Rivista "IBC" XX, 2012, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, linguaggi, didattica, pubblicazioni, storie e personaggi

Intervistati da un giornalista esperto di arti visive, Sergio Tisselli e Sara Colaone raccontano cosa accade quando la storia parla con la lingua del fumetto.
Cronache di china

Piero Di Domenico
[giornalista e critico cinematografico]

"Noi tutti pensiamo a fumetti", perché il fumetto trasmette informazioni ad alta concentrazione con pochi dialoghi e una serie di disegni simili a un codice. Il giudizio di Art Spiegelman - noto in tutto il mondo per la sua visione della Shoah riversata nel pluripremiato romanzo a fumetti Maus, scaturito dai ricordi del padre, ebreo polacco sopravvissuto ad Auschwitz - giustifica le tante difficoltà insite nella sua opera più nota, a partire dal conflitto tra la necessità di narrare l'inenarrabile e l'impossibilità del dire. Eppure - sembra suggerirci Spiegelman con i suoi disegni antropomorfi e con l'idea da favola esopiana di rendere gli ebrei come topi, i nazisti come gatti, i polacchi come maiali o gli americani come cani il fumetto appare sempre più uno strumento calibrato per arditi approcci alla realtà. Con una carta in più, che in altri linguaggi a volte risulta latitante: "La scala ridotta delle immagini" - scrive l'autore americano - "e il carattere diretto, che lo avvicina quasi alla scrittura a mano, attribuiscono al fumetto una sorta di particolare intimità".

Le considerazioni del primo fumettista a ottenere il prestigioso premio Pulitzer nel 1992 risultano un innesco importante per misurare la temperatura dei rapporti tra fumetto e narrazione storica, decisamente innalzatasi in questi ultimi anni grazie all'affermarsi di una forma come la graphic novel e all'approdo del fumetto dalla sua tradizione seriale verso le sponde dell'arcipelago "romanzo". Un altro esempio, che ci rimanda di nuovo alla Germania (in questo caso quella prenazista della Repubblica di Weimar), arriva dai due volumi che compongono Berlin, dell'americano Jason Lutes, pubblicati in Italia dalla casa editrice bolognese Coconino Press.

Il racconto corale in bianco e nero ricostruisce il complicato puzzle di una città e di una nazione profondamente divisa tra i comunisti e gli avanzanti nazionalsocialisti, tra ebrei mimetizzati ed ebrei ortodossi, con una precisione calligrafica che consente di accostarsi, come in pochi altri casi, al mosaico di quella Germania che stava per consegnarsi al Terzo Reich. Il montaggio di sapore cinematografico alterna la narrazione in prima persona con i grandi scontri di piazza e gli eventi privati di alcuni dei protagonisti, restituendoci speranze destinate a rimanere tali e l'angoscia di un ineluttabile destino sempre più incombente. Lutes può vantare un formidabile archivio storico personale che gli ha consentito, seppure nel corso di molti anni, di ricostruire nei minimi particolari la Berlino di fine anni Venti. Eppure nella capitale tedesca c'è stato appena per pochi giorni, ma il suo accurato puzzle riesce a colmare con un particolare, un tram o un viso, la distanza che ci separa da quel tempo.

Anche il francese Jacques Tardi, considerato tra i padri del "nuovo realismo" fumettistico e celebre per le tavole con cui ha interpretato il detective Nestor Burma, nato nei libri noir di Léo Malet, ha saputo riproporci magistralmente la Parigi di inizio Novecento, tra culti esoterici e scienziati rivoluzionari, nella saga che vede protagonista Adèle Blanc-Sec, anch'essa da poco approdata sul grande schermo nella versione diretta da Luc Besson. Come in Lutes, anche in Tardi il clima storico è reso dagli abiti, dagli oggetti d'epoca, dai dettagli di musei, palazzi, cimiteri e giardini pubblici della Ville Lumière, allora nella fase dei cento teatri, dei café chantant e della nascita del cinematografo, quando la cultura iniziava ad assumere dimensioni industriali.

La vocazione storiografica del fumetto - che ha avuto i suoi prodromi in grandi autori come Will Eisner e Hugo Pratt, o in una scuola come il fumetto storico dell'area francofona, ripresa anche in Italia da disegnatori come il bolognese Sergio Tisselli - negli ultimi anni ha trovato i suoi capisaldi in Persepolis di Marjane Satrapi, o in Valzer con Bashir, raro caso di un romanzo a fumetti che trae origine da un film d'animazione (la produzione israeliana di Ari Folman) e non viceversa. Queste opere, così come i reportage di Joe Sacco sulla questione palestinese e sulla guerra in Bosnia, hanno dimostrato che oggi, così come già accaduto in passato per Maus, la storia si lega sempre più a elementi autobiografici, che trovano sbocco soprattutto nell'intreccio con l'epoca contemporanea. Un "presente storico" di cui il fumetto sembra in grado di poter rappresentare con maggior convinzione anche la sostanza emotiva più recondita, sino a creare quella speciale intimità con il lettore cui ha fatto spesso riferimento lo stesso Spiegelman. A dimostrazione di come l'arte sequenziale sia capace di declinarsi in forme sempre più diverse tra loro (in grado di interagire con cinema, letteratura, arti visive e web), eppure tutte situate nello stesso habitat linguistico.

Non è un caso, quindi, che anche in Italia abbia trovato spazio una coraggiosa esperienza editoriale come quella di Becco Giallo, che ha scelto di affrontare con il linguaggio del fumetto le vicende intricate dei tanti misteri irrisolti d'Italia, dalla strage alla stazione di Bologna al caso Moby Prince, dall'omicidio di Ilaria Alpi agli scenari di Ustica, nel tentativo di offrire inedite prospettive critiche al riguardo. E non è un caso che il festival bolognese di fumetto "Bilbolbul" abbia scelto nel 2009 di dedicare uno dei propri focus principali proprio al rapporto fumetto-storia passando per opere di autori come Vittorio Giardino, Bryan Talbot e David B.

Anche restando in Emilia-Romagna, non sono pochi gli esempi calzanti che si potrebbero citare al riguardo: da Morti di sonno di Davide Reviati - con le storie di alcuni ragazzini di Ravenna cresciuti all'ombra del Villaggio Anic di Ravenna, il quartiere popolare voluto da Enrico Mattei per i lavoratori del vicino impianto petrolchimico ENI - ai due libri che la casa bolognese Kappa ha pubblicato sotto la firma di Sara Colaone, friulana di origine ma trapiantata da anni a Bologna. Se con In Italia sono tutti maschi la disegnatrice aveva ripescato, tra le pieghe meno lusinghiere della nostra storia, la vicenda dei molti omosessuali italiani mandati al confino durante il fascismo, con Ciao ciao bambina Colaone racconta degli emigranti italiani in Svizzera. Basandosi sull'esperienza personale dei suoi genitori, l'autrice ci restituisce la storia italiana di mezzo secolo fa, mettendoci davanti uno specchio che riflette le tante paure legate all'immigrazione che attraversano i nostri giorni.

A Sara Colaone e al già citato Sergio Tisselli abbiamo rivolto alcune domande sui loro rapporti con la storiografia. Allievo di Magnus, Tisselli aveva a suo tempo trasformato la propria tesi di laurea in Storia moderna in un fumetto ambientato ai tempi della peste a Bologna (l'ha pubblicato l'editore Gabriele Angelini nel 2010 con il titolo La costellazione del cane). Il suo legame con il filo della storia, inaugurato con le Avventure di Giuseppe Pignata, è stato ribadito negli ultimi anni da ripetute incursioni, in cui è stato accompagnato dalla passione del Gruppo di studi Savena Setta Sambro: La locanda dei misteri, Occhi di lupo, Foreste di morte. Nel 2009 ha collaborato con i suoi acquerelli a Nove passi nella storia, il fascicolo realizzato dalla Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo in occasione dei quarant'anni della Regione, per raccontare, dalla preistoria a oggi, le vicende di questo pezzo di Italia (e nel 2012 un secondo fascicolo sarà dedicato ai personaggi della cultura).


Quanto è complesso il lavoro di documentazione per preparare un fumetto dedicato a una vicenda storica?

Sergio Tisselli - Per quanto riguarda la documentazione, naturalmente dipende dalla complessità delle vicende narrate. Di solito si tratta, comunque, di una fase piuttosto lunga e pretende delle sceneggiature accurate. In questo senso Internet è una fonte preziosa, anche se io continuo a essere conquistato dai libri di carta, dalle biblioteche. La ricerca dei libri è uno dei processi che preferisco, lo ritengo il miglior modo per entrare nella storia, per prendere confidenza con gli ambienti, gli oggetti, i costumi e, perché no, la mentalità dei personaggi che vivono in un contesto distante dal nostro.

Sara Colaone - Le ricerche iconografiche su costumi, ambienti, oggetti e usi, sono solo una parte del lavoro di documentazione per raccontare a fumetti la Storia. Una volta scritta la sceneggiatura (che nel caso di Luca de Santis per In Italia sono tutti maschi ha richiesto quasi tre anni di lavoro e ricerche), bisogna pensare ai personaggi. Non figurine che si agitano su un fondale teatrale, che per quanto accuratamente dipinto corre il rischio di rivelare presto la sua bidimensionalità, ma appunto personaggi, che devono sentire, vivere, muoversi nel racconto e nella pagina disegnata come avrebbero fatto nella loro realtà sociale, geografica e temporale.

Lo sforzo che un autore di fumetto deve fare per creare una storia convincente è attingere a tutte le fonti possibili per conoscere la realtà dei suoi personaggi: quindi documenti, letteratura, testimonianza e laddove possibile fotografia e cinema. Tenendo bene a mente quali sono le caratteristiche che si vogliono raccontare, occorre poi trovare una chiave di lettura, in modo da non incappare in spiacevoli pastiches.

Esistono, per un disegnatore, dei rischi connessi all'immersione totale nell'iconografia del racconto; uno di questi è quello di perdersi nella cura del dettaglio fine a sé stesso, nella dimostrazione di coerenza storica che finisce col diventare pura lezione di artigianato. Avvicinarsi al proprio soggetto attraverso la ricostruzione, così da poterlo quasi toccare, per poi allontanarsene, scegliendo degli elementi essenziali che resteranno impressi nell'astrazione grafica del segno in modo ancora più pregnante: questo è l'espediente per evitare che, ricreando un mondo fatto di oggetti perfettamente recuperati ma estranei fra loro, si perdano di vista la connessione intima con il racconto e, di conseguenza, la capacità di trasmettere una dimensione storica verosimile.


Misurarsi con vicende molto note può costituire a volte un confronto ingombrante?

Tisselli - Dipende dalla sceneggiatura, e quindi dall'approccio che si ha con le vicende che si narrano. Ho sempre pensato che a fumetti si potesse narrare tutto o quasi, dalla storia dei grandi eventi a quella minimale, che vive di piccole dettagli, di atmosfere sottili.

Colaone - Un autore non ha il gravoso compito dello storico, ma può servirsi del lavoro dello storico per avvicinarsi a temi e vicende anche molto conosciuti con un'ottica particolare, al fine di creare una chiave di rappresentazione inedita e capace di reggere il confronto. Una buona interpretazione personale, tuttavia, non può prescindere dalla fondatezza delle informazioni sul fatto, anche se può risultare molto originale quando la sensibilità dell'autore permette di cogliere nelle pieghe della storia alcune sfumature. Le possibilità che in questo senso offre la storia sono infinite. Si può scegliere, per esempio, di raccontare l'epopea dell'emigrazione italiana attraverso un episodio meno eclatante, come quello dell'emigrazione temporanea in Svizzera, come ho fatto in Ciao ciao bambina, dove ho confrontato la testimonianza raccolta dai miei genitori con i dati storico-sociali sul fenomeno. Le informazioni, che nel graphic novel non vengono riportate, creano una rete su cui il racconto si distende senza imbarazzo.


Inteso come linguaggio di divulgazione della storia, il fumetto può diventare anche "agente" di storia, contribuendo alla costruzione di un immaginario collettivo rispetto a una determinata epoca?

Tisselli - Certamente il fumetto è stato ed è un potente agente di diffusione della storia; la tradizione francese, in questo senso, è maestra, ma anche in Italia si sono avuti brillanti esempi di fumetti "didattici", dal "Corriere dei ragazzi" (ma prima ancora col "Vittorioso") alla Storia d'Italia di Biagi. Si continuano ancora a trattare temi storici ad alto livello anche nel fumetto "popolare", da Dago a certe pubblicazioni Bonelli. C'è, inoltre, una scuola di giovani autori che, con risultati brillanti, si sono impegnati in temi storici, contemporanei ma non solo. Ovviamente il potente impatto popolare di cui il medium fumetto ha goduto fino a non molti anni fa si è attenuato per il moltiplicarsi dei mezzi e dei modi di diffusione.

Colaone - Pensando ad autori come Hugo Pratt e Attilio Micheluzzi (ma ce ne sono molti altri) direi di sì. Il loro modo di raccontare, facendo entrare e uscire il lettore dalle quinte della Storia con tratto deciso e poco incline al decorativismo, ha creato una dimensione spazio-temporale assolutamente credibile e fortemente riconoscibile, che ancora oggi viene usato come marchio testimone di un certo stile di intrattenimento. Diverso è il caso di autori come François Bourgeon, il cui medioevo attentamente ricostruito è talmente reale e suggestivo da portare il lettore in quella dimensione, non quella dimensione nel contemporaneo.


Art Spiegelman, autore del pluripremiato Maus, sostiene che "il fumetto trasmette informazioni ad alta concentrazione con una sorta di codice che esemplifica il modo in cui il nostro cervello forma i pensieri e conserva i ricordi, fornendo a questo linguaggio una particolare intimità". Vi ritrovate in queste considerazioni?

Tisselli - Ne sono convinto; penso sia dovuto al fatto che il fumetto è un linguaggio per sua natura sintetico: le immagini e le inquadrature che si inseguono devono incastrarsi e collegarsi, quindi risultano forti e concentrate. Se si confrontano cinema e fumetto, per esempio, si possono leggere delle parentele ma anche delle differenze: tra queste c'è senzaltro la sinteticità del fumetto, sia a livello di immagini che di linguaggio.

Colaone - Spiegelman rielabora e arricchisce il concetto di medium freddo riguardo al fumetto: oltre alla richiesta di partecipare alla lettura completando gli spazi fra una vignetta e l'altra, la chiave in grado di spiegare la capacità di questo linguaggio nell'entrare in sintonia col lettore è proprio il segno grafico inteso come sintesi di pensiero. Ho disegnato un libro che racconta il confino degli omosessuali durante il periodo fascista e la domanda che spesso mi sento rivolgere è: perché un fumetto? È semplice: basta sfogliarlo. Il segno del fumetto ha un'immediatezza, una capacità di cogliere direttamente il punto, di penetrare direttamente nel pensiero del lettore, che pochi linguaggi hanno. Un grande fondale, un dettaglio, uno sguardo: in una pagina disegnata si possono raccontare decine di eventi simultanei, tutti importanti in una storia e tutti da cogliere con un unico colpo d'occhio. Alla domanda, insomma, rispondo con una domanda: quale altro linguaggio offre una tale penetrazione e al tempo stesso una tale accessibilità?

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