Rivista "IBC" XIV, 2006, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / progetti e realizzazioni, leggi e politiche
Si infittiscono, in Emilia-Romagna, le segnalazioni di reperti e tracce materiali che testimoniano il passaggio del fronte durante l'ultimo conflitto mondiale, mentre numerose amministrazioni locali, gruppi di cittadini e associazioni culturali intervengono per la loro tutela e valorizzazione. Un patrimonio considerato finora "minore" ma che diviene occasione e strumento per la narrazione della storia contemporanea e per mantenere viva la memoria di quella stagione storica. A differenza del monumento commemorativo che si propone di trasmettere un messaggio etico, fortemente intenzionale, il manufatto di natura civile o militare (rifugio, galleria, baracca, fortificazione, trincea, ecc.), che Régis Debray definisce "monumento-traccia", è un documento senza alcuna motivazione etica o estetica, costruito non per dire qualcosa ma per essere utile: esso non rimanda a una istituzione ma è "mescolato al quotidiano, al terreno, alla vita" e conserva un forte valore di evocazione e di emozione.
Ed è alla luce di queste suggestioni che possiamo leggere recenti iniziative portate avanti in regione da soggetti diversi: a Casalecchio di Reno (Bologna), l'amministrazione comunale ha riaperto al pubblico, dopo averlo messo in sicurezza, il rifugio antiaereo "Ettore Muti", costruito agli inizi degli anni Quaranta all'interno del Parco Talon (oggi Parco della Chiusa). Si tratta di un'ampia costruzione scavata nella roccia, dove parte della popolazione civile trovò riparo in occasione delle numerose incursioni aeree che l'abitato subì da parte delle formazioni anglo-americane. Importante snodo stradale e ferroviario attraverso cui passavano i rifornimenti alle truppe tedesche impegnate sul fronte sud, sede di officine meccaniche convertite nella produzione bellica, di depositi e magazzini militari, di acquartieramenti, comandi e postazioni tedesche, Casalecchio, alle porte di Bologna, a partire dal giugno 1944, e fino al 20 aprile 1945, fu oggetto di devastanti bombardamenti che causarono centinaia di morti e distrussero il 90% degli edifici e delle infrastrutture. Nell'estate del 2006 ha preso avvio una rassegna, "I rifugi della memoria", con visite guidate sui luoghi simbolo di quella tragedia, documentari e testimonianze dirette dei protagonisti dell'epoca: civili, in maggioranza donne, e partigiani, che coi loro racconti permettono di ricostruire il clima di quegli anni e aiutano a tramandare una memoria non rituale, che diventa anche riscoperta di un territorio e di una comunità.
Nel capoluogo regionale, l'Associazione culturale "Amici delle acque e dei sotterranei di Bologna" - da anni impegnata a far conoscere quel ricco patrimonio di infrastrutture idrauliche che da secoli fornisce alla città l'acqua potabile e che a lungo ha fornito l'energia per muovere i telai meccanici per la lavorazione della seta, collegando direttamente la città con il porto di Venezia - ora si sta occupando anche di individuare e rendere accessibili al pubblico i numerosi rifugi utilizzati tra il 1943 e il 1945 per ospitare sinistrati, sfollati e civili durante le incursioni aeree. Mentre i rifugi privati erano ricavati negli scantinati delle abitazioni, adeguatamente rinforzati o costruiti secondo i criteri imposti da un Regio Decreto del 1936, i rifugi pubblici erano predisposti nei grandi edifici pubblici o costruiti in aree demaniali. Questi ultimi dimostrarono tutta la loro inadeguatezza dopo i primi violenti bombardamenti sulla città: il 25 settembre 1943, la galleria in cemento armato costruita sotto via Marconi per il passaggio del canale Cavaticcio crollò seppellendo centinaia di civili. Si provvide allora a costruirne di nuovi, soprattutto in galleria, preferibilmente sotto le colline, portando la capienza complessiva dalle iniziali 26.000 a circa 100.000 persone.
Con l'occupazione tedesca nel settembre 1943, oltre ai rifugi per i civili, in città furono approntati anche rifugi a uso esclusivo dei comandi tedeschi: uno di questi era stato predisposto in una villa situata in via Saragozza, a poca distanza da un altro rifugio per civili costruito in galleria nei pressi del Meloncello, e doveva garantire la salvezza di 30 ufficiali tedeschi di alto rango. All'interno dell'edificio, una lunga scalinata porta a un dedalo interrato profondo 26 metri composto da numerose gallerie spaziose, fornite ancora dell'originale impianto elettrico, con un'aerazione garantita da un grande camino di 23 metri. Il rifugio, con un'uscita posteriore nell'ampio giardino, dopo la fuga dei tedeschi era stato occupato dagli inglesi, che vi avevano installato una potente stazione radio, al punto da costruirvi una garitta e una possente schermatura in cemento armato. A seguito di un accordo tra l'Associazione e la proprietà, il rifugio, perfettamente conservato, sarà visitabile quanto prima.
Ma la segnalazione certamente più suggestiva riguarda i rifugi di Castiglione, situati nel comune di Forlì, nelle colline a sud-ovest della via Emilia, in un'area caratterizzata da affioramenti geologici di cordoni sabbiosi fossili chiamati "Sabbie Gialle" e risalenti a un milione di anni fa, quando tutta la zona si trovava più in basso, in prossimità di un ambiente di litorale ricco di sedimentazioni di tipo fluviale e marino. Si tratta di cunicoli scavati dagli abitanti della zona a partire dall'estate del 1944, quando, in preparazione dell'attacco alla Linea Gotica, gli alleati pianificarono massicce incursioni aeree sulle città di Faenza e di Forlì, sui depositi militari, sulla rete stradale e ferroviaria, sulle infrastrutture civili e militari, per indebolire le difese tedesche. Nel mese di settembre, a seguito dell'invito degli alleati ad allontanarsi di almeno tre chilometri dalla via Emilia, dai centri urbani vicini accorrevano i primi sfollati, accolti all'interno delle abitazioni. Alla fine di ottobre, con l'avvicinarsi del fronte, i tedeschi requisirono tutte le case coloniche installandovi postazioni militari, minando le strade e i campi agricoli circostanti. I civili, che erano passati dalle iniziali poche centinaia di abitanti a oltre un migliaio, furono allontanati dalle abitazioni e ripararono nei rifugi che nel frattempo erano stati febbrilmente scavati nelle sabbie più resistenti, in grado quindi di sostenere una grotta e i colpi di un bombardamento.
Ai primi di novembre la pressione alleata era enormemente aumentata, con continui mitragliamenti aerei sulle postazioni di resistenza tedesca predisposte nei pressi della Chiesa di Castiglione e più su, a Talenta, utilizzando civili rastrellati proprio nei rifugi. Liberata Forlì il 9 novembre, il fronte investiva tutta l'area a partire dal 16 e vi sostava per alcuni giorni, durante i quali tedeschi e alleati si fronteggiavano a distanza di pochi metri, con i rifugi collocati esattamente in mezzo ai contendenti. Inchiodati nelle tane mentre tutt'intorno piovevano le granate tedesche e i colpi dell'artiglieria alleata, durante qualche breve pausa dei combattimenti i civili tentavano, a gruppi, pericolose sortite per procurarsi dell'acqua da una cisterna posta in territorio controllato dai tedeschi, e del latte presso un colono la cui casa era già in mano alleata. Dopo un'intera notte di fuoco, preludio dell'avanzata, finalmente il mattino del 21 terminava il bombardamento, e con esso la paura dei crolli: in un rifugio, a causa dello sgretolarsi del soffitto, si era temuto il peggio. Superato il Còsina e occupate San Mamante e Oriolo, le truppe alleate si spostavano verso Faenza, lasciandosi alle spalle distruzioni fisiche, paura e dolore.
Don Rino Ranieri, parroco di Castiglione, che di quei giorni ha lasciato vivida testimonianza in un diario integralmente pubblicato dall'Associazione "Amici di Castiglione", era riuscito a salvare la sua chiesa e la sacrestia dai tedeschi che volevano minarla. Ai primi di dicembre, assistendo impotente alla sua distruzione per mano di un gruppo di genieri inglesi che la demolivano per ricavare macerie per sistemare la strada, esclamava amaramente: "Ah! Questi inglesi! ti liberano seminando la morte, ti cacciano i tedeschi abbattendo a una a una le case [...], ti bruciano il mobilio senza pietà, ti portan via le macerie, ti distruggono quel poco di casa che rimane fra le distruzioni [...]". E commentando la fine delle ostilità e la difficile ripresa della vita civile, esprimeva tutto il suo pessimismo con queste parole: "È caduto il fascismo, siamo stati liberati, ma non c'è da illudersi. Rimaniamo dei vinti a cui chissà per quanto tempo sarà fatto sentire il peso delle catene [...]".
Abbandonati dopo la guerra e dimenticati per anni, questi rifugi, drammatica testimonianza storico-culturale degli avvenimenti di quel periodo, rischiano di scomparire perché su tutta l'area grava una concessione di scavo per ricavarne sabbia. Per la loro salvezza si è costituita l'Associazione "Amici di Castiglione", impegnata a sensibilizzare il Comune di Forlì, la Provincia di Forlì-Cesena, la Regione Emilia-Romagna, varie istituzioni culturali, e la stessa popolazione locale, per ottenere almeno la revoca della concessione. In seguito a dei sopralluoghi, non ancora conclusi e che potrebbero riservare ulteriori sorprese, sono state individuate numerose grotte, alcune sparse, altre raggruppate. Fra queste ultime, quelle di Castiglione sono una trentina, in gran parte ancora accessibili e ben conservate.
Le grotte sono state costruite per lo più secondo una medesima tipologia: uno scavo centrale ad arco poggiante su robuste colonne, a forma di staffa di cavallo, con due o tre aperture verso l'esterno per permettere agli occupanti la fuga in caso di crollo di un ingresso. L'interno è costellato di piccole nicchie per appendere le lucerne e di mensole per appoggiare oggetti o viveri; lungo i fianchi si aprono ulteriori locali a fondo cieco che servivano per accogliere gli occupanti. All'ingresso di questi locali sono ancora visibili i fori dei chiodi che sostenevano un sipario di fortuna, unico mezzo per garantire un briciolo di riservatezza anche nelle condizioni più disagiate.Il territorio intorno ai rifugi, inoltre, essendo in una posizione impervia e con forte pendenza, inutilizzabile per la coltivazione agricola, è stato colonizzato da numerose specie di flora e di fauna, protette dalla legislazione nazionale e regionale, creando così una preziosa oasi ecologica che rischia anch'essa di essere irrimediabilmente distrutta.
L'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, a partire dal 1997, attraverso l'elaborazione del progetto regionale "Linea Gotica", aveva posto all'attenzione degli amministratori pubblici il problema della tutela e della valorizzazione di tutto quel patrimonio storico costituito da manufatti e testimonianze fisiche risalenti al passaggio del fronte e alla lotta di liberazione: un patrimonio la cui importanza, per la vastità e l'ampiezza dei soggetti coinvolti in quel conflitto di dimensioni mondiali, travalica i confini regionali e nazionali. Le iniziative in corso per salvare i rifugi di Castiglione, insieme alle altre qui richiamate, dimostrano quanto sia sviluppata la sensibilità dei cittadini nei confronti delle proprie radici storiche e culturali, e confermano quanto sia attuale e urgente arrivare a una legislazione di tutela.
E proprio sul terreno legislativo va segnalata la Proposta di legge di iniziativa parlamentare n. 4374 (prima firmataria l'onorevole Elena Cordoni) ripresentata alla Camera il 28 aprile 2006, attualmente in attesa di iniziare l'iter in Commissione cultura (dove è presente l'onorevole Manuela Ghizzoni, cofirmataria della Proposta). La proposta riconosce il valore altamente testimoniale e simbolico delle vestigia della Linea Gotica e impegna lo Stato, le Regioni Toscana, Emilia-Romagna, Marche e gli enti locali, a garantire forme di tutela e valorizzazione. La proposta sta ancora muovendo i primi passi, ma è importante che sia stata elaborata e presentata perché può essere sin da ora uno strumento di forte sensibilizzazione verso gli amministratori pubblici e favorire decisioni che anticipano lo spirito e le disposizioni della legge.
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