Rivista "IBC" XX, 2012, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / linguaggi, media, interventi
L'obsolescenza dei supporti fisici della memoria digitale, e tanto più quella dei relativi software di lettura, è fenomeno oramai troppo noto perché si debba sottolinearne anche qui la rilevanza. Basti soltanto ricordare, a questo proposito, la durata standard dei vari supporti adottati (in condizioni di gestione e di conservazione ottimale, condizioni che nella realtà operativa ben di rado si verificano), una durata notevolmente inferiore a quella di altri supporti documentari: dal microfilm, alla carta, alla pergamena. Oppure si pensi all'ingente sforzo normativo e procedurale compiuto dalle pubbliche amministrazioni per favorire un'adeguata conservazione degli archivi digitali. Ciò che qui si vuole invece sinteticamente esporre è un'ipotesi di procedura del tutto diversa, che possa però a sua volta contribuire alla salvaguardia della memoria digitale.
Almeno in certi ambiti (penso, per esempio, al mondo dei musei e, in particolar modo, agli scenari dell'arte contemporanea, delle sue opere e dei suoi altri fenomeni événementielles) questa memoria coincide del resto, quasi del tutto, con la memoria tout-court. Alla base di tale ipotesi, dunque, c'è una considerazione su una delle caratteristiche fondamentali del "prodotto digitale". Con la possibilità di venire fruito (ma potremmo anche dire "letto") secondo chiavi differenti, in una molteplicità di possibili sequenze e percorsi - penso qui alle informazioni "personalizzabili" di un ipertesto, ai dati forniti da un totem posto in un determinato contesto territoriale, ma anche alla molteplicità di scelte di una biglietteria ferroviaria self service - tale prodotto digitale ha più che una semplice somiglianza con una porzione territoriale intesa in senso geografico. Esso ricorda anzi, e fortemente, la raffigurazione cartografica di un territorio.
In un linguaggio iconico, che ci presenta alla vista con immediatezza una gran mole di informazioni complessive, poi separatamente individuabili per mezzo di una più o meno articolata codifica, il territorio viene trasposto simbolicamente come insieme. Starà poi a noi seguire un percorso oppure un altro, concentrarci sulle sue caratteristiche altimetriche, su quelle antropiche, o su quelle ambientali. Tuttavia, se un territorio può venire descritto secondo ottiche pressoché infinite - e avremo così diari di viaggio naturalistici, descrizioni storico-politiche, percorsi enogastronomici o industriali, e, perché no, cantari sentimental-erotici ("e in Spagna son già cento e tre...") - in un prodotto digitale la gamma dei possibili percorsi è relativamente ridotta dalla sua condizione originaria: il suo essere cioè opera dell'ingegno umano, e non della natura. Tuttavia la dimensione iconica ("val più un'immagine...") vi svolge un ruolo di primaria importanza. Basti pensare al fatto che i siti internet più "leggibili" prevedono quella che viene appunto definita la "mappa" del sito, e di nuovo si scopre un esplicito e niente affatto casuale rimando al mondo della cartografia.
Naturalmente, e ciò vale in particolar modo proprio per le raffigurazioni del territorio, la parte iconica - che può ridursi fino a limitarsi a una mappa sommariamente tracciata nei suoi punti essenziali con uno stecco nella polvere - può venire affiancata da una narrazione di carattere verbale, che a seconda dei casi potrà essere scritta oppure orale. Dall'elenco di porti, coste, prodotti e genti del Periplo del Mare Eritreo, alla narrazione - tra il geografico e il mitico - dell'Odissea, alle Istorie di Erodoto, al Milione di Marco Polo, ai viaggi e alle narrazioni autobiografiche di un Ibn Battuta, di un Babur, di un Giovanni da Pian del Carpine, fino ai quotidiani elenchi delle navi in arrivo nei grandi porti di mare o alle liste dei velivoli in partenza e in arrivo sui tabelloni degli areoporti: innumerevoli possono essere i documenti che, sia pure usando un linguaggio di tipo verbale, rimandano - esplicitamente, ovvero concettualmente - a un ampio insieme iconico di riferimento.1
In altri contesti, il passaggio da un linguaggio iconico a uno verbale (scritto e orale) è stato da tempo implementato, con un certo successo e secondo procedure man mano sempre più sicure. Si pensi alle descrizioni in linguaggio Braille di oggetti o servizi, e persino, sempre per ipovedenti e non vedenti, ai materiali messi a disposizione, con l'ausilio di un mediatore, perché, tra descrizione verbale e senso del tatto, si possa fare esperienza delle caratteristiche di una determinata scuola o tecnica artistica.2 In modo analogo, commenti audio consentono di rendere un filmato o delle immagini fotografiche relativamente fruibili anche agli ipovedenti, al pari dei commenti scritti, o prodotti nella lingua dei segni, inseriti a commento di audiovisivi e spettacoli in cui la parte acustica abbia rilevanza preponderante, a vantaggio di chi sia affetto da ipoacusia o sordità più o meno grave.
Dato tale contesto di riferimento, e considerata l'esigenza di contrastare gli effetti di deterioramento della memoria causati dall'obsolescenza di supporti fisici, programmi di fruizione e strumenti di lettura degli uni e degli altri, ecco dunque l'ipotesi. Piuttosto che limitarsi a rincorrere l'avanzare della tecnologia organizzando un protocollo di migrazione da una soluzione sistemica a quella successiva (cosa che sarebbe già di per sé assai meritoria, ma che tuttavia è poco diffusa), si potrebbe tentare di "aggirare" il problema, provando invece a convertire l'oggetto digitale in questione, facendolo migrare da un linguaggio di tipo iconico a una narrazione di tipo prevalentemente verbale.
Si intende che questo passaggio da un ambiente prevalentemente iconico a uno basato invece sostanzialmente sul linguaggio - cioè su una narrazione descrittiva riferita a un oggetto, a un contesto o a un evento - non potrà che porre problematiche peculiari. Si tratta infatti di una conversione da un ambiente essenzialmente sincronico (quello di tipo iconico) a un ambiente invece essenzialmente e spesso rigorosamente sequenziale, quale è quello della narrazione. Tale conversione implicherà, molto probabilmente, la perdita di una parte del contenuto. Essa richiederà inoltre, da un lato, un lavoro di priorizzazione per scegliere i "percorsi di lettura" da privilegiare per dare vita alla narrazione, e, dall'altro, di approssimazione, laddove non sia possibile rendere conto in maniera adeguata, sufficientemente chiara e non eccessivamente farraginosa, di tutte le possibili interconnessioni espresse dall'oggetto digitale considerato.
Eppure, superata la difficoltà di transcodifica da un ambiente iconico a uno narrativo, e preso atto dell'imperfezione della trascodifica stessa, tale procedura offre innegabili vantaggi. Anzitutto, occorre sottolineare come essa consenta di bypassare la fragilità nel tempo dell'oggetto digitale. Poiché questo non si trova più a dipendere dal proprio "meccanismo interno" di presentazione, una narrazione sequenziale che ne descriva, in maggiore o minore dettaglio, caratteristiche e principali percorsi contenutistico-formali diventa in grado di affrancarsi persino dal formato digitale dell'oggetto originario. Corredato o meno da immagini, suoni e filmati - tutti esemplificativi del contenuto originario dell'oggetto digitale e legati tra loro dal percorso narrativo - l'oggetto, dopo la transcodifica, potrà infatti continuare ad avere un formato digitale (che sarà tuttavia affrancato dai "meccanismi" proprietari, automatizzati o meno, della versione originaria). Ma potrà avere anche una forma analogica o, al limite, cartacea, con le immagini stampate secondo parametri conservativi adeguati alle esigenze di una durata protratta nel tempo (dal supporto agli inchiostri adoperati), e i filmati sostituiti da storyboards o sequenze essenziali di fotogrammi, a loro volta stampabili su di un supporto cartaceo o su microfilm.
Un magnifico esempio di transcodifica narrativa di un ambiente originario in cui "accadono cose", pur se non di carattere digitale, è contenuto nel capitolo undicesimo di Roads to Quoz: an American Mosey, in cui l'autore, William Least Heat-Moon, descrive per sette pagine l'ambiente-opera d'arte realizzato a Camden, Arkansas, da Indigo Rocket, un artista locale, che partendo da una storia ha costituito un insieme complesso e interconnesso, "una famiglia": "Una catastrofe uccide tutta la gente sopra i tre anni di età, e questo suscita l'arrivo dei Noggin, creature compassionevoli dall'intelligenza interscambiabile, le cui vite dipendono dalla collaborazione...".3 Nulla, se non l'esperienza diretta dell'insieme di installazioni, colmo di objets trouvés, luci, movimenti e suoni, potrebbe rendergli del tutto giustizia - così come soltanto un periodo trascorso rischiando la vita di persona, su di una baleniera ottocentesca partita dalle coste del New England, potrebbe cogliere per intero il sapore della caccia alla balena - ma è innegabile che la descrizione di Least Heat-Moon riesca a trasmettere buona parte del sapore originario di tale esperienza (così come quella, di assai più ampio respiro, del Melville di Moby Dick).
È del tutto evidente che in tale procedura di trasposizione non possano mancare anche degli svantaggi. Per esempio, non bisogna sottovalutare il carico di lavoro necessario a ottenere una transcodifica di livello elevato: se per alcuni aspetti la scomposizione in elementi di un oggetto digitale potrà essere anche semiautomatica, per l'individuazione di percorsi logici e per l'ottimizzazione interpretativa di un'opera un intervento umano sembra essere invece imprescindibile. Anche per quanto riguarda gli ingombri fisici dell'oggetto digitale e della strumentazione prevista per la sua ostensione e fruizione originaria, rispetto a quelli di una versione transcodificata ci potranno essere delle differenze (anche se non necessariamente a svantaggio della versione derivata). Eppure, se si mira alla migliore conservazione di un'opera e alla sua maggiore fruibilità nel tempo, sia pure in una sua versione "transcodificata", le problematiche di mero carattere organizzativo o logistico possono essere superate.
Note
(1) Per un esempio di trasposizione in linguaggio verbale di due mappe, si veda anche: A. Califano, Sulle mappe della Seta, "IBC", XVIII, 2010, 3, pp. 42-45.
(2) Esperienze molto avanzate in tal senso vengono per esempio condotte, già da decenni, presso i depositi accessibili del Museum of Anthropology all'Università della British Columbia a Vancouver, Canada (www.moa.ubc.ca).
(3) W. Least Heat-Moon, Le strade per quoz. In giro per l'America, traduzione italiana di M. Capuani, Torino, Einaudi, 2011, pp. 77-83.
Azioni sul documento