Rivista "IBC" XIV, 2006, 2
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / convegni e seminari, interventi, pubblicazioni
A un anno dal seminario bolognese per la presentazione del volume La storia a(l) tempo di Internet. Indagine sui siti italiani di storia contemporanea (2001-2003) proseguiamo in questo numero la pubblicazione degli interventi di alcuni dei relatori della giornata di studi (per la prima parte si veda il n. 4 del 2005). Il volume - curato da Antonino Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo e Stefano Vitali per l'edizione congiunta dell'IBC e dell'editore Pàtron - è il frutto di un'indagine condotta da un autorevole gruppo di ricercatori con il sostegno della Soprintendenza regionale per i beni librari e documentari. Proponiamo qui l'intervento di Anna Lisa Tota, docente di Analisi della comunicazione pubblica e di Teorie e tecniche dei cultural studies all'Università Roma Tre.
Quanto conta il passato nel discorso pubblico di una nazione? Qual è il ruolo delle memorie collettive nei processi attraverso cui le identità nazionali prendono forma? Occorre interrogarsi sul controverso rapporto tra passati scomodi da commemorare e identità nazionali da costruire. In tal senso la questione centrale concerne la definizione stessa dello spazio istituzionale che una nazione è disposta - o costretta - a concedere all'elaborazione pubblica delle sue memorie più scomode. Tale spazio può dipendere da numerosi fattori, fra i quali non ultimo la pressione internazionale verso l'assunzione di responsabilità collettive e/o nazionali. Si pensi per esempio al dibattito che seguì in Germania all'Historikerstreit e a come la difficile elaborazione del trauma della Shoah sia divenuta una parte centrale nella definizione contemporanea dell'identità nazionale tedesca.1 Vi sono tuttavia passati controversi rispetto ai quali la pressione internazionale è un fattore quasi del tutto ininfluente. Come si configurerà allora la volontà istituzionale di ricordare (o di dimenticare) e quali saranno le conseguenze implicate dalle politiche della memoria sull'elaborazione collettiva delle identità nazionali?
Memoria pubblica e identità nazionali
La riflessione sulla memoria si è occupata estesamente del rapporto tra narrazioni istituzionali del passato e identità nazionali, partendo dall'insieme di prospettive teoriche che guardano alla memoria dal punto di vista della sua inscrizione nello spazio pubblico. Rielaborando la riflessione originaria di Maurice Halbwachs,2 i termini chiave del dibattito sono stati il rapporto tra memoria e potere, i processi di legittimazione del passato, i processi di dislocazione delle memorie, i "generi commemorativi".3 In particolare, un contributo fondamentale all'analisi del ruolo della memoria nella costruzione delle identità nazionali si deve a Gillis, che allude a vere e proprie "politiche nazionali della memoria".4 Se da una parte le memorie sono continuamente riviste e rinegoziate alla luce delle esigenze delle identità nazionali attuali (riprendendo la nota intuizione di Halbwachs, secondo cui la memoria del passato è un costrutto in fieri orientato dagli occhi del presente), dall'altra l'identità nazionale prende letteralmente forma a partire dal passato che "mette in scena".
Questa prospettiva mette a fuoco il carattere costruttivo sia delle rappresentazioni di ciò che fu, sia dell'identità nazionale stessa, finendo per confluire nella riflessione di molti studiosi contemporanei.5 La narrazione delle identità nazionali passa attraverso la localizzazione delle culture, prende forma nel patrimonio culturale della nazione stessa. Dal contributo di Anderson sulle nazioni come "imagined communities",6 l'analisi della costruzione discorsiva delle identità nazionali ha assunto un nuovo rilievo nel dibattito internazionale, focalizzando l'attenzione sia sulle pratiche discorsive, sia sul rapporto tra forme culturali della memoria e pratiche istituzionali di inscrizione del passato nell'identità nazionale - come per esempio le cerimonie commemorative, l'istituzione di nuove festività nel calendario nazionale o le tradizioni inventate.7
La memoria pubblica che sottende l'idea di nazione che abbiamo in mente, non si dà in astratto, ma si attualizza nelle pratiche sociali (le commemorazioni, le cerimonie civili), negli artefatti culturali (una mostra, una canzone, un inno nazionale, un quadro, un romanzo, un film o un testo teatrale) e nei discorsi sulle pratiche e sugli artefatti (per esempio, il dibattito sulla legittimità di un certo genere commemorativo). In tale prospettiva, analizzare il rapporto tra memoria pubblica e identità nazionali significa interrogarsi sulle forme culturali e sui generi commemorativi che si sono consolidati per l'inscrizione di un certo passato nel discorso pubblico. Significa al contempo svelare quali sono i passati che mancano all'appello e che non hanno trovato espressione nel patrimonio culturale di una nazione.
Infatti c'è anche un passato celato, nascosto, mai rappresentato, un lato oscuro delle memorie, aspetto nero che coincide con il non detto, il non ricordato, il rimosso. Coincide con ciò che nel patrimonio culturale di una nazione è stato soppresso. Si tratta talora di passati che, non essendo stati scritti, né messi in scena nello spazio e nel tempo delle città che li abitano, finiscono per essere sempre latenti, pronti a riaffiorare e a rivivere nel presente, non appena riescono a prendere forma. Le nostre città sono piene delle tracce silenziose di queste memorie senza dimora, frutto di veri e propri processi di dislocazione: anche le assenze, infatti, difficilmente possono essere assolute. Le politiche dell'oblio passano per il ridimensionamento, per una rappresentazione sminuita e farsesca di ciò che è stato.
Nella contemporaneità i casi controversi, i passati scomodi da commemorare, sono assai numerosi: accade sempre più spesso che differenti rappresentazioni sociali del passato si trovino a competere fra loro nell'arena dei mercati culturali e politici, per fissare e legittimare socialmente una data versione di un certo evento. Tale competizione si fa tanto più accesa quanto più si tratta di passati incompiuti, difficili da ricostruire e da legittimare. Queste guerre simboliche mettono sempre in scena processi in cui sono in gioco sia le definizioni dei corsi di azione e degli eventi che furono, sia le immagini usate per rappresentarli. Le tracce di questi conflitti, gli indizi di queste battaglie tra memorie individuali e collettive, tra ricordi del passato e storia ufficiale stanno nelle pieghe dei muri, nelle lapidi e nelle iscrizioni su cui talvolta distrattamente posiamo lo sguardo, quando di corsa percorriamo le strade delle nostre città.
Queste tracce rappresentano un materiale prezioso da analizzare: la loro storia è spesso quella delle alterne vicende che hanno segnato la commemorazione di un certo evento, è la storia dei silenzi istituzionali che hanno coperto un passato da dimenticare. Sono le memorie temporaneamente cancellate dalla versione dei vincitori, pronte a riaffiorare non appena le vittime torneranno ad avere il potere di raccontare. La memoria pubblica di una nazione non può ignorare queste memorie, che invocano di essere adeguatamente trascritte nell'identità nazionale.
La memoria culturale
Se è vero che la memoria è un ingrediente fondamentale per la formazione delle identità nazionali, è altrettanto vero che i pezzi di passato che attivano questi processi prendono forma negli artefatti culturali, nei simboli della memoria. Da Assmann in poi,8 il concetto di memoria culturale ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale. Gli artefatti culturali contribuiscono a costruire e ricostruire la memoria collettiva di una società. Si tratta di analizzare in che modo gli oggetti culturali intervengano come risorsa o come vincolo nei processi che trasformano le memorie collettive in dimensioni fondanti delle identità nazionali. Vi sono casi in cui gli artefatti culturali diventano risorse per riconciliarsi con un passato scomodo e casi in cui un monumento diviene l'arena in cui negoziare la versione ufficiale di un passato molto controverso, come nel caso del Vietnam Veterans' Memorial.9 In tale prospettiva la produzione di oggetti o luoghi commemorativi diviene un'arena antagonistica in cui gruppi sociali, portatori di valori e culture differenti, si scontrano per negoziare le definizioni sociali della realtà. Tali oggetti o luoghi funzionano come possibili fabbriche della storia e delle identità nazionali.
Vi sono tempi del discorso pubblico in cui tali luoghi o artefatti culturali acquistano una visibilità eccezionale rispetto alla quotidianità: si tratta delle cerimonie commemorative e dei rituali che vengono messi in scena intorno ad alcuni pezzi altamente simbolici dell'arredo urbano delle nostre città. Le cerimonie commemorative sono processi altamente conflittuali: potenzialmente, quando esse hanno luogo, si attivano una serie di dinamiche antagonistiche che devono trovare una forma di rappresentazione. Ogni volta che un'istituzione politica o culturale è chiamata a spendere la propria voce e il proprio peso per commemorare un certo evento, di fatto essa è chiamata a formulare per la prima volta, oppure a reiterare, una valutazione. Come sottolinea Jedlowski,10 gruppi diversi, che hanno valori e visioni della realtà diversi, si batteranno per ricordare gli eventi e le persone in modo diverso. Commemorare, dunque, comporta in primo luogo competere per una certa definizione sociale di un evento.
Poiché l'esito di una commemorazione implica sempre una valutazione di ciò che è accaduto, attorno a questo tipo di processi si addensano forti tensioni conflittuali. A seconda di come queste tensioni sono affrontate e ricomposte durante il processo commemorativo, si avranno definizioni dell'evento in questione più o meno ambivalenti. Tale ambivalenza, lungi dal manifestarsi in astratto, si renderà visibile attraverso le forme culturali della memoria disponibili in quella data circostanza. Si avranno differenti artefatti della commemorazione: monumenti, statue, bandiere, diari. La natura di questi artefatti è spesso di tipo culturale: essi quindi, pur piegati alle ragioni del processo commemorativo, continuano a parlare con il linguaggio che è loro proprio.
Questa è una dimensione cruciale per la riflessione teorica e la ricerca empirica su questi temi: commemorare attraverso una statua o attraverso un monumento significa esprimere valutazioni e definizioni di ciò che è accaduto all'interno di un insieme prefissato di vincoli espressivi, significa parlare entro un codice, se non altro perché chi ascolta senza essere direttamente investito dal processo commemorativo (perché, per esempio, non è un familiare di una delle vittime dell'evento) vede in primo luogo un monumento e solo successivamente la causa per cui è stato eretto. Attiverà pertanto nei confronti di quell'oggetto culturale i comportamenti, gli atteggiamenti e le aspettative che, nella sua esperienza precedente, ha legato e connesso a quella specifica forma culturale.
Quando la commemorazione parla il linguaggio di un oggetto culturale, i soggetti - soprattutto quelli che non sono stati direttamente testimoni degli eventi che si commemorano - sentono parlare il monumento, il museo, con tutte le implicazioni, le risorse e i vincoli che ciò comporta. Si pone dunque la questione del modo in cui il tipo di medium impiegato nel processo di oggettivazione influisca sui contenuti della memoria stessa. Come sottolinea Wagner-Pacifici,11 c'è un problema di genere della presentazione nel caso della memoria o, in altri termini, di forma dell'oggettivazione. Viene da chiedersi: perché in un caso la memoria collettiva si incarna in un diario e in un altro in un muro nero, lucido, con file di nomi sconosciuti che si susseguono? Come si fissa quel legame provvisorio, ma al contempo stabile, che lega un artefatto a un periodo, a un insieme di eventi e a una loro particolare ricostruzione? Possiamo ipotizzare che se la memoria si oggettiva in un monumento, le caratteristiche strutturali del monumento come medium, attualizzando quella memoria, le diano letteralmente forma?
In questa prospettiva, studiare le alterne vicende istituzionali dell'artefatto di memoria è un modo efficace per guardare alle pratiche sociali della memoria e della commemorazione. Il modo in cui la memoria si oggettiva è socialmente definito e culturalmente determinato. Ciò evidentemente rende possibili certe memorie e non altre. I codici espressivi della memoria non possono essere pensati come neutrali, così come non lo è mai nessun codice. Le poetiche della memoria (cioè le sue forme culturali e narrative) divengono, in tale prospettiva, le dinamiche sociali che rendono la memoria possibile.
In ogni nazione vi sono istituzioni che sanciscono quali siano le forme della memoria legittime e illegittime. Vi sono tipi diversi di forme della memoria che spesso si intrecciano fra loro: politiche (come una commemorazione ufficiale), culturali (come un museo di storia naturale), artistiche (come un museo sull'arte etnica). Vi è sempre un problema di adeguatezza del codice espressivo - della forma della memoria - rispetto all'evento da ricordare. In tal senso la domanda pertinente è: "Il genere della memorizzazione è appropriato all'evento? Cosa succede quando le forme della memoria mutano nel tempo o da una cultura all'altra?".12 Se si pone la questione dell'intreccio dinamico di forma e memoria, si giunge a riconoscere il ruolo di potenti istituzioni della memoria che detengono il monopolio dei codici espressivi. In ogni nazione esiste un complesso design della memoria, i cui narratives sono costruiti e ricostruiti all'intersezione tra definizioni istituzionali e attività del ricordo soggettive.
Identità nazionali e "messa in patrimonio"
Il patrimonio culturale rappresenta idealmente anche una sorta di "messa in scena" delle memorie egemoniche di una nazione, cristallizzate nei monumenti, nei musei, nelle statue, nelle collezioni pubbliche e private, negli inni nazionali e nei diversi repertori musicali. Talora tali memorie - e i simboli che le rappresentano nello spazio pubblico nazionale - sono messe in discussione dalle contro-memorie di un dato gruppo sociale come, per esempio, un'associazione dei familiari delle vittime che, attraverso un'intensa attività politica e istituzionale sulla memoria di un certo passato, rivendica a sé il diritto all'ultima parola su ciò che avvenne.13 Il rapporto tra memorie collettive, identità nazionali e cultural heritage è estremamente complesso. In tal senso il concetto di comunità immaginate, la riflessione sui luoghi della memoria, e il dibattito su identità, heritage e storia,14 hanno contribuito efficacemente a mettere in relazione il patrimonio culturale con l'analisi delle identità nazionali.
I luoghi della memoria acquisiscono un ruolo prioritario nella costruzione del cultural heritage quando, attraverso l'investitura dello statuto di monumenti, diventano "beni" da preservare per le generazioni future. Le virgolette sono d'obbligo se si pensa che in tale prospettiva Auschwitz diviene parte del cultural heritage della Germania contemporanea, nel senso di luogo simbolo di quel male assoluto che ha prodotto la Shoah. Accade cioè che un certo sito commemorativo, un certo monumento a cui si riconosce un nesso privilegiato con la memoria e/o la storia di un passato altamente significativo o controverso, transitino attraverso il delicato processo della "messa in patrimonio" o "patrimonializzazione". Occorre ricordare che questo processo, lungi dall'essere un'operazione neutrale, risponde a una precisa articolazione politica del rapporto tra presente e passato.
Tuttavia non si tratta soltanto di questo: la messa in patrimonio di un luogo della memoria è lo spazio simbolico in cui si articolano le politiche dell'identità nazionale. Da più parti si è proposta l'idea di un memorial turn. Si potrebbe sostenere che l'approccio fenomenologico e costruzionista alla realtà, circolando nel discorso pubblico, abbia avuto esiti politici e intellettuali di ampia portata: fra questi esiti c'è un'accresciuta familiarità degli attori politici e istituzionali con le pratiche di costruzione e manipolazione strategica delle identità collettive (e nazionali in primis), pratiche fondate appunto sull'uso politico del passato. Hobsbawn e Ranger hanno documentato il diffondersi di processi di questo tipo.15 Per questo, nella contemporaneità, lo studio del passato coincide fondamentalmente con l'analisi delle forme di articolazione del potere.
In quelle dispute infinite e incandescenti su un aggettivo di troppo, su un orologio che non funziona,16 o su una via che non deve cambiare la sua denominazione, si giocano le definizioni pubbliche delle identità nazionali, da cui nessun partito politico e nessun attore istituzionale può prescindere. In tal senso, studiare la memoria significa sempre più studiare i fondamenti del discorso pubblico su cui si costruisce l'idea di nazione. I frames politici e culturali della memoria pubblica sottendono costruzioni discorsive dell'idea di nazione. La comunicazione pubblica del passato è diventata un'architrave strategica di cui le nazioni democratiche non possono fare a meno.
La tensione crescente tra comunicazione pubblica del passato nazionale e forme pubbliche che l'identità nazionale assume è denunciata in molti stati dalle sempre più diffuse politiche della cosiddetta riconciliazione morale, assunta ormai a vera e propria pratica politica.17 Da quando Willy Brandt nel 1970 si inginocchiò a Varsavia durante la visita al ghetto ebraico, in memoria delle vittime perseguitate e sterminate dai suoi connazionali, si è inaugurata una nuova stagione nelle relazioni internazionali fra gli stati democratici e si è imposta la necessità per molti capi di Stato di prendere le distanze e chiedere perdono alle vittime, per i crimini di guerra commessi dai loro predecessori. La lista dei "we regret" è senza fine e l'assunzione istituzionale delle responsabilità nazionali è diventata una pratica politica assai conveniente e molto diffusa.
Questa pratica politica presenta numerosi vantaggi: permette di fare i conti con i passati scomodi di una nazione e di affrancare le identità nazionali dalle memorie più scomode. Tuttavia vi è un prerequisito da cui tale pratica non può assolutamente prescindere: la persona di Willy Brandt e il governo che rappresenta, per assumere su di sé la responsabilità nazionale dei crimini commessi dal regime nazionalsocialista, devono potersi dichiarare totalmente estranei a tali crimini. La pratica politica della riconciliazione serve a ridisegnare le identità nazionali soltanto quando si è potuto fare chiarezza su un evento criminale e sui suoi responsabili, soltanto quando c'è ampio consenso all'interno di un contesto nazionale sulla definizione di chi abbia commesso quale crimine contro chi. Ma purtroppo, in molti casi, questo dettaglio appare tutt'altro che scontato.
Note
(1) B. Giesen, The Trauma of Perpetrators: The Holocaust as the Traumatic Reference of German National Identity, in Cultural Trauma and Collective Identity, edited by J. C. Alexander et alii, Berkeley, University of California Press, 2005, pp. 112-154.
(2) M. Halbwachs, La mémoire collective, Paris, Presses Universitaires de France, 1968.
(3) R. Wagner-Pacifici, B. Schwartz, The Vietnam Veterans Memorial: Commemorating a Difficult Past, "American Journal of Sociology", 97, 1991, 2, pp. 376-420.
(4) Commemorations. The Politics of National Identity, edited by J. R. Gillis, Princeton (New Jersey), Princeton University Press, 1996.
(5) Nation and Narration, edited by H. K. Bhabha, London-New York, Routledge, 1990.
(6) B. Anderson, Imagined Communities, London, Verso and New Left Books, 1983.
(7) The Invention of Tradition, edited by E. Hobsbawm, T. Ranger, Cambridge, Cambridge University Press, 1983; Y. Zerubavel, Invented Tradition and Memory, in Commemorations. The Politics of National Identity, cit., pp. 105-126.
(8) J. Assmann, Das kulturelle Gedächtnis. Schrift, Erinnerung und politische Identität in frühen Hochkulturen, München, Beck'sche, 1992.
(9) R. Wagner-Pacifici, B. Schwartz, The Vietnam Veterans Memorial: Commemorating a Difficult Past, cit.
(10) P. Jedlowski, Memoria, esperienza e modernità, Milano, Angeli, 1989.
(11) R. Wagner-Pacifici, Memories in the Making: The Shapes of Things That Went, "Qualitative Sociology", 19, 1996, 3, pp. 301-321.
(12) Ibidem, p. 306.
(13) A. L. Tota, La città ferita. Memoria e comunicazione pubblica della strage di Bologna, 2 agosto 1980, Bologna, il Mulino, 2003.
(14) B. Anderson, Imagined Communities, cit.; Les lieux de mémoire, sous la direction de P. Nora, Paris, Gallimard, 1984; D. Lowenthal, Possessed by the Past: The Heritage Crusade and the Spoils of History, New York, The Free Press, 1996; Commemorations. The Politics of National Identity, cit.
(15) The Invention of Tradition, cit.
(16) A. L. Tota, Tra simbolo e funzione: l'orologio della memoria, "Il Mulino", 2002, 4, pp. 630-639.
(17) B. Schwartz, H.-A. Heinrich, Shadings of Regret: America and Germany, in Framing Public Memory, edited by R. Phillips Kendall, Tuscaloosa, University of Alabama Press, 2004, pp. 115-146.
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