Rivista "IBC" XXII, 2014, 3

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, interventi

Strade, slarghi, luoghi incerti, promiscui o di passaggio: alcune parti della città devono il loro carattere e il loro successo al fatto di essersi formati senza un progetto ufficiale.
Spazi pubblici spontanei

Piero Orlandi
[IBC]
Mario Piccinini
[sezione Emilia-Romagna dell'Istituto nazionale di urbanistica]

Questo testo presenta una sintesi degli interventi tenuti nel corso del seminario "Spontaneous interventions in Emilia Romagna Region", organizzato dagli autori e svoltosi il 26 giugno 2014 nell'ambito di "Past, Present and Future of Public Space. International Conference on Art, Architecture and Urban Design", (a cura di Luisa Bravo, Bologna, 25-27 giugno 2014). Si ringraziano i relatori: Giuseppe Stanzani, Stefano Storchi, Federica Terenzi, Giovanni Zaffagnini.


Gli spazi pubblici spontanei sono spazi nei quali la volontà dei cittadini interagisce con lo spazio pubblico fino a trasformarlo in tutto o in parte. Gli interventi spontanei sono dunque un atto non pianificato, e sono eseguiti in modo più o meno diretto dai cittadini, o per volontà o richiesta di cittadini. Quello che definiamo "spontaneo" interagisce con la formazione dello spazio urbano e lo modifica.

Esistono luoghi della città - strade, slarghi, ambiti di confine tra pubblico e privato, spazi incerti, promiscui - che derivano la propria qualità e il loro successo proprio dall'essersi formati in modo più spontaneo che progettato, senza neppure particolare coordinamento partecipativo, ma come successiva e continua aggiunta di elementi, accorgimenti, microtrasformazioni generate non da una visione preventiva ma dall'uso stesso.

In molti casi si nota l'assoluta mancanza di un'estetica preordinata dello spazio pubblico spontaneo, che il più delle volte non può definirsi bello; quello che può apparire come un limite, finisce per essere un pregio. Molti di questi spazi sono vissuti molto di più degli spazi progettati e sono amati dalle persone che li frequentano. Gli spazi spontanei contribuiscono spesso in modo determinante all'identità dei luoghi.

Per lo sviluppo urbano è assai rilevante l'uso spontaneo dello spazio pubblico, perché aggiunge creatività ai luoghi e ai modi della socialità. Alcune forme di intervento sullo spazio pubblico, come i "vicinati di strada", rappresentano forme di autogoverno spontaneo di parti di città, dando vita a forme originali di uso degli spazi. Secondo l'antropologa urbana Jane Jacobs, autrice nel 1961 del fortunato libro Vita e morte delle grandi città: "Le strade e i marciapiedi costituiscono i più importanti luoghi pubblici di una città e i suoi organi vitali. Quando si pensa a una città la prima cosa che viene alla mente sono le sue strade: secondo che esse appaiono interessanti o insignificanti, anche la città appare tale". E ancora: "In un vicinato di strada funzionale si stabilisce un miracoloso equilibrio tra la fondamentale esigenza della privacy e il desiderio di avere rapporti a vario livello con gli altri, di godere della loro compagnia e di valersi del loro aiuto".

Uno spazio pubblico non è tale soltanto se proviene da un progetto attuato per volontà pubblica. I luoghi pubblici della città possono assumere un carattere spontaneo, piuttosto che progettato, attraverso successive trasformazioni generate dall'uso degli spazi stessi attraverso un processo di selezione delle funzioni, alle quali spesso risulta estraneo l'intervento progettuale.

Nella trama delle nostre città storiche sono presenti certamente molti luoghi che derivano la loro vitalità e il loro fascino proprio da questo processo. La qualità degli spazi spontanei sta infatti nel mescolare molti ingredienti, molti più di quanto non accada di solito con un progetto, pensato ed eseguito in un lasso di tempo breve e definito, opera di una sola o di poche persone, vittima spesso di settorializzazioni - edilizia, urbanistica, trasporti, paesaggio, restauro - che invece negli interventi spontanei non hanno luogo, lasciando che lo spazio che viene a formarsi possa beneficiare di sollecitazioni ambientali, sociali, paesaggistiche, funzionali, che ne arricchiscono il risultato estetico e fruitivo.

Gli spazi pubblici spontanei sono dunque un contributo alla diversità urbana. In base a questo assunto abbiamo raccolto alcuni casi che mostrano diversi tipi di spazio spontaneo, scegliendoli tra i tanti sul territorio regionale.


Il primo esempio è a Pian di Macina, piccola frazione del Comune di Pianoro, a sud di Bologna, lungo la via della Futa per Firenze. È uno spazio di forma più o meno quadrata che deriva dall'incrocio di tre strade, di cui una si dirige al ponte sul Savena e alla recente strada di fondovalle, le altre due si ricollegano alla Futa a monte e a valle della frazione. La sua genesi sta molto probabilmente in questa origine di incrocio.

Lo spazio è definito dall'incrocio di queste tre strade e dalla presenza delle attività che si sono insediate nel tempo. Anticamente c'era un mulino, di cui ora resta il rudere. Oggi la presenza di alcuni edifici residenziali, insieme a una rinomata trattoria, un bar, una pasticceria e a un'edicola dei giornali al centro della piazza, rendono il luogo frequentato sia di giorno che la sera. Questo, come Jane Jacobs asserisce da un cinquantennio, dimostra la necessità della mescolanza di funzioni primarie: "Nelle strade urbane efficienti, la gente deve circolare in ore diverse: si tratta di una diversità di tempo su piccola scala, ora per ora nel corso della giornata".

Il carattere di questa piccola piazza all'incrocio di tre strade è dato dal continuo movimento di automobili e persone in ore diverse e dalla presenza di diverse funzioni. In direzione del ponte, subito dietro alla piazza, si apre un altro piazzale denominato "piazza dell'aia", con evidente riferimento alla funzione storicamente esercitata. Dunque, si tratta di uno spazio non pianificato e multiforme, plurimo, articolato in diversi sottospazi pubblici o semipubblici, privati a uso pubblico.

Dunque, questo caso di studio, più che essere caratterizzato da interventi spontanei, non pianificati, eseguiti in modo più o meno diretto dai cittadini o per loro volontà o richiesta, è rappresentativo di come ciò che definiamo "spontaneo" interagisca con la formazione dello spazio urbano e la provochi. Alcuni elementi - l'incrocio di più strade e la creazione in quel punto di una centralità derivata dalla frequenza dell'uso, del passaggio e dall'assunzione progressiva di un valore simbolico di centralità - derivano dalla continuità storica d'uso, nascono da linee di forza che scaturiscono dalla storia più o meno recente.

Nel punto centrale dello slargo esisteva una fontana, oggi sostituita da un palo dell'illuminazione pubblica. Nonostante questa perdita di qualità estetico-funzionale, il senso simbolico che esprime questo palo della luce è notevole ancora oggi. Nell'incrocio il traffico è considerevole a tutte le ore. Il luogo è molto frequentato. Sembra che in questo caso la "spontaneità" degli interventi consista nel radicamento della popolazione al luogo, nel sentirlo centrale, nel viverlo, nel mantenerlo a dispetto delle difficoltà che oggi soffrono le amministrazioni pubbliche nell'avviare progetti; il senso della spontaneità deriva forse anche dal fatto che tuttora si riconosce la genesi di questo spazio, generato da quell'incrocio di tre vie, dalla pluridirezionalità.

Nel complesso questo caso dimostra una questione significativa: che non c'è alcun nesso tra capacità funzionale e qualità estetica, e nemmeno tra questa e il successo sociale. È uno spazio privo di appeal, che però viene molto usato. È una testimonianza, pur se piccola, contro l'urbanistica e l'architettura dello star system, e anche contro una cultura progettuale avulsa dai rapporti sociali e dalle sedimentazioni storiche.


Questo aspetto è presente anche nel caso dello spazio pubblico nato nell'ambito del Piano di edilizia economica popolare (PEEP) di Montebello a Parma, spazio che rappresenta la crisi di una piazza progettata, priva di una reale funzione aggregativa: qui, grazie all'inserimento di una funzione nuova, un bar che diventa momento di aggregazione degli abitanti, il senso del luogo è stato trasformato.

La qualità del progetto urbano si misura non attraverso canoni morfologici o formali, ma mediante il rapporto diretto con l'ambiente e con la società urbana. Questo è l'insegnamento che deriva dall'esperienza del PEEP Montebello a Parma: un comparto progettato attraverso la ripresa rigida di canoni organizzativi dello spazio della città storica, con l'illusione che ciò che prende vita in un contesto stratificato di memoria e di storia possa essere trasposto meccanicamente all'interno della città contemporanea e dei suoi spazi di aggregazione.

Una piazza progettata in modo attento, a partire dagli elementi che a essa avrebbero dovuto dare vita, è entrata in crisi in seguito al mutare dei programmi amministrativi e della perdita dell'elemento saliente della sua composizione architettonica e funzionale. Così che a lungo quello spazio è rimasto un luogo metafisico, privo di una reale funzione aggregativa. Poi, con la casualità che spesso contraddistingue l'evolversi della città, è bastato qualcosa di inatteso: un bar gelateria. Questa nuova presenza ha trasformato il senso di un luogo, facendolo vivere soprattutto nelle ore della sera e rendendo lo spazio della piazza di nuovo vitale e frequentato.

La vicenda di questo piccolo spazio urbano rappresenta la metafora del rapporto che intercorre tra il progetto dello spazio urbano e il reale funzionamento della città. È il modo di appropriazione dello spazio pubblico da parte dei cittadini a rendere vitale e identitario un luogo. Le forme del progetto possono permettere o disincentivare i processi di appropriazione dei luoghi; ma non sono in grado di determinarne, in modo meccanicistico, il modo di essere. Di questo Parma è esempio, sia nei suoi luoghi più centrali, sia negli spazi della periferia urbana cresciuta negli anni Ottanta.


Il palazzo Piancastelli a Fusignano, ultimato nel 1894 su progetto dell'architetto romano Enrico Gui, residenza e sede delle preziose collezioni del possidente terriero, bibliofilo e mecenate Carlo Piancastelli, era dotato, come usava per le dimore di pregio, di un parco abbondantemente alberato. Distrutti entrambi dai bombardamenti subìti nell'ultimo evento bellico, i loro resti sono rimasti in stato di abbandono per lungo tempo: i ruderi del palazzo furono rimossi verso la metà degli anni Sessanta per far posto a un grande condominio, mentre per l'area dove sorgeva il parco l'abbandono si è protratto fino ai primi anni Ottanta, quando il Comune di Fusignano, acquisita la proprietà del terreno, ne iniziò la bonifica.

L'area, invasa da rifiuti di ogni genere e da una fitta vegetazione, ha mantenuto, a lavori ultimati, oltre alle mura perimetrali ancora in buono stato, anche gli alberi nel frattempo cresciuti spontaneamente dalle vecchie radici e dalle sementi disperse naturalmente; ed è proprio la collocazione "casuale" e non progettata degli alberi - alcuni a ridosso del muro, altri molto vicini fra loro - l'elemento caratterizzante di questo parco, oltre all'assenza di un percorso tracciato. Aperto al pubblico alla fine degli anni Ottanta, è stato opportunamente integrato con il trasferimento al suo interno di un piccolo locale, il Bar Caio, da sempre ritrovo storico per i fusignanesi, gestito da più generazioni dalla stessa famiglia, e tuttora attivo. Nel corso del 2012, con il contributo dei volontari dell'Associazione per l'autogestione dei servizi e la solidarietà (AUSER), si è provveduto a rendere ottimale la fruizione del luogo con nuove attrezzature e un'illuminazione adeguata. Vicinissimo alla piazza principale del paese, il parco è attualmente molto frequentato.


L'Associazione di via Centotrecento è fra le prime a Bologna che hanno proposto un modo di condividere lo spazio pubblico con gli abitanti della strada. Questa forma di associazione determina una comunità viva che costituisce un vicinato di strada. Fra gli intenti ci sono il coordinamento di momenti di vita per gli abitanti del vicinato di strada e l'autorganizzazione, con l'obiettivo di rendere abitabili gli ambiti di prossimità. Le realtà di vicinato possono essere infatti l'occasione per la rigenerazione del senso e per la cura dei luoghi.

Una piazzetta temporanea può diventare un luogo di attivazione sociale, un'occasione di progettazione collettiva, un nuovo spazio pubblico in cui incontrarsi e far incontrare i diversi punti di vista di chi abita la stessa strada. La proposta dell'associazione è quella di costituire e gestire un laboratorio di sperimentazione in un'area prossima alla zona universitaria, sottoposta a una frequentazione massiccia da parte degli avventori di passaggio dei locali serali e notturni, che utilizzano la zona con una mentalità di consumo e in disarmonia con la vita quotidiana degli abitanti.

Si propone quindi di realizzare delle piazzette, collegando i portici sui due lati delle strade, provocando un rallentamento delle auto in prossimità di questi spazi. L'uso carrabile della strada non è dunque interdetto, ma al tempo stesso viene facilitato quello pedonale. Lo spazio, protetto dagli arredi, diventa utilizzabile per usi diversi, tra cui il verde, che è la prima richiesta dei vicinati di strada, perché ravviva l'ambiente, dà il segno della cura degli abitanti e dona maggior "respiro" al luogo d'incontro. L'obiettivo finale è una rete di micropiazze per tutta la città, in cui la gente possa incontrarsi.


Sempre a Bologna, nella chiesa di Santa Teresa di Lisieux, la chiusura al traffico della strada (via Fiacchi) oltre venti anni fa, la cura del verde, la realizzazione della Via Crucis, le sedute, la delimitazione del luogo, hanno determinato uno spazio pubblico singolare ricco di intimità e raccoglimento, molto utilizzato dagli abitanti della zona.

Si tratta di un'operazione che fu inizialmente coordinata con il Comune di Bologna, che predispose un progetto di pedonalizzazione della strada. Ma l'esecuzione del progetto, e soprattutto la sua continua manutenzione ed evoluzione, così come la sua integrazione con le successive migliorie e trasformazioni del patrimonio edilizio circostante, sono un impegno costante della parrocchia e soprattutto del parroco don Giuseppe Stanzani. Nell'area è attiva una scuola materna con asilo nido, un campo sportivo, un oratorio che ospita diverse iniziative nel corso dell'anno.

La grande attenzione alla cura del verde e una singolare sensibilità alla dotazione artistica degli spazi interni ed esterni rendono questo spazio pubblico molto gradito agli abitanti della zona, e ne fanno un esempio davvero rilevante di cooperazione pubblico-privato, oltre che di sapiente equilibrio tra progettazione pubblica e uso privato, in altri termini ne fanno un caso non frequente di progettazione condivisa ante litteram, studiata ed eseguita in largo anticipo rispetto allo sviluppo delle istanze che si sono affermate e diffuse negli anni più recenti.



Azioni sul documento

Elenco delle riviste

    Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Cod. fiscale 800 812 90 373

    Via Galliera 21, 40121 Bologna - tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - direzioneibc@postacert.regione.emilia-romagna.it

    Informativa utilizzo dei cookie

    Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271
    Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it