta). I pochissimi usi di piante per le quali non è stata possibile un'identificazione non sono stati considerati ai fini dell'indagine.


Archiviazione dei dati. In accordo con la metodologia seguita in altre indagini etnobotaniche svolte dal gruppo di lavoro,5 gli usi riferiti dagli informatori in forma discorsiva sono stati ricondotti a tipologie generali, denominate "settori d'uso", ciascuna suddivisa in tipologie di dettaglio, denominate "categorie d'uso". Le categorie costituiscono il massimo livello di dettaglio considerato nelle successive elaborazioni relativamente agli usi. I settori d'uso considerati in questa indagine sono stati 10 (tra parentesi il numero di categorie all'interno di ciascuno):

· agropastorale (16)

· alimentare (17)

· artigianale (5)

· domestico (11)

· ludico/voluttuario (3)

· magico/medicinale (4)

· magico/rituale/scaramantico (4)

· medicinale (17)

· religioso (2)

· veterinario (6).

Ai fini delle successive elaborazioni, le informazioni relative agli informatori sono state raccolte in una tabella (Tabella madre degli informatori) su foglio elettronico Excel.

Le notizie su piante e usi ricavate dalle interviste sono state archiviate in un database (Tabella analitica o Tabella madre delle conoscenze etnobotaniche), per cui è stato ugualmente utilizzato come supporto informatico un foglio elettronico. Nella tabella madre delle conoscenze etnobotaniche, le righe corrispondono alle specie e le colonne alle informazioni (attributi) relative a ciascuna. Ogni riga costituisce un record elementare, denominato "citazione", definito come un singolo uso (a livello di categoria) riferito da un singolo informatore per una singola specie. Le informazioni riportate nelle colonne sono (con asterisco quelle scelte all'interno di repertori predisposti):

· specie botanica

· famiglia botanica

· nome/i locale/i

· codice identificativo dell'informatore che cita quell'uso

· parte della pianta utilizzata*

· settore d'uso*

· categoria d'uso*

· breve descrizione dell'uso in forma di testo

· ambiente di crescita

· se la pianta è spontanea o coltivata*

· abbondanza attuale e passata della pianta*

· eventuali particolarità e note (proverbi, filastrocche, toponimi, rituali di raccolta...).

Per gli usi medicinali, sono stati riportati anche:

· indicazione terapeutica di dettaglio

· modo di preparazione della pianta*

· modo di somministrazione del rimedio*.

Ulteriori informazioni su piante e usi emerse nelle interviste sono state archiviate a parte.


Elaborazione dei dati. Per l'elaborazione dei dati raccolti nelle tabelle analitiche (Tabella madre degli informatori e Tabella madre delle conoscenze etnobotaniche) si è utilizzato uno strumento informatico messo a punto in questa occasione per la gestione dei dati etnobotanici, costituito da una serie di script in visual basic. Le elaborazioni hanno riguardato tutte le tipologie di dati raccolti: informatori, specie, usi. Per una più immediata lettura, alcuni risultati sono stati esposti in forma di grafici.

L'elaborazione della notevole mole di dati raccolta è in corso, ma già i primi risultati presentano aspetti interessanti. Durante l'indagine sono state censite 161 etnospecie di uso tradizionale locale, ricondotte nella massima parte dei casi a singole specie botaniche o a entità infraspecifiche; nei rimanenti casi, a specie sensu lato o a gruppi di specie. Sono state raccolte in tutto 1.090 citazioni, relative a 415 usi diversi.

La ripartizione per settori d'uso è risultata la seguente:

· agropastorale: 38 specie / 78 citazioni

· alimentare: 63 specie / 511 citazioni

· artigianale: 9 specie / 11 citazioni

· domestico: 37 specie / 80 citazioni

· ludico: 6 specie / 10 citazioni

· magico/medicinale: 7 specie / 10 citazioni

· magico/rituale/scaramantico: 8 specie / 19 citazioni

· medicinale: 76 specie / 329 citazioni

· religioso: 10 specie / 16 citazioni

· veterinario: 8 specie / 26 citazioni

Per ogni settore sono state redatte tabelle specifiche, con le specie e gli usi. Come è la norma nelle indagini etnobotaniche, i settori di maggiore importanza sono risultati quello alimentare e quello medicinale, sia per numero di specie che per citazioni.

Le specie censite appartengono a 64 famiglie botaniche. Le più rappresentate, anche in questo caso sia come numero di specie che come citazioni, sono risultate le Compositae e le Rosaceae.

Le specie di maggiore importanza etnobotanica sono risultate: Malva sylvestris L. (citata da 29 informatori per 11 usi diversi, relativi a 2 settori); Urtica dioica L. (26 informatori, 13 usi, 4 settori); Taraxacum officinale Weber s. l. (23 informatori, 10 usi, 3 settori); Matricaria camomilla L. (18 informatori, 8 usi, 2 settori). È interessante notare che sono tutte specie che crescono in ambienti segnati dalla presenza dell'uomo: cortili, campi, incolti, eccetera.6


Le 1.091 citazioni riferite a 415 usi tradizionali di 161 entità vegetali rappresentano un prezioso patrimonio di cultura su piante e ambiente, meritevole di essere conservato e divulgato. Malgrado l'interruzione nella trasmissione delle conoscenze tradizionali avvenuta nella seconda metà del XX secolo anche a causa dei fenomeni di urbanizzazione e migrazione verso le città e dello scarso interesse delle nuove generazioni verso il mondo rurale e tradizionale, la ricerca ha documentato nell'area la sopravvivenza di saperi locali che è fondamentale recuperare.

L'auspicio è che sia possibile reperire le risorse necessarie per completare l'elaborazione delle informazioni, incoraggiati anche dai primi risultati, che appaiono notevoli sia in termini di diversità che di quantità. I dati originali raccolti nel corso dell'indagine costituiscono un materiale documentale e scientifico di grande interesse; la loro organizzazione in un database e la disponibilità di uno strumento informatico appositamente messo a punto rendono possibili future ulteriori elaborazioni, anche attraverso l'uso di idonei indici sintetici (di diversità, valore d'uso, eccetera).

I dati possono offrire spunto per diversi approfondimenti: confronto tra etnoflora e flora dell'area, implicazioni ecologiche degli usi tradizionali, confronti con aree vicine. Potranno essere analizzate anche le ulteriori informazioni raccolte, non considerate in queste prime elaborazioni: piante velenose o non usate; piante usate come integrazione del reddito; usi non legati alle piante (usi di animali o loro parti, di minerali, eccetera); pratiche agropastorali del passato; informazioni sulla gestione tradizionale del territorio.

Dai risultati dell'indagine potranno essere tratte pubblicazioni di interesse scientifico o divulgativo, come per esempio guide al riconoscimento delle specie alimentari o medicinali. Né mancheranno possibili ricadute applicative, quali proposte di turismo ecoconsapevole, valorizzazione di prodotti agricoli e artigianali locali, caratterizzazione delle proposte agrituristiche.

Infine va sottolineato che questa indagine si è basata sul metodo della ricerca partecipativa,7 secondo cui ogni informazione sulle conoscenze tradizionali è valida nel contesto socioculturale in cui è nata e può avere un ruolo importante in una gestione sostenibile, sulla base di queste considerazioni:

· spesso le priorità degli enti gestori del territorio non coincidono con quelle delle comunità locali;

· pratiche imposte da enti esterni sono adottate con più difficoltà rispetto a quelle basate su sistemi di gestione locali;

· pratiche che non tengono conto dei sistemi locali si sono spesso rivelate ecologicamente insostenibili a lungo termine.

Valorizzare le conoscenze tradizionali sotto l'aspetto scientifico, ambientale e anche economico può contribuire a rendere più costruttivo il rapporto, oggi talvolta conflittuale, tra i gestori istituzionali e politici delle risorse ambientali e i nativi, che nel corso dei secoli quelle risorse hanno gestito, utilizzato e conservato.


Note

(1) I ricercatori ringraziano: Alessandro Alessandrini (IBC), che fin dall'inizio ha incoraggiato quest'indagine, condividendo con loro un partecipe interesse all'argomento di studio; la direttrice del Parco dei laghi, Antonella Galli, per il suo sostegno; le informatrici e gli informatori, che li hanno messi a parte dei loro saperi provenienti dal passato e delle loro riflessioni sul presente.

(2) "Emico", e il suo opposto "etico", sono termini comunemente usati in etnolinguistica e antropologia: l'approccio emico a un fenomeno è il punto di vista dell'attore sociale e nasce all'interno della cultura che ha prodotto quel fenomeno; etico è invece il modo con cui lo stesso fenomeno viene descritto dall'osservatore esterno.

(3) Per la definizione di folk taxonomy si veda: B. Berlin, Folk systematics in relation to biological classification and nomenclature, "Annual Review of Ecology and Systematics", 1973, 4, pp. 259-271. Per la definizione di "etnospecie": M. A. Signorini, C. Lombardini, P. Bruschi, L. Vivona, Conoscenze etnobotaniche e saperi tradizionali nel territorio di San Miniato (Pisa), "Atti della Società Toscana di Scienze Naturali", Memorie Serie B, 2008, 114 (2007), pp. 65-83.

(4) S. Pignatti, Flora d'Italia, Bologna, Edagricole, 1982.

(5) Oltre alla ricerca citata nella nota 3, si veda: M. A. Signorini, M. Piredda, P. Bruschi, Plants and traditional knowledge: An ethnobotanical investigation on Monte Ortobene (Nuoro, Sardinia), "Journal of Ethnobiology and Ethnomedicine", 5, 2009, 1, pp. 1-14.

(6) Si vedano le osservazioni sull'ambiente di crescita delle piante di interesse etnobotanico in: M. A. Signorini, P. Bruschi, M. Piredda, Gli ambienti di raccolta delle piante della tradizione popolare. Il caso del Monte Ortobene (Sardegna), in: Atti del IV Convegno Nazionale Piante Mediterranee. Marina di Nova Siri (7-10 ottobre 2009), a cura di G. Sarli, A. Alvino, C. Cervelli, senza luogo di edizione, senza nome dell'editore, 2010, pp. 618-627.

(7) P. Hersch, Investigación Participativa. Una Revisión Bibliográfica, "Revista Universidad Autónoma del Estado de Morelos", 1987, 17, pp. 18-23.

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