Rivista "IBC" XI, 2003, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / editoriali

In un tempo in cui ricordare diviene sempre più problematico, i luoghi e le immagini che si fanno testimonianza sono già un principio di storia.
Tra i percorsi della memoria

Ezio Raimondi
[italianista, presidente dell'IBC]

Mai come oggi si ragiona della memoria, forse perché, come pensa qualcuno, essa è minacciata da più parti e da più forze della società contemporanea, con l'effetto - che per un profeta come Nietzsche era anche un bisogno - dell'oblio e della cancellazione. Di contro agisce anche il senso del passato, che qualche volta diviene insieme ossessione, volontà esasperata di rivedere ciò che è accaduto per trarne possibili lumi, tra conferma e rifiuto, per il nostro incerto presente. Sia come sia, ricordare, inteso come un valore collettivo, resta uno dei problemi del nostro tempo, tanto più in rapporto ai mutamenti e alle revisioni del pensiero storiografico contemporaneo e delle sue funzioni criticamente interpretative. Per questo ci è parso opportuno che il dossier di questo numero fosse dedicato alla ricerca condotta a livello europeo da più partner (Belgio, Francia, Germania, Italia, Spagna, Regno Unito) su "Les chemins de la mémoire", ossia sui luoghi principali delle due guerre mondiali e della guerra civile spagnola. Ciò che la ricerca si proponeva era una sorta di disegno comune, una mappa, come oggi si ama dire, degli eventi bellici che videro l'Europa desolata e lacerata sui fronti contrapposti del totalitarismo e della democrazia.

E nel momento in cui si viene sviluppando il nuovo progetto dell'Unione europea era giusto mettere a confronto tradizioni e metodi differenti per giungere, attraverso il colloquio dei vari punti di vista "nazionali", a una topografia storica comune, a una immagine coordinata di eventi e di luoghi da ricordare e da riconoscere insieme, in una prospettiva che si vorrebbe unitaria, rivolta al futuro che ci sta dinnanzi e ci sfida. E lasciando ai protagonisti di presentare il proprio lavoro, si può intanto osservare che si è trattato di un'esperienza culturale significativa, di un primo passo, non privo di difficoltà e contrapposizioni, verso una memoria europea condivisa e un conseguente regesto storico che ne interpreti i tratti essenziali. Così, forse, cultura e vita civile si uniscono insieme e propongono, come direbbe Paul Ricoeur, una politica della giusta memoria, un'idea unitaria in cui i vivi sanno dialogare con i morti nell'orizzonte di un'umanità senza confini.

Non deve neppure stupire che il repertorio fotografico in bianco e nero scelto per questo numero si riferisca a un unico luogo delle nostre parti, la Rimini vecchia e nuova di Davide Minghini. Da un lato, infatti, si è pensato di "ritagliare" i contorni di un luogo e indicarne per imagines un cinquantennio della sua storia, rivissuta da un occhio acuto e partecipe, e dall'altro si è voluto mostrare come il linguaggio fotografico non si fermi a una semplice percezione visiva ma inviti l'occhio a indugiare sulla cosa rappresentata, a riflettere sulla sua silenziosa dimensione umana, come una lettura che si ripeta e si approfondisca ricostituendo il suo contesto, che è sempre una funzione del tempo e rimanda alla presenza nascosta di una società, alle sue speranze e alle sue delusioni. Anche la fotografia, insomma, va letta e interpretata, e più essa ci sorprende con la sua luce e la novità dei suoi scorci, più deve indurre a pensare, e magari a ricordare. L'immagine che si fa testimonianza di un luogo è già un principio di storia, una promessa di dialogo e di vita, un ricordo che è anche un capire, un incontro con l'altro.

 

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