Rivista "IBC" XXI, 2013, 1

territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, progetti e realizzazioni, pubblicazioni, storie e personaggi

Ci ha lasciati Gabriele Basilico, il fotografo che sapeva descrivere la realtà urbana contemporanea, dalle metropoli alle "small cities".
Un'immagine rinnovata della città

Piero Orlandi
[IBC]

Gabriele Basilico, il celebre fotografo milanese scomparso il 13 febbraio scorso, aveva eseguito nel 2001, su incarico della Regione Emilia-Romagna, una campagna fotografica di circa 700 immagini per descrivere le aree su cui si sarebbero aperti i cantieri di riqualificazione urbana realizzati in 27 comuni in base alla legge regionale 19/98.

Le immagini, conservate nella fototeca dell'Istituto per i beni culturali (IBC), costituiscono una documentazione preziosa, soprattutto nei casi in cui le trasformazioni avvenute hanno fatto nascere nuovi paesaggi urbani molto diversi da quelli preesistenti, come nell'area dell'ex Mercato Ortofrutticolo a Bologna, dell'ex Eridania-Barilla a Parma o dell'ex Zuccherificio a Cesena. Con una selezione di queste fotografie fu realizzata la mostra "L.R.19/98. La riqualificazione delle aree urbane in Emilia-Romagna", allestita tra il 2001 e il 2004 in varie sedi regionali e nazionali, poi a Parigi, a Barcellona e al Massachusetts Institute of Technology di Boston.

Ricordiamo l'opera e la personalità di Basilico con il testo che presenta la campagna di rilevamento recentemente eseguita nell'ambito del progetto "Città e architetture a Modena nel Novecento".1


L'obiettivo principale della ricerca "Città e architetture a Modena nel Novecento" è di offrire ai cittadini un'informazione completa sulla città moderna e contemporanea, per comprenderne i suoi valori, meno noti e divulgati rispetto a quelli della città storica. La relazione fra città dei diritti e diritto alla conoscenza è l'elemento centrale di questo lavoro. Il diritto alla conoscenza degli spazi urbani e dell'architettura si può esercitare anche attraverso le immagini: per questo la convenzione sottoscritta tra il Comune e l'Istituto beni culturali dell'Emilia-Romagna ha previsto una campagna fotografica, eseguita da Gabriele Basilico su alcuni casi in cui l'architettura rappresenta concretamente la qualità delle politiche pubbliche messe in atto a Modena nel periodo dal dopoguerra a oggi.

Si tratta di quartieri di edilizia sociale realizzati dall'Istituto autonomo per le case popolari e da imprese e cooperative all'interno dei Piani per l'edilizia economica e popolare (PEEP); di centri civici e sociali, sedi di quartiere, centri per l'attività sportiva, residenze assistite per anziani, sedi universitarie e di ricerca, edilizia sanitaria, cinema, interventi di riqualificazione di ambiti urbani degradati, parchi attrezzati e spazi aperti a uso pubblico, chiese e centri parrocchiali.

C'è qui un legame assai stretto, che ci piace ricordare, con una ricerca che l'IBC condusse nel 2005, "Quale e quanta", che oggi viene ripresa e opportunamente approfondita in sede locale, compiendo un passo avanti in termini di spessore scientifico e di documentazione conoscitiva, ma anche - questo è importante, in termini di metodo - richiamando nei propri obiettivi le finalità di quel lavoro di scala regionale. Sia la ricerca regionale che oggi quella effettuata a scala comunale non si propongono finalità primarie di conservazione e tutela, ma di informazione. Anche la conoscenza della qualità delle singole architetture è un modo per apprezzare i caratteri del Novecento e per costruire una cultura adatta a permettere una giusta valorizzazione di quel periodo.

C'è anche, nel lavoro condotto oggi, un'assonanza voluta e ricercata con quanto è accaduto circa quarant'anni fa, per la messa a punto e la promozione delle politiche di conservazione dei centri storici. Si tratta di una identità di metodo, non tanto di tematiche. Se negli anni Settanta la conservazione dei centri storici era il tema emergente delle politiche urbanistiche, oggi questa centralità è invece rappresentata dalla riqualificazione delle periferie, obiettivo che necessita di una messa a fuoco precisa sulla città del Novecento. Ma resta uguale il metodo, che affianca la fotografia all'indagine storico-critica e fa uso di entrambe per perlustrare il territorio alla ricerca delle eccellenze e per conseguenza additando all'urbanistica i modelli di successo da replicare.

Quel metodo nasce da esperienze che furono avviate all'inizio degli anni Settanta con iniziative-pilota - allora fu il Comune capoluogo di regione a fungere da capofila, non essendo ancora costituito l'ente regionale - che poi furono riprese dai comuni maggiori e via via diffuse su tutto il territorio, arricchendosi strada facendo di molte e ulteriori precisazioni. Una funzione importante di disseminazione di queste pratiche la ebbe l'IBC, nato proprio in quegli anni e presieduto da Lucio Gambi, artefice di quella attenzione ai caratteri originari e alle trasformazioni del territorio che da allora l'Istituto regionale ha praticato attraverso la raccolta di materiali cartografici e fotografici storici, ma anche con la produzione di molteplici ricognizioni fotografiche sulla attualità.

Questi principi e questo metodo reggono anche il lavoro che oggi ha eseguito Basilico: come allora (1973) un fotografo di fama nazionale - Paolo Monti - produsse, per così dire, una trasposizione visiva del tema progettuale, restituendo un gran numero di foto descrittive del centro storico di Modena; così oggi sembra essere opportuno ed efficace ricorrere a un autore ormai riconosciuto tra i maestri internazionali del paesaggio urbano per sottolineare visivamente l'articolazione della ricerca modenese sulla città moderna.

Nel 1973 Paolo Monti, fotografo novarese di nascita, ma operante da tempo a Milano, ricevette dal Comune di Modena l'incarico di eseguire un vasto rilevamento fotografico del centro storico. Questo era il quarto fra i grandi comuni dell'Emilia-Romagna a chiamare Monti per questo tipo di lavoro, dopo Bologna (1969), Forlì (1971), Cesena (1972), e prima di Ferrara (1975). L'autore del rilevamento aveva dunque già messo a punto e verificato un metodo di indagine meticoloso e analitico, con cui descriveva, attraverso una vera e propria perlustrazione, condotta lentamente e a piedi, ogni particolare della città storica, dalle facciate dei palazzi e degli edifici dell'edilizia seriale minore, agli scorci di strade e piazze, dai dettagli costruttivi al tipo di materiali. Monti lavorava con la pellicola 35 millimetri, eseguiva circa 36 scatti, e visionando i provini ne selezionava tra i 20 e i 25. A Modena eseguì poco meno di 1.500 fotografie, percorrendo venti chilometri di strade: che furono esattamente 129, dalla più corta, via Lovoleti, alla più lunga, corso Canalgrande. Questi numeri significano una cosa ben precisa, che ogni dieci-dodici metri veniva scattata una fotografia, e questa misura si può considerare più o meno la dimensione lineare di una facciata media. Insomma, Monti fotografava ogni edificio.

Come quattro anni prima a Bologna e via via in tutti gli altri casi, Monti fotografava il centro storico per ragioni strettamente connesse alla formazione del piano urbanistico di conservazione che il Comune aveva in quel periodo allo studio. C'è dunque un nesso molto forte tra le fotografie e il progetto di conservazione: si può dire - e infatti, lo si disse - che le fotografie costituiscono al tempo stesso il rilievo dell'esistente e il progetto di intervento, poiché il progetto consiste appunto nel restaurare in modo più o meno strettamente conservativo ciò che esiste. Per meglio dire: ciò che Monti fotografa. Solo ciò che fotografa, di fatto, esiste come oggetto meritevole di attenzione. Monti scarta alcune cose (molte cose, a pensarci bene): gli edifici costruiti nell'epoca successiva alla Seconda guerra mondiale, qualunque sia la ragione: costruiti in zone distrutte dai bombardamenti, oppure per demolizioni speculative; e poi non fotografa le automobili, né la gente, né i cartelli stradali, né le vetrine dei negozi. Aspira a costruire un paesaggio urbano "originario", aderendo all'idea della pianificazione dei centri storici di quell'epoca, l'idea che è originario tutto ciò che non ha "sentito" il Novecento, che non ne porta l'odore, il sapore, che non ne veste l'immagine.

L'Istituto per i beni culturali della Regione nasce da questi modelli operativi, e infatti per molti anni continuerà a considerare città solo ciò che sta all'interno di quei confini che nel frattempo si sono perduti (come recita il titolo di una imponente mostra del 1983), travolti dall'impetuosa espansione priva di regole e forma. Oggi, come sappiamo, la vita quotidiana nella città pone all'attenzione degli urbanisti e degli amministratori altre urgenze: la scadente qualità delle costruzioni della fase espansiva, l'assenza dello spazio pubblico nella maggior parte delle periferie, la necessità di riciclare il patrimonio edilizio esistente e di rendere più densa la città per limitare il consumo di suolo.

Le pratiche connesse alla riqualificazione, ormai quasi ventennali, hanno portato alla ribalta temi in larga misura ancora nuovi, per esempio la definizione di criteri per la selezione degli edifici meritevoli di conservazione tra quelli realizzati nel secondo Novecento, soprattutto per poter stabilire quanto invece è possibile considerare privo di interesse nel quadro del processo di trasformazione urbana. È necessario mettere a punto modelli di comportamento utili per istituire relazioni ed equilibri tra l'antico e il moderno (quanto e cosa demolire, quanto e cosa restaurare, in che forme costruire), un confronto che spesso ricorre nelle aree industriali dismesse, limitrofe al centro antico, a volte inserite nel cuore della città e tangenti alla sua struttura più delicata.

Tutto questo costituisce l'insieme dei problemi che stanno sullo sfondo della ricerca modenese, il suo riverbero sul piano dell'operatività urbanistica. Ma pur restando su un piano più strettamente connesso alla diffusione di una cultura e di un modo di vedere, il lavoro di Basilico si muove avendo chiara consapevolezza di un compito che potremmo definire di conoscenza operativa. Il suo è un sintetico survey, che si limita a soli venticinque scatti, e dunque si pone su un piano necessariamente simbolico, ma proprio per la sua concentrazione in poche immagini riassuntive dei molteplici significati della ricerca, ci è parso pertinente chiedere al fotografo milanese di rifotografare, nel quadro di un lavoro diverso ma nei fatti analogo, due luoghi del centro storico che già Monti aveva documentato. Sono luoghi che esprimono anch'essi i valori della città dei servizi e dei diritti che la ricerca odierna intende mettere in luce: la sistemazione della piazzetta Redecocca, con la riconversione della ex scuola Ceccarelli, ora sede della circoscrizione; e l'ex convento di Santa Chiara, poi caserma, un intervento pilota che portava la cultura del PEEP nel centro storico, e fondava la pratica del recupero edilizio e urbano. Questi due esempi di realizzazione di servizi pubblici nel centro antico connessi alle politiche di quegli anni fungono in sostanza da testimoni consegnati idealmente alla ricerca fotografica attuale, come se essa da lì transitasse per poi allargarsi allo sguardo della città moderna e contemporanea.

Gabriele Basilico svolge ormai da quarant'anni un lavoro incessante di indagine sul paesaggio urbano. L'attenzione che il fotografo milanese porta alle periferie, alla produzione edilizia del Novecento, sembra a tutta prima confermare una delle critiche ricorrenti portate all'espansione urbana: quella della sua indistinzione formale e indifferenza geografica: ovunque nel mondo le periferie del dopoguerra sono identiche. Basilico rende molto bene questo concetto, ne è anzi il divulgatore, attraverso le forme di una supercittà composta dalle immagini di tutte le città che ha fotografato, accostate le une alle altre. Il lavoro di Basilico è tutto dedicato all'evidenziare la struttura portante della città: l'insieme degli oggetti fisici - prevalentemente architetture, o per meglio dire edifici comuni, quasi mai di particolare pregio o interesse in sé -, ma anche l'equilibrio delle dimensioni reali e dei pesi visivi degli oggetti, e delle relazioni tra gli oggetti posti sui diversi piani dell'immagine.

Basilico sembra ricordare a tutti che, ci piaccia o no, la periferia è il prodotto più significativo dei processi di urbanizzazione del ventesimo secolo. Guardiamo di solito con ostilità alla produzione edilizia della seconda parte del Novecento, concentrata a ridosso dei margini dell'edificazione storica, che ha dato corpo a una città di scadente qualità formale, spesso priva o sottodotata di servizi pubblici e di connessioni infrastrutturali, marginale sia in senso fisico-geografico che sociale. Tuttavia questa città novecentesca è quella in cui si concentra la maggioranza della popolazione, e dunque quella a cui è necessario concedere più attenzione che nel ventennio precedente, tutto preso dallo sviluppo delle pratiche della conservazione dei centri storici, dell'ambiente rurale e del paesaggio tradizionale e interessato allo sviluppo edilizio abitativo e industriale solo in termini quantitativi.

Le immagini di Basilico gettano le loro radici nel profondo del Novecento italiano, nella cultura artistica e architettonica milanese, e in particolare in Mario Sironi e Giovanni Muzio. Per Basilico, antico e moderno, popolare e nobile si mescolano l'uno con l'altro, tutto è buono e, come per Benjamin, ogni città è bella. Ne deriva un senso di accettazione dell'esistente che non è diverso da quello che trasmettono le fotografie di Monti, e che ha certamente effetti determinanti sulla percezione collettiva delle città, avvicinando alla gente il corpo della città moderna, reso attraente, non minaccioso, a volte malinconico perché ritratto nella sua versione un po' sfiorita, come se gli anni migliori fossero passati. La descrizione da parte di Basilico di questa supercittà i cui caratteri unificanti consistono nell'essere priva di eccellenze, non particolarmente riconoscibile per caratteri tipologici e tradizionali, generalmente moderna e contemporanea, fa del fotografo milanese il creatore di una nuova estetica urbana collettiva, molto congruente con gli obiettivi dei documenti europei volti alla valorizzazione paesaggistica, dove il paesaggio indossa le vesti dell'ordinario e del quotidiano.

Il tratto che avvicina Basilico alla modernità, e fa della sua una visione urbana ormai classica, in quanto più moderna che contemporanea, è proprio questa tendenza al generale, e al tempo stesso questo rifiuto verso il particolare. È ancora, quella di Basilico, una grande narrazione, come lo è stata quella di Paolo Monti, un racconto capace di grandi sintesi e di significati percepibili. Mentre, al contrario, sembra che i caratteri del postmoderno conducano tutti a un'unica riflessione, che cioè non esiste un significato unico al di là e al di fuori della percezione continua e inevitabile della frammentarietà dell'essere, del vivere, dei luoghi. Generale è moderno, particolare è contemporaneo.

A Modena l'autore milanese non ha fotografato soltanto la periferia, ma più in generale la città di oggi, quella dove la gente vive, abita, lavora, si muove. La città delle case, dei servizi, delle scuole, degli ospedali. Che spesso coincide con parti della periferia, ma di una periferia che l'amministrazione pubblica locale ha saputo riempire di contenuti, non solo di persone. E dunque, se lo è, è una periferia in termini topografici, non certo qualitativi. Ma poiché Modena è una città di medie dimensioni - non delle dimensioni di Istanbul, Valencia, Mosca o Berlino, alcune delle grandi metropoli fotografate da Basilico - riesce a conservare un'unità spaziale ben percepibile nelle immagini, che descrivono una città pianificata, con grande attenzione ai servizi, che continua a realizzare i piani per l'edilizia popolare - ormai forse unica in Italia, dove è in atto una fase di generale regresso dell'edilizia sociale -, che si segnala per la dotazione di verde pro capite che è la più alta nel nostro paese. Questa è la Modena che Basilico racconta, e le sue immagini, pur conservando lo stile proprio del grande fotografo milanese, sembrano trattenere con evidenza i caratteri specifici di una città dei servizi realizzati, della qualità architettonica diffusa, dei diritti effettivamente riconosciuti a tutto il territorio.


Nota

(1) P. Orlandi, Un'immagine rinnovata della città, in Città e architetture. Il Novecento a Modena, a cura di V. Bulgarelli e C. Mazzeri, Modena, Comune di Modena - Franco Cosimo Panini Editore, 2012, pp. 173-177.

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