Rivista "IBC" XXI, 2013, 1

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / progetti e realizzazioni, storie e personaggi

Nel secondo centenario bodoniano ripercorriamo una singolare vicenda tipografica del Novecento. Protagonisti: un grande editore italiano e un'agguerrita ditta bolognese.
Un Garamond bolognese per Einaudi

Elisa Rebellato
[Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Bologna]

Quest'anno ricorre il secondo centenario della morte di Giambattista Bodoni, un uomo che, nella Parma ducale prima e francese poi, seppe rinnovare la grafica del libro a stampa italiano, tanto nelle proporzioni della pagina, quanto nell'elaborazione di nuovi caratteri tipografici.1 È quindi interessante ripercorrere, ora, una vicenda novecentesca legata alla produzione di caratteri da stampa, vicenda che collega una ditta bolognese al grande editore torinese Giulio Einaudi, di cui nel 2012 si è ricordato il centenario della nascita.


Nell'editoria italiana del Novecento le più importanti case editrici hanno posto molta attenzione alla cura grafica delle copertine, mentre un minore impegno è stato dedicato allo studio dell'impatto visivo offerto dal testo, composto di caratteri tipografici; eppure, l'approccio al libro da parte del lettore e la lettura stessa del volume sono condizionati da entrambi questi elementi grafici, che possono allo stesso modo attrarre o respingere chi posa lo sguardo sull'esterno o all'interno del libro. Alla disciplina della progettazione dei caratteri tipografici è evidentemente mancato, nel secondo dopoguerra, il sostegno di una committenza industriale ed editoriale disposta a credere nel valore del progetto globale del prodotto, che lo considerasse nelle varie componenti, materiali e contenutistiche.

Una delle poche eccezioni è costituita dalle scelte editoriali di Giulio Einaudi. Prima di lui, tra i grandi editori italiani del Novecento, solo Arnoldo Mondadori aveva commissionato un carattere tipografico nuovo. Non si trattava di un'iniziativa personale dell'editore, dettata dal desiderio di innovare la propria produzione dal punto di vista grafico, ma Mondadori vi era stato in qualche modo costretto dal poeta e letterato Francesco Pastonchi, il quale, incaricato della direzione della "Raccolta Nuova dei Classici italiani", aveva preteso che venisse approntato un nuovo carattere, il Pastonchi appunto, che connotasse anche sotto l'aspetto visivo la peculiarità della collana. L'entusiasmo del letterato si scontrò con le preoccupazioni economiche dell'editore, ma alla fine Pastonchi ebbe la meglio: la progettazione del carattere ebbe inizio nel 1924. La "Raccolta Nuova dei Classici italiani" non vide mai la luce, tuttavia il Pastonchi venne impiegato per una collana che in qualche modo ne riprendeva le linee guida, quella dei "Classici italiani" diretta da Francesco Flora.2

Ben diversa fu la vicenda del Garamond realizzato per Giulio Einaudi alla metà degli anni Cinquanta.3 Il figlio di Luigi Einaudi, nel novembre del 1933, appena ventunenne, aveva fondato la propria casa editrice, in stretta collaborazione con Leone Ginzburg e il gruppo di amici che si era formato dalla frequentazione comune del liceo D'Azeglio, sotto il magistero di Augusto Monti. I primi anni furono piuttosto complessi, per la difficile convivenza con il fascismo: arresti e invii al confino dei principali collaboratori interruppero a più riprese l'attività del gruppo, e Giulio stesso fu arrestato e interrogato. La guerra, poi, portò devastazioni e bombardamenti che colpirono a più riprese le sedi della Einaudi, con gravi danni e ingenti perdite economiche.

Superate le difficoltà della guerra, però, Giulio Einaudi volle dare una nuova veste grafica alle sue edizioni. È noto infatti il grande amore per l'aspetto estetico dei volumi che connotò il suo mestiere di editore, un amore risalente, secondo qualcuno, alla passione bibliofilica che aveva contraddistinto il padre Luigi e che in qualche modo gli era stata trasmessa. Come tutti i grandi editori prestò sempre massima attenzione alla grafica delle coperte e delle sovraccoperte, affidate a importanti artisti del Novecento, come Francesco Menzio, Renato Guttuso, Bruno Cassinari o Ennio Morlotti. L'ideazione della copertina non era però svincolata dalla progettazione totale dei volumi o dei periodici, come è evidente nel coordinamento grafico tra "Il Politecnico", periodico, e "Politecnico biblioteca", la collana, curati entrambi da Max Huber e Bruno Munari.

Tuttavia Giulio Einaudi decise di rinnovare e connotare la propria immagine anche con un carattere tipografico nuovo ed esclusivo, che permettesse di riconoscere un libro einaudiano anche trovandolo aperto su un tavolo.4 L'editore fu coadiuvato nella scelta dal responsabile editoriale Oreste Molina, capo dell'ufficio grafico. Fino a quel momento i libri della casa Einaudi erano stati composti in Linotype utilizzando caratteri eterogenei (Bembo, Bodoni, Caledonia, Granjon), e l'editore propose di far realizzare un Garamond da impiegare sulla Monotype, una tecnica di stampa che avrebbe assicurato risultati più accurati, a dimostrazione dell'importanza che l'editore attribuiva a questo elemento nella realizzazione dei volumi; ma Molina, più addentro di Giulio nelle questioni tecniche, sconsigliò vivamente, ed efficacemente, la composizione in Monotype, perché più lenta e più costosa.

La decisione di adottare un carattere Garamond è interessante. Con questo termine si indica una famiglia di caratteri, tutti derivanti in maniera più o meno fedele da quello inciso alla metà del Cinquecento da Claude Garamond, tipografo parigino famoso anche per aver creato il "Grec du roi", il carattere con cui venivano impresse le edizioni di testi greci destinate al re di Francia. Si tratta di un carattere con grazie, estremamente leggibile, che rimandava alla tradizione umanistica.


Per realizzare il nuovo carattere, Giulio Einaudi si rivolse a un'azienda bolognese, la Simoncini, che in quel momento era già alla seconda generazione, sotto la guida di Francesco. L'azienda era nata anni prima, per volontà del padre Vincenzo Simoncini che, formatosi come montatore e riparatore di macchine compositrici meccaniche, nel 1931 avviò un'azienda per la produzione di ricambi per Linotype.5 I tre figli, Francesco, Cesarina e Gian Attilio, furono coinvolti nell'impresa, che iniziò a impiegare anche alcuni operai.

Gli anni della guerra, come per Einaudi e per gran parte degli italiani, furono difficili anche per la Simoncini. Francesco fu richiamato sotto le armi e nel 1944 i bombardamenti colpirono per ben tre volte la fabbrica. L'anno successivo, terminate le ostilità, l'azienda riaprì nel centro cittadino, in via Carbonesi, nell'attesa che fosse approntato un nuovo capannone in via delle Fragole, nella periferia sudorientale di Bologna.

La prima innovazione del dopoguerra fu la fabbricazione di matrici per macchine Linotype, voluta in particolare da Francesco, che diventò anche socio del padre al 50%. Negli anni Cinquanta l'azienda, che fino a quel momento era rimasta di piccole dimensioni, si espanse notevolmente: nel 1952 furono allargati gli edifici e l'anno successivo la Simoncini si trasformò in società per azioni. Alla morte del padre Vincenzo, tutti gli otto figli divennero soci, e Francesco, che deteneva il 51% delle azioni, divenne amministratore unico. La capacità di innovazione della Simoncini fu evidente quando la ditta aprì al proprio interno uno studio di progettazione di caratteri con ben dieci disegnatori, che la fece uscire da una dimensione locale e le fece raggiungere una clientela nazionale.

A questo periodo va fatta risalire la creazione di numerosi tipi di caratteri, tra i quali il più famoso è l'Aster (1955), realizzato per assecondare le necessità della stampa dei quotidiani e caratterizzato quindi da aste verticali corte, per comprimere gli spazi. Francesco Simoncini poté quindi offrire a Giulio Einaudi matrici di ottima qualità a prezzi concorrenziali; da non sottovalutare era anche la possibilità di una fornitura continua e flessibile, capace di creare segni speciali in caso di necessità. L'azienda bolognese si appoggiò per la realizzazione della commessa Einaudi a una ditta tedesca, la fonderia Ludwig & Mayer di Francoforte, con la quale continuò a collaborare anche in seguito.

Ci vollero due anni per realizzare il carattere, dal 1956 al 1958. I disegni di Bologna venivano inviati a Francoforte per confronti e modifiche, quindi tornavano in Italia e l'elaborazione proseguiva finché non si arrivava a un accordo. A quel punto si produceva il disegno esecutivo della lettera e si iniziava a studiarla in rapporto alle altre componenti dell'alfabeto. Infatti, particolarmente esemplificativo della meticolosità con cui Simoncini lavorò al suo Garamond fu lo studio riservato ai raggruppamenti di lettere, per evitare il rischio di creare addensamenti di colore sulla pagina.

Da qui derivò anche l'attenzione dedicata alle modificazioni subite dai caratteri in seguito all'inchiostrazione e alla pressione in corso di stampa, che portò a modificare i tipi cosicché, deformandosi, raggiungessero la forma ideale. Anche Oreste Molina partecipò al dibattito, soprattutto con indicazioni relative alla funzionalità dei caratteri e alle necessità della casa editrice.


Il Garamond Simoncini fu uno dei pochi caratteri di quegli anni progettato esclusivamente con funzioni editoriali, insieme a quelli ideati da Giovanni Mardersteig e da Alberto Tallone, e ad alcune delle realizzazioni di Aldo Novarese. In questo carattere tipografico si concretizzarono le esigenze di un editore ambizioso e desideroso di offrire al lettore un libro bello non solo nei contenuti ma anche nell'aspetto, e le capacità di un'azienda in grado di fornire un prodotto funzionale e di qualità.


Note

(1) G. Montecchi, Il rinnovamento grafico di Giambattista Bodoni, in Id., Itinerari bibliografici. Storie di libri, di tipografi e di editori, Milano, FrancoAngeli Edizioni, 2001, pp. 58-86.

(2) Sulla vicenda mondadoriana si vedano: M. Rattin, M. Ricci, Questioni di carattere. La tipografia in Italia dall'Unità nazionale agli anni Settanta, prefazione di G. Anceschi, Roma, Stampa Alternativa / Graffiti, 1997, pp. 90-95 e il Quanto basta n. 8 dedicato a Francesco Flora sul sito www.fondazionemondadori.it.

(3) Per la bibliografia aggiornata di e su Giulio Einaudi e la sua casa editrice, si rimanda a: Libri e scrittori di via Biancamano. Casi editoriali in 75 anni di Einaudi con illustrazioni e documenti, a cura di R. Cicala e V. La Mendola, presentazione di C. Carena, Milano, Educatt, 2009 (che non tiene ovviamente conto delle numerose pubblicazioni uscite in occasione del centenario).

(4) M. Rattin, M. Ricci, Questioni di carattere, cit., pp. 144-148.

(5) Le notizie sulla ditta sono reperibili nell'opuscolo: F. Simoncini, Panoramica sulla Società Simoncini, Bologna, Arti Grafiche Tamari, 1965.

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