Rivista "IBC" XIV, 2006, 3

musei e beni culturali / corrispondenze, interventi, storie e personaggi

Nelle vicende di un San Sebastiano quattrocentesco di scuola ferrarese, oggi a Zurigo, si possono leggere le storie di uomini uniti, nel tempo, dai dolori dell'esistenza.
Frecce di passione

Giuseppe Muscardini
[Biblioteca dei Musei civici d'arte antica del Comune di Ferrara]

Nella riduzione cinematografica del celebre romanzo Questa specie d'amore di Alberto Bevilacqua,1 un magistrale Ugo Tognazzi interpreta per l'occasione il doppio ruolo del padre e del figlio. Nei panni del padre pronuncia una frase nel sanguigno dialetto di Parma, che qui omettiamo per riassumere con parole più caste: "Ai poveri piove addosso anche quando sono al riparo dalle intemperie". Il film, con la regia dello stesso Alberto Bevilacqua, uscì nelle sale cinematografiche nel gennaio 1972, ma nell'omonimo romanzo dello scrittore parmense non si ritrova la citazione salace, inserita nella sceneggiatura perché necessaria a sottolineare il conflitto di ideali fra due classi sociali in antagonismo. Con quella sentenza, infatti, il rassegnato protagonista lascia intendere che per altri, per chi può vantare fortune economiche, la stessa sorte non vale.

Ma c'è qualcosa che vale per tutti, danarosi e indigenti: che si sia poveri in canna, o ricchi come l'Aga Khan, una perdurante afflizione accompagna la nostra esistenza dopo la scomparsa di chi si ama, provocando lacerazioni profonde e talvolta inestinguibili, anche quando l'agiatezza, apparente consolazione, favorisce privilegiate vie di fuga per lenire il dolore. L'Aga Khan non è banalmente scelto qui come esempio a caso per ribadire il concetto della prostrazione in cui si cade quando manca all'improvviso un affetto: proprio Karim Aga Khan, capo della comunità musulmano-ismaelitica, facoltoso imprenditore del settore turistico-alberghiero, ginevrino ma spesso residente in Sardegna, in tempi recenti ha perduto la figlia Zahra. E con mestizia composta ha voluto ricordarla donando al Kunsthaus di Zurigo una preziosa tempera su legno di scuola ferrarese raffigurante San Sebastiano, databile attorno al 1475.

Nelle astrazioni suggerite dalla tradizione iconografica, le frecce conficcate con violenza nella carne dell'eroe della fede riconducono al concreto supplizio di chi ha lasciato la vita dopo avere lottato a lungo per aggrapparvisi e resistere, e nel contempo alla pena di chi, pur restando in vita, è ferito dall'assenza della persona amata. Non si può entrare nella misura della sofferenza altrui senza usare rispetto e senza ignorare che quella sofferenza, per essere percepita, ha bisogno di concretarsi in qualcosa, fosse anche un dipinto. A tale proposito Luc Boltanski spiega con perizia filosofica come "la pietà" sia "il sentimento della passione, cui si accede quando si è dispiaciuti senza essere colpiti direttamente", e come la pietà presupponga "una distanza nel posto dell'osservatore, distanza che consente una riflessione di carattere generale".2

Da chi fruisce dell'arte, intesa come edificazione morale, quella dimensione è compiutamente riconosciuta "a distanza" se nelle dovute analogie si collegano le opere a committenti e proprietari. Presentata per la prima volta al Kunsthaus di Zurigo nel luglio del 2005,3 questa tavola di appena 47,5 centimetri per 34, si carica allora di alti significati, dove l'intenzione dell'ultimo donatore aderisce intimamente al tema pittorico. Osservandola, la mente torna in effetti alla scuola ferrarese della fine del XV secolo, qui vagamente contaminata da una presunta mano mantegnesca.4 Si torna alle espressioni facciali assunte dalle "legnose" e "contorte" figure delle Deposizioni e Crocifissioni attribuite a Cosmè Tura, quali il Cristo morto sorretto dagli angeli conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna, o al Lamento sul Cristo morto nella lunetta del Polittico Roverella, oggi al Louvre, dove l'inclinazione del viso, gli occhi, la bocca semichiusa e ancora contratta nello spasmo finale, conferiscono all'evento un senso di piena ma non convulsa drammaticità.

Parlando della tradizione pittorica ferrarese e del Tura, è alla Pietà del Museo Correr di Venezia che meglio si accosta il San Sebastiano di Zurigo: stessa torsione del volto e del collo, stessi contrasti della cromìa: al viso livido segnato dall'agonia, al cadaverico aspetto del corpo rattrappito nel rigore della morte, in entrambi i soggetti fanno da contrappeso il luminoso e algido biancore della fronte e le macabre ombreggiature sopraccigliari. Stesso è lo sfondo azzurro del cielo screziato da nuvole bianche, in un caso rarefatte e nell'altro dense e materiche; simile è anche il paesaggio dove la tragedia si consuma, con rilievi collinari e murature distanti: un paesaggio scarno, poco armonioso, immoto e leopardianamente apatico al cordoglio degli uomini.

Impercettibili rivoli di sangue gocciolano verso il basso macchiando il torso smagrito di San Sebastiano, le increspature del perizoma, un piede, per essere poi assorbiti dal terreno arido; rivoli che si evidenziano anche nelle mani e nei piedi del Cristo della Pietà veneziana. Vi è una sorta di lettura verticale alla quale spontaneamente si obbedisce portando lo sguardo prima all'espressione non efebica del santo, al costato ben delineato, alla muscolatura turgida e pronunciata dell'addome, dove gli stilemi imitativi del Tura appaiono chiari; ma scendendo verso la parte inferiore, la resa pittorica si mostra via via più approssimativa, con l'ombra irriflessa nel terreno e le fattezze anatomiche sfumate e imperfette degli arti inferiori.

Non bastano certo queste associazioni e separatezze di ordine estetico per sciogliere i dubbi sulla difficile attribuzione della tavola di Zurigo, stimata da tempo di scuola ferrarese. Gli elementi per poterla confermare paiono plausibili e un legittimo campanilismo induce a sostenere strenuamente l'ipotesi. Ma curiosi antefatti impongono nuove considerazioni, cui si perviene solo attraverso un'ottica più distaccata. L'Aga Khan, che ha in lode di aver incrementato il museo zurighese, si è mosso nel solco di un altro magnate svizzero, Robert von Hirsch, precedente detentore del San Sebastiano dal 1925.

Israelita, nato a Francoforte sul Meno ma cittadino svizzero dal 1940, Robert von Hirsch costituì in patria, dal 1907 al 1933, una considerevole collezione, una delle più note e prestigiose dell'epoca per numero e importanza dei pezzi, che datavano dal basso Medioevo fino al Novecento. Emigrò poi a Basilea quando Adolf Hitler prese il potere in Germania, trasferendo l'intera collezione nei più sicuri locali della fabbrica di cuoio di cui era titolare. Nel 1977, con la morte dell'industriale, diverse opere furono acquisite dai Musei di Basilea, ma la parte più cospicua della collezione fu battuta all'asta secondo precise disposizioni testamentarie. L'asta si tenne nei due anni successivi alla morte di von Hirsch,5 e in quell'occasione Karim Aga Khan si aggiudicò il San Sebastiano di scuola ferrarese.

Il passaggio di mani fa sì che il dipinto riassuma in sé il personale travaglio di due uomini che, pur non temendo la "pioggia della miseria" di Tognazzi e Bevilacqua, furono travolti l'uno dagli accadimenti esecrabili della storia, con deportazione, esilio e discriminazione razziale, e l'altro dalla straziante privazione della figlia. Nel quadro, così come nel suo approdo al Kunsthaus, si sostanziano allora le presenze invisibili degli estinti e dei vivi, dei loro patimenti e delle loro idee sulla vita, inconsciamente raccontate dalla mano abile e atemporale di un artista di scuola ferrarese, lontano dalla nostra contemporaneità ma vicinissimo a una diffusa concezione del martirio e dell'abiezione, che in San Sebastiano ebbe per molti secoli la più efficace incarnazione.

Anche a non volerci pensare, per il solo impatto emotivo che si ha davanti ai segni della ferocia antica, in tempi di irragionevoli intolleranze religiose, integralismi e aspri confronti fra civiltà non possiamo ignorare il senso etico di quel passaggio di mani. Karim Aga Khan, quarantanovesimo Imam dei Musulmani Shiiti Ismaeliti, discendente diretto di Maometto per la linea genealogica di cui fu capostipite Hazrat Ali, cugino e genero del Profeta, compra all'asta dalla collezione personale dell'ebreo Robert von Hirsch un dipinto dal soggetto ben radicato nella simbologia cristiana, e lo offre a un museo della civilissima Svizzera, terra di confessioni riformate da Calvino e Zuinglio.

Il San Sebastiano di scuola ferrarese, visto nella sua collocazione museale, sembra racchiudere dunque altri pregi oltre a quelli indicati dalla critica d'arte. Senza ardite forzature, si legge nella sua provenienza al Kunsthaus l'auspicio di un rispettoso coesistere delle idee, delle fedi e dei valori; lungimiranza che spesso si conquista quando il lutto, da fatto eminentemente privato, rifiuta di farsi collettivo, quando il dolore è così forte da rendere incapace chi lo prova di ammettere disumanità ed estremismi. Un quadro può evocare tutto questo? A guardarlo a lungo, con la luce debole di un pomeriggio invernale, nel museo semideserto e ormai in chiusura, dove il silenzio e la proverbiale discrezione elvetica facilitano il fluire delle idee, parrebbe di sì. O almeno si spera.

 

Note

(1) A. Bevilacqua, Questa specie d'amore, Milano, Rizzoli, 1966.

(2) L. Boltanski, Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000, p. 319.

(3) U. Steiner, Altmeister-Räume im renovierten Kunsthaus. Eröffnungpräsentation in Moser-Bau, "Neue Zürcher Zeitung", 15 luglio 2005, p. 48.

(4) Si veda nel sito web del Kunsthaus di Zurigo (www.kunsthaus.ch) il comunicato stampa del 20 luglio 2005 (Le Kunsthaus Zürich ouvre de nouvelles salles de collection et propose jusqu'au 21 août un festival consacré aux Vieux Maîtres), dove si legge testualmente: "Le tableau influencé par Mantegna et la peinture de Ferrara du 15ème siècle tardif se distingue par un pouvoir expressif assez inhabituel". Si suppone che la generalizzazione sia mutuata dalla lezione di Roberto Longhi, che in un celebre raffronto riassunse le specifiche artistiche del XV secolo nelle "follie più feroci del Tura e del Crivelli", nella "dolorosa eleganza del giovine Bellini", fino alla "rigorosa grammatica mantegnesca" (R. Longhi, Officina Ferrarese, Roma, Le Edizioni d'Italia, 1934, pp. 33 e seguenti).

(5) Si veda: The Robert von Hirsch Collection. Volume one. Old master drawings, paintings and medieval miniatures which will be sold at auction by Sotheby Parke Bernet & Co. on Tuesday, 20th June, 1978 at 9.30 p.m. (medieval miniatures and old master drawings, lots 1-70), on Wednesday, 21st June, 1978 at 11 a.m. (old master paintings, lots 101-127), London, Sotheby Parke Bernet & Co., 1978, pp. 164-165. Nella parte introduttiva dello stesso volume si leggono note biografiche su Robert von Hirsch e utili precisazioni sulla collezione.

 

Azioni sul documento

Elenco delle riviste

    Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Cod. fiscale 800 812 90 373

    Via Galliera 21, 40121 Bologna - tel. +39 051 527 66 00 - fax +39 051 232 599 - direzioneibc@postacert.regione.emilia-romagna.it

    Informativa utilizzo dei cookie

    Regione Emilia-Romagna (CF 800.625.903.79) - Viale Aldo Moro 52, 40127 Bologna - Centralino: 051.5271
    Ufficio Relazioni con il Pubblico: Numero Verde URP: 800 66.22.00, urp@regione.emilia-romagna.it, urp@postacert.regione.emilia-romagna.it