Rivista "IBC" IX, 2001, 4

territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne

Scatto e rinascita

Piero Orlandi
[responsabile del Servizio programmi edilizi della Direzione generale programmazione e pianificazione urbanistica della Regione Emilia-Romagna]

Il 7 dicembre scorso è stata inaugurata a Bologna, presso l'ex Chiesa di San Mattia, la mostra fotografica "L.R. 19/98. La riqualificazione delle aree urbane in Emilia-Romagna", che espone una selezione di circa cento delle oltre settecento fotografie scattate nel 2001 da Gabriele Basilico [se ne può guardare una scelta in questo numero: si veda la rubrica "Immagini", ndr]. La mostra, aperta fino al 20 gennaio 2002, sarà ospitata nel corso dell'anno dalle città di Rimini (febbraio), Reggio Emilia (marzo), Cesena (aprile), Modena (maggio), Ferrara (settembre), Ravenna (ottobre), Parma (novembre), Forlì (dicembre).L'iniziativa è promossa dalla Regione Emilia-Romagna - Assessorato alla programmazione territoriale, politiche abitative, riqualificazione urbana, in collaborazione con l'Istituto regionale per i beni culturali e con la partecipazione, per l'edizione bolognese, del Comune di Bologna e della Soprintendenza regionale per i beni e le attività culturali dell'Emilia-Romagna. Curata da Piero Orlandi - e corredata da un catalogo (Editrice Compositori, Bologna) che riporta, oltre all'intervento di Orlandi, quelli di Richard Ingersoll e Roberta Valtorta -, l'esposizione è accompagnata da un video intitolato Tracce del tempo e trasformazione dello spazio. La riqualificazione delle aree urbane in Emilia-Romagna, realizzato da Riccardo Vlahov con la collaborazione di Beatrice Furlotti e Ginetto Campanini.

 

Tra l'aprile e il giugno 2001 Gabriele Basilico ha eseguito, su incarico dell'Assessorato alla riqualificazione urbana della Regione Emilia-Romagna, una campagna fotografica sulle principali aree che saranno oggetto, nei prossimi anni, di importanti interventi di trasformazione urbanistica.

Il viaggio si è articolato in nove tappe, durate dai due ai quattro giorni, che hanno avuto solitamente una città maggiore per epicentro - dove il lavoro ha preso più tempo perché i luoghi da documentare erano più estesi o in maggior numero; e intorno, la costellazione dei centri minori. Nell'ordine, Basilico ha operato a Bologna, Imola-Faenza, Ravenna, Modena, Rimini-Forlì-Cesena, Ferrara, Reggio, Parma, Piacenza.

A prescindere dalla collocazione urbanistica e dalla destinazione d'uso originaria, il patrimonio immobiliare rappresentato da questi ambiti urbani, anche quando non costituisce di per sé un oggetto di elevato valore architettonico, presenta un forte interesse documentario, sia in quanto testimonianza della storia sociale, architettonica, produttiva ed urbanistica delle città, sia per essere lo stato di fatto da cui prendono avvio le azioni di trasformazione urbana di maggior rilievo promosse nelle città emiliane e romagnole per iniziativa della Regione.

Per le città grandi e medie dell'Emilia-Romagna, quelle oggetto della indagine fotografica sono aree strategiche, collocate a ridosso dei centri storici, aree che furono industriali, militari o ferroviarie, e che possono essere una grande occasione per realizzare spazi pubblici difficili da reperire in zone ad alta densità insediativa: verde, parcheggi, edifici per servizi vari.

Bisogna cogliere l'opportunità, offerta da questi progetti in formazione, per allineare le realtà urbane dell'Emilia-Romagna alle esperienze europee più avanzate. Se Barcellona, Berlino, Parigi, Londra, Milano hanno promosso negli ultimi anni imponenti operazioni di rinnovo urbano, pur se con interventi di scala minore le nostre città possono recuperare gli spazi dismessi prevedendo un insieme diffuso di opere di ricucitura della viabilità, del verde, del tessuto edilizio.

Vi sono esempi già in corso di realizzazione anche in questa regione, avviati con la prima generazione dei programmi di riqualificazione, promossa da un decreto ministeriale del 1994: per esempio, a Parma le aree ex Eridania ed ex Barilla, l'ex zuccherificio di Cesena e a Bologna l'ex Manifattura Tabacchi stanno tornando ad essere spazi urbani ricchi di funzioni pregiate - auditorium, galleria d'arte moderna, università - secondo progetti firmati da Renzo Piano, Vittorio Gregotti e Aldo Rossi.

L'idea di realizzare la campagna fotografica, la mostra itinerante nelle maggiori città dell'Emilia-Romagna ed il volume che l'accompagna è nata da alcune discussioni con Richard Ingersoll, critico di architettura e insegnante di Progettazione del recupero urbano alla Facoltà di Architettura di Ferrara e di Storia urbana alla Syracuse University di Firenze. L'iniziativa si richiama con tutta evidenza al precedente dei censimenti eseguiti negli anni Sessanta e Settanta da Paolo Monti sui centri storici dell'Emilia-Romagna. Come allora quello era il tema dominante dell'innovazione delle politiche urbanistiche, così oggi questo. Come allora anche oggi il lavoro sul campo, l'attività di documentazione e di rilievo dell'esistente può diventare strumento di una stagione di rilancio delle città.

La ragione di questo lavoro e della mostra itinerante che lo rende noto al pubblico, non sta solo nel confronto tra il prima e il dopo. Ci siamo chiesti a cosa serve la fotografia in urbanistica. Sappiamo a cosa serve il disegno, che è lo strumento tradizionale. Il disegno misura, sul disegno si progetta. Il disegno parla il linguaggio economico, quello del valore dei suoli, della proprietà catastale. Non sempre è sufficiente per dare qualità al progetto. La fotografia è più adatta a catturare il significato dei luoghi, parla il linguaggio dei sentimenti meglio della cartografia. Per questo raggiunge la gente comune e facilita la partecipazione alle scelte, cosa che non sempre si riesce ad ottenere con un approccio troppo disciplinare. Più comunicativa del disegno, la fotografia spiega e suggerisce, consente di interpretare. Questo è il suo modo per proiettarsi nel domani, per prefigurare un progetto di trasformazione.

Ho sentito dire a Gabriele Basilico che il fotografo è una specie di sonda territoriale. Ci stimola a non cedere all'abitudine del vedere. Ci spinge a ri-vedere questi luoghi. A non curarci di stabilire se sono paesaggi belli o brutti. Interessa solo che siano veri. Basilico è convinto - e le sue foto ce lo dicono chiaramente - che anche nel caos delle nostre periferie possano individuarsi luoghi di centralità. Nel bel saggio che è pubblicato sul catalogo della mostra, Roberta Valtorta parla della "spezzata bellezza" del paesaggio contemporaneo e della capacità di Basilico di trovarla, perlustrandolo palmo per palmo. Valtorta cita uno scritto di Aldo Rossi su Basilico, in cui si parla di questa "nuova bellezza [...] nata dalle scorie di ciò che credevamo di conoscere".

Nelle immagini ci sono tutti gli elementi urbani, anche quelli più banali ed apparentemente inutili e che contribuiscono invece a creare l'identità di un luogo, a creare quel luogo, a caricarlo di umanità. È un punto di partenza fecondissimo, perché ci aiuta a trovare una regola di organizzazione per la città che si disfa intorno a noi, che si sparge sul territorio fino a farci pensare che ne sia ormai evaporato il concetto (dov'è più la campagna, cosa è fuori e cosa è dentro?).

È questa la realtà in cui ci sforziamo di parlare di ri-qualificazione, ovvero di ri-dare qualità a zone che l'avevano e l'hanno persa. Una qualità che tuttavia non è costituita soltanto dalle forme della tradizione, dal ritmo dell'ordine, dall'armonia. Concetti che da tempo hanno smesso di regolare l'immagine delle nostre città. Oggi l'ambiguità, l'incoerenza, la contradittorietà non hanno più il significato fortemente negativo di un tempo e possono indicare essi stessi qualità della forma urbana. L'architetto olandese Rem Koolhaas ha sostenuto che la congestione è la caratteristica specifica e peculiare delle città del XX secolo. Basilico analizza e descrive la congestione, insieme allo scarto. Sostiene che dallo scarto può venire la rinascita delle città.

Il metodo di Basilico - dice Valtorta - si basa sulla descrizione e si nutre di rigore. La complessità che ritrae è tale perché ritrae il vero senza scartarne gli aspetti di crisi. È una fotografia libera di preoccupazioni di tipo estetico, contemplativa non interpretativa, fluida, aperta. Non crea gerarchie di importanza, non vuole giudicare ma capire. Basilico è felice di stare in quei luoghi e ci aiuta a starci, a conviverci. In questo metodo stanno alcune diversità rispetto al precedente di Monti nei centri storici. Monti "preparava" i centri storici togliendo le auto: la sua visione "illuminista" tendeva a voler caricare di senso i luoghi, dando loro oltre al valore strategico che in quegli anni cominciava ad esser loro riconosciuto, anche quello simbolico, di centro della città, della sua cultura, della sua identità. Oggi è diverso: lo sguardo "tollerante" di Basilico (uso i begli aggettivi di Roberta Valtorta) raffigura i vari centri della città contemporanea. Vari, numerosi. I centri della città diffusa.

La forza espressiva di queste immagini deriva soprattutto dall'essere archiviate insieme. Accostate, l'una di fianco all'altra, producono un senso ulteriore, e di esso riempiono i luoghi. Un senso di ricchezza, di opportunità. Viene da pensare che è possibile cogliere un'occasione irripetibile. Ché tale è quella che questo patrimonio offre alle città: un'occasione paragonabile alle trasformazioni urbane e territoriali provocate dalla costruzione della rete autostradale negli anni Sessanta. Sentiamo il fascino che viene da queste grandi fasi di transizione nella vita urbana: quella odierna richiama la seconda metà dell'Ottocento, quando con l'Unità d'Italia le città si riconfigurano, utilizzando le loro stesse membra, in una specie di autofagia. Conventi e palazzi trasformati in uffici, ministeri, musei. Oggi può succedere l'analogo con i vuoti urbani, con le aree dismesse.

L'affiancamento delle immagini l'una all'altra produce anche una crescita immaginativa. Ne esce una città ideale, una super-città, che diventa il modello a cui tendere nel fare i progetti. I progetti devono tendere a qualcosa, altrimenti non sono progetti. Questi in modo particolare hanno bisogno di una forte tensione interna verso una ipotesi di trasformazione generale nell'uso della macchina urbana. Non basta un progetto introverso, che si occupi solo di ciò che accade dentro il suo perimetro. Attraverso il progetto deve proiettarsi un'occasione sul resto della città.

Il tema del progetto è ripreso dal saggio che Richard Ingersoll ha scritto per questa mostra. C'è l'idea di un progetto complessivo, regionale. Non la sommatoria semplice dei singoli progetti urbani. È un progetto utopico nelle origini concettuali ma forse più concreto di quanto potrebbe sembrare nella sua formulazione. Mai nella storia dell'urbanistica si è visto un progetto tanto esteso quanto quello che si è creato in duemila anni, la "roadtown" dell'Emilia-Romagna, la città-strada della via Emilia. Una strada a cui nell'ultimo secolo e mezzo si sono aggiunte la ferrovia e l'autostrada, i fili di una corda spessa solo qualche chilometro.

La città diffusa in Emilia non è radiocentrica, ma tesa su questa corda. Ci vivono due milioni di abitanti. Sembra l'esito di progetti utopici dell'Ottocento, dalla Madrid di Soria y Mata alla Roadtown che l'americano Edgar Chambless ideò nel 1910, una megastruttura con case, viali, portici, strade una sopra l'altra. Perché dunque, si chiede Ingersoll, non trarre spunto dai fatti e assecondarli, coinvolgendo le aree urbane che con l'aiuto della legge regionale 19 i Comuni stanno facendo "partire", progettandole in modo integrato. Una "spina megalopolitana" densa di parcheggi e piste ciclabili, supermercati e interporti, in parte già esistente e la cui funzione più eclatante sarebbe di scoraggiare la ulteriore crescita centrifuga delle città, di risparmiare il territorio agricolo residuo e di creare una estesa zona protetta, parchi naturali e parchi fluviali che intersecano l'asse di "Roadtown E.R." e si aprono verso la collina e la pianura.

Per farlo, dice Ingersoll con una buona dose di fattiva utopia, basta quello stesso spirito cooperativo che animò un'altra grande creazione dell'urbanistica storica in Emilia-Romagna, i portici bolognesi. Elementi singoli - l'arco di portico, l'area industriale dismessa - creano l'insediamento, lo rendono funzionante, vivo, danno un senso al frammento attraverso la replica.

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