Rivista "IBC" XXII, 2014, 3
territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, pubblicazioni
Scritto di recente, a compimento di un dottorato di ricerca, ma nato dalla lunga esperienza operativa dell'autore nell'ambito della Regione Emilia-Romagna e del suo Istituto per i beni culturali, il libro di Piero Orlandi Visioni di città fa il punto sul rapporto tra urbanistica e fotografia in Italia a quarant'anni dalla nascita di questo connubio, che fu propiziato dal lavoro di Paolo Monti proprio sui centri storici disseminati lungo la Via Emilia.
Il dialogo tra un urbanista e un fotografo ricalca a volte quello immaginato tra Kublai Kan e Marco Polo nelle Città invisibili di Calvino. Per un fotografo, tentare di descrivere una città a un urbanista può rivelarsi una missione altrettanto ardua di quella affidata al mercante veneziano dal celeste imperatore. Perché chi vede la città presente attraverso un obiettivo fotografico, e poi riporta la sua visione a chi prevede la città futura e la progetta, affronta un compito ingrato. Anch'egli può mettere in evidenza, con la massima precisione, "di quanti gradini sono le vie fatte a scale, e di che sesto gli archi dei porticati". Eppure, alla sua descrizione della città, manca sempre qualcosa di essenziale: il racconto del suo passato. E questo racconto la città non lo dice, lo contiene in sé stessa, "come le linee di una mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale".
Nella migliore delle ipotesi, dunque, il fotografo mette a disposizione la sua visione della città; sta poi all'urbanista leggere in questa visione la storia che porta in sé e farne scaturire una nuova. Dopo un inquadramento storico della questione, contestualizzata anche sul piano internazionale, Orlandi punta la lente sul nostro paese per raccontare le vicende più fortunate di questa collaborazione, fecondata in modo determinante, anche in casa nostra, dall'apporto delle committenze pubbliche. Sono i casi in cui si realizza un ibrido che ha del mitologico: l'esemplare pionieristico del "fotografo urbanista", incarnato, dopo lo stesso Monti, da Luigi Ghirri e da Gabriele Basilico. Ognuno con il suo stile, ciascuno in misura diversa, i tre scoprono, conquistano e difendono un nuovo status per la fotografia, che si affranca dal ruolo di documentatrice meccanica della realtà, di ancella silenziosa al servizio di editori, giornalisti e pubblicitari, per respirare libera, finalmente, l'ossigeno dell'arte e della creazione autonoma. E, in questa atmosfera inedita, ciascuno dei tre scopre di poter dire qualcosa di importante anche sul futuro delle città, sopravvissute in qualche modo alla centrifuga del boom.
Nella triade dei "fotografi urbanisti", a spingersi senza ritorno su questa via, sembra soprattutto l'emiliano Ghirri: meno affascinato dalla monumentalità urbana, più curioso nell'esplorare i luoghi di confine e i bordi delle strade, più intraprendente nella ricerca di collaborazioni con altre arti, dalla pittura alla poesia. Tutti e tre, in ogni caso, hanno oggi l'aspetto di alieni rispetto alla prassi dominante in Italia, dove fotografi e urbanisti sembrano da tempo su pianeti lontani. Secondo l'autore sembra giunto davvero il momento che la fotografia urbana lasci il campo esclusivo dell'arte, esca dalle luci soffuse degli atelier, e ritorni a camminare per strada, per dare una mano, anzi due occhi, a chi tenta ancora di progettare il futuro delle città. A ben vedere, "attraverso le muraglie e le torri destinate a crollare", solo nei resoconti di Marco Polo Kublai Kan riusciva a distinguere "la filigrana di un disegno così sottile da sfuggire al morso delle termiti".
P. Orlandi,
Visioni di città. La fotografia tra indagine e progetto, Bologna, Bononia University Press, 2014, 130 pagine, 25,00 euro.
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