Rivista "IBC" XX, 2012, 1
musei e beni culturali, biblioteche e archivi / convegni e seminari, mostre e rassegne, storie e personaggi
Sarà un caso, ma c'è un anno, l'11, che ha segnato con curiosa costanza la storia della città di Mirandola e di una dinastia, quella dei Pico, nota alla storia per averla governata nei secoli, oltre che per aver dato alla luce condottieri e filosofi della levatura di Giovanni e Giovanni Francesco II. Era infatti il 1311 quando Francesco Pico de Lamirandula ricevette l'investitura del feudo dall'imperatore Arrigo VII; era il 1511 quando papa Giulio II, dopo un tormentato e controverso assedio, vinse le resistenze dei Mirandolesi entrando nella città; ed era il 1711 quando il duca Francesco Maria perse, per fellonia, il ducato.
Così, nel 2011, l'amministrazione comunale della cittadina modenese ha voluto celebrare questi anniversari con una serie di manifestazioni culminate in tre convegni, dedicati a ciascuno dei tre episodi, e in una mostra con cui è stata ripercorsa la parabola di quattro secoli di dominio pichiano.
Con il convegno di apertura del 22 ottobre, "Impero, signori, vicari", non è stata indagata soltanto la figura del primo feudatario: esso ha rappresentato infatti l'occasione per fare luce sulle vicende italiane negli anni della discesa dell'imperatore Arrigo VII e sulle modalità con cui questi esercitò la carica vicariale in area centrosettentrionale; e poi sulle dinamiche della consorteria Pico-Prendiparte in ambito emiliano e sul ruolo di Francesco, uomo d'arme, che in un sol colpo vide stabilizzato il suo ruolo di feudatario delle terre della Bassa Modenese, e quello di vicario imperiale in Modena (a cui peraltro dedicò maggior interesse). Il triste epilogo della sua esistenza lega Francesco a un altro personaggio di dantesca memoria, il conte Ugolino della Gherardesca: il Pico morì infatti di stenti, chiuso nella rocca di Castel D'Ario insieme ai suoi figli, per volere dell'odiato nemico, il terribile Passerino Bonaccolsi. E a questo tema è stata dedicata un'iniziativa collaterale, "Poscia più che il dolor poté il digiuno" (20 ottobre), una conferenza-dibattito durante la quale i versi dell'Inferno sono stati riletti alla luce delle implicazioni pichiane.
Di altro tenore i contenuti del secondo convegno ("Mirandola nell'Italia del papa guerriero", 19 novembre) dedicato alla presa della città da parte di Giulio II, avvenuta due secoli dopo, quando il potere dei Pico era già consolidato - seppur minato dalle contese fratricide - e la piazzaforte emiliana era già munita delle sue possenti mura. E anche in questo caso il convegno ha costituito l'occasione per gettare un sguardo al di là dell'episodio dell'assedio, il più noto ma non l'unico a cui fu sottoposta la cittadina emiliana nel corso del Cinquecento. Così, oltre alle circostanze e agli avvenimenti politici legati all'episodio occorso durante la campagna antifrancese di Giulio II, sono state indagate le armi e le tecniche poliorcetiche utilizzate nelle operazioni, ma anche l'immagine della Mirandola cinquecentesca restituita dalla cartografia storica degli assedi (tra cui va annoverato l'affresco del Danti tra le carte geografiche della Galleria Vaticana) e, in letteratura, la diffusione di "guerre in ottava rima" dedicate a questo episodio bellico.
Resta, comunque, la disincantata analisi che della figura di Giulio II fu operata dagli storici, tra cui il Guicciardini: un papa tenace e spregiudicato che, di fronte a un assedio che stava languendo, non esitò a mettersi in prima persona a capo delle operazioni militari. Ma la memoria letteraria di quell'assedio riecheggia anche in un carme di Baldassarre Castiglione, che nella finzione poetica rievoca il fantasma di Ludovico Pico, apparso in sogno al papa assediante con il proprio lamento; e anche questo episodio è stato colto come l'occasione di un evento collaterale, una conferenza-dibattito tenutasi il 10 novembre.
Con l'ultimo dei tre convegni ("La fine della signoria dei Pico nel teatro politico europeo", 17 dicembre) sono stati passati in rassegna gli ultimi anni del ducato, a cavallo tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, tra gli ultimi bagliori di una corte capace ancora di significative forme di mecenatismo e la scure imperiale, che di lì a poco, nel quadro della guerra di successione spagnola, avrebbe revocato lo stato mirandolese alla famiglia che lo deteneva da secoli.
Dalla giornata di studio, tra le altre cose, è emersa una nuova lettura della figura dell'ultimo dei signori di Mirandola: Francesco Maria, il "duchino", appellativo da cui traspare il senso di inadeguatezza attribuitogli da tanta parte della storiografia. Salito troppo precocemente sul trono dello stato a causa della morte prematura del padre, sostanzialmente abbandonato in tenera età dalla madre, rampolla della potente famiglia romana dei Borghese (che tornò nella casa paterna per poi risposarsi a Napoli), fu affidato alle cure della prozia Brigida Pico, figura peraltro di dubbie capacità politiche. Dopo la perdita dello stato riparò a Venezia e poi a Madrid, dove restò fino alla morte (1747). Gli studi recenti evidenziano come egli tentò con grande sagacia, anche se inutilmente, di riacquisire lo stato. Il convegno ha mostrato come egli, nonostante le progressive ristrettezze economiche, non rinunciasse a significative iniziative di protezione a favore di artisti.
Del clima culturale e degli sfarzi degli ultimi anni di vita di questa corte hanno reso testimonianza due eventi collaterali, una conferenza dedicata alla musica a Mirandola negli ultimi anni della signoria (1 dicembre) e un concerto eseguito dall'orchestra da camera "Accademia degli Invaghiti" (7 ottobre) che dopo tre secoli ha fatto risuonare musiche originali di corte nella chiesa barocca del Gesù.
Resta il fatto che gli inizi del XVIII secolo rappresentarono, così per i Pico come per Mirandola, un momento di particolare gravità, e la città fu fatalmente colpita anche nel patrimonio culturale. Alla caduta dello Stato, per volere dell'amministrazione cesarea rappresentata dal governatore Filippo D'Assia Darmstadt, i beni mobili e la biblioteca ducale finirono a Mantova; invece i documenti e gli atti, anche a seguito dello scoppio della torre-archivio avvenuto nel 1714, finirono in parte dispersi, in parte ripararono presso l'archivio degli Este, i nuovi signori, a Modena (dove tuttora sono conservati all'Archivio di Stato).1
La mostra, inaugurata il 16 dicembre scorso e aperta fino al 15 aprile 2012, sembra proprio voler sopperire a questa triste diaspora, quasi ad assolvere al duro prezzo imposto a Mirandola dalla storia. Se per i curatori non deve essere stato semplice ricostruire le fila di questa dispersione, all'impresa non è tuttavia mancato il sostegno di una lunga tradizione di studi e di ricerche, avviato fin dall'Ottocento, e che anche recentemente, come si dirà più avanti, ha portato a significativi risultati.2
Delle sette sezioni in cui è articolata l'esposizione, accolta nelle sale del Castello, desta scalpore quella dedicata alle figure dei Pico; è stata infatti qui raccolta una ricchissima selezione di documenti e di ritratti dei principali protagonisti della famiglia; sono visibili, tra l'altro, il diploma di investitura di Enrico VII a Francesco e il rinnovo dell'investitura di Massimiliano d'Asburgo al conte Giovanni Francesco II (1515). Suona agghiacciante la lettera con cui, nel 1533, Galeotto II Pico comunica al duca di Mantova di aver conquistato il castello a prezzo della vita dello zio, nell'ambito delle faide interne alla famiglia per il controllo dello stato; né a questo proposito deve stupire il fatto che Carlo V, forse leggendo la crudeltà di tali manifestazioni, definisse "Mirandola loco securo de li banditi, causa delle ruine dell'Italia e loco dove si accumulano i ribaldi de l'Italia e di tutti gli amazatori". Narrano di un diverso clima i documenti e i ritratti che testimoniano la storia del secondo Cinquecento e del Seicento: vanno ricordati il dipinto e le testimonianze documentali di Fulvia Pico da Correggio, moglie di Ludovico II, accortissima regnante, e la ricca ritrattistica di Alessandro I, protagonista, insieme al figlio Alessandro II, della fastosa stagione della corte nel XVII secolo.
E proprio ai fasti dell'ultima stagione è dedicata una sezione della mostra che ripercorre le committenze. Almeno due sono, al riguardo, i principali episodi ricordati: il primo è il cantiere di Sante Peranda, che realizzò per il castello alcuni cicli pittorici, tra cui uno dedicato al mito di Psiche, di apuleiana memoria (e di cui sono esposte due tavole, conservate a Palazzo Ducale di Mantova), e un altro dedicato alle età del mondo; il secondo episodio risale all'acquisizione, da parte di Alessandro II Pico, nel 1688, della collezione del veronese Giovan Pietro Curtoni, dispersa da Francesco Maria, ma le cui sorti, almeno in piccola parte, sono state recentemente ricostruite. In una specifica sezione sono riportate anche le testimonianze di scrittori, compositori e musicisti che frequentarono la corte (si ricorda, tra l'altro, la presenza di Monteverdi, nel 1607) e dedicarono opere di letteratura e di teatro ai Pico.3
Ma, passeggiando per le sale, merita una particolare attenzione la presenza di diversi volumi provenienti dalla biblioteca ducale, che per la prima volta tornano nella città da cui provenivano. Tale biblioteca, come si è detto, dopo la fine del dominio pichiano finì a Mantova insieme agli arredi di corte, ma di essa si perse la memoria. Per varie vicende, confluì in gran parte nell'attuale Biblioteca comunale Teresiana, e solo recentemente è stata identificata.4 I libri esposti restituiscono comunque un'immagine della ricchezza della raccolta originaria: fanno sfoggio di sé alcuni preziosi volumi, tra cui un esemplare dei Discorsi del Mattioli con legatura alle armi gentilizie di Fulvia Pico da Correggio, e un esemplare del Decretum di Graziano nell'edizione parigina del 1585, con legatura alle armi di Alessandro I.
Quella che emerge, in definitiva, è quasi una dinastia sospesa tra il cielo e la terra; un cielo di committenze e di azioni di mecenatismo, di acquisizioni di opere d'arte e di preziosi libri; e una terra, fatta di un dominio faticosamente mantenuto, ora con il lavoro della fine diplomazia, ora con la forza delle armi. E a questa terra ci riportano bruscamente due sezioni della mostra, di cui una raccoglie un'impressionante raccolta di armi che vanno dal XV al XVII secolo: spade, pugnali, armature, balestre, armi da fuoco; l'altra è dedicata allo sviluppo della Mirandola fortificata con le sue possenti mura, dapprima quadrangolari e poi a stella.
In conclusione, quale lascito rimane da questa serie di iniziative? Innanzitutto il beneficio di un evento diffuso nell'arco di quasi un anno, che ha stimolato in modo significativo l'attenzione del pubblico. I diversi livelli di approfondimento dei convegni e degli eventi collaterali hanno saputo intercettare sia il pubblico vasto dei cultori e degli studenti, sia quello più selettivo degli esperti. Ciò anche grazie al coinvolgimento di diversi livelli di competenze: accanto a docenti provenienti dalle diverse università italiane e straniere (tra cui Bologna, Verona, Vercelli, Leeds) hanno partecipato attivamente agli eventi esperti e docenti del territorio, provenienti da contesti extraaccademici. E, non da ultimo, resta il valore del coraggio per un'iniziativa di grande respiro, promossa in un periodo tutt'altro che prospero per la cultura.
Note
Un sentito ringraziamento va a Pierpaolo Bonacini (Università di Bologna) per la fattiva collaborazione nella raccolta di materiali e informazioni utili alla stesura di questo contributo.
(1) Per le vicende dell'archivio dei Pico si rinvia a: L'archivio del Torrione. La memoria dispersa dei Pico, a cura di A. Spaggiari, Mirandola - San Felice sul Panaro (Modena), Cassa di risparmio di Mirandola - Gruppo studi Bassa modenese, 2008.
(2) Quasi a voler riprendere le fila di questa lunga tradizione di studi, il titolo della mostra, "La Signoria Pico: 400 anni in mostra", riprende quello di un'antica cronaca anonima, edita nel 1874 dalla "Commissione Municipale di Storia Patria e di Arti Belle della Mirandola", sodalizio attivo tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, e che curò importanti edizioni di fonti per la storia della città dei Pico. L'attenzione sulla ricostruzione delle vicende dell'antico ducato e del patrimonio, anche culturale, è stata ravvivata a partire dalla seconda metà del Novecento, e in particolare dagli anni Novanta.
(3) Si veda per esempio: M. Longo, N. Michelassi, Teatro e spettacolo nella Mirandola dei Pico, 1468-1711, Firenze, Olschki, 2001.
(4) Per una ricostruzione della scoperta si rinvia a: La biblioteca dei Pico nel palazzo ducale di Mirandola. Il catalogo del 1723, a cura di G. Montecchi, Mirandola (Modena), Gruppo studi Bassa modenese, 2006.
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