Rivista "IBC" XIX, 2011, 3

territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / mostre e rassegne, itinerari, progetti e realizzazioni, leggi e politiche

Le vicende dell'Appia Antica esemplificano, nel bene e nel male, la situazione del nostro patrimonio culturale: dall'incrocio tra fruizione pubblica e proprietà privata, al conflitto tra tutela e abusivismo.
Una strada in bianco e nero

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Il rapporto tra pubblico e privato conosce da qualche tempo una profonda fase di riassestamento sia a livello giuridico che politico-sociale. Effetto del ciclo neoliberista che ha dominato l'economia mondiale fino alla recente fase recessiva, l'accentazione posta sul primato del privato ha vissuto una fase espansiva in tutti i settori fino all'ultimo biennio, durante il quale, al contrario, si è sviluppata una reazione fondata, dal punto di vista ideologico, sulla difesa e riconquista dei "beni comuni", fra i quali rientrano i beni culturali e il paesaggio.

In questo ambito, alcuni recenti episodi hanno riproposto la complessità ancora irrisolta del rapporto fra pubblico e privato, a partire dalla sponsorizzazione dei restauri del Colosseo a opera dell'imprenditore Della Valle, che ha fatto riesplodere polemicamente, e talvolta in maniera alquanto provinciale, la discussione in Italia. Se da un lato, infatti, tale operazione è stata accreditata come un episodio di neomecenatismo, dall'altro, al contrario, l'imprenditore in questione è stato accusato di avere lucrato su uno dei monumenti-icona, forse il più internazionalmente celebrato, ottenendo, in cambio di una cifra tutto sommato non elevatissima, un ritorno di immagine che in termini economici, come è stato calcolato, sarebbe almeno dieci volte superiore all'investimento di partenza. Insomma, un ottimo affare.

Ma mentre l'anfiteatro flavio continua a essere al centro dell'attenzione di sponsor più o meno interessati, a pochi passi di distanza la famosa residenza dell'imperatore Nerone, la Domus Aurea, giace da anni in stato di semiabbandono, esposta a crolli, l'ultimo dei quali, del marzo 2010, disastroso. Questo perché, se trovare sponsor per il Colosseo è assai semplice, la Domus Aurea - seppur monumento di fondamentale importanza, addirittura cruciale nel fenomeno di riscoperta dell'antico che ha dato vita al Rinascimento - non è altrettanto appetibile per neomecenati alla ricerca di un'immediata visibilità.

Eppure, esempi virtuosi di mecenatismo vero e proprio sono possibili, anche in un Paese, come il nostro, che nonostante le reiterate promesse di defiscalizzazione in ambito culturale, non ha mai intrapreso alcuna seria iniziativa normativa in tal senso. A Ercolano, l'imprenditore americano David Packard, da oltre un decennio, finanzia le attività di manutenzione del sito campano, in piena collaborazione con gli organi tecnici della Soprintendenza, a cui è affidata la direzione scientifica e il coordinamento dei progetti. Si tratta di un esempio poco conosciuto, anche per volontà dello stesso Packard, la cui iniziativa si colloca in quel filone di filantropismo anglosassone che pare del tutto alieno al culto della personalità assai frequente, invece, nell'italica antropologia. Una vicenda, se non opposta a quella romana, senz'altro ispirata da differenti impostazioni culturali.

In ogni caso, se, come appare dall'attuale, difficilissima situazione economica, le risorse pubbliche per la gestione del patrimonio culturale saranno destinate a rimanere limitatissime, coinvolgere altri attori - dagli enti locali ai privati, sponsor o mecenati che siano - diviene una necessità ineludibile. Ma questa evoluzione di sistema, che impone un ripensamento della tradizionale struttura istituzionale attualmente in grande affanno, richiederebbe una regia centrale ispirata a una strategia trasparente e innovativa sul piano amministrativo e culturale.

Anche se fino a questo momento l'azione del Ministero per i beni e le attività culturali è apparsa, al contrario, estemporanea e priva di una strategia complessiva, se si vogliono coinvolgere risorse di ambito privato - senza provocare danni al tessuto delle attività di tutela, nucleo fondativo di tutta la gestione del nostro patrimonio culturale - occorrerà elaborare un sistema di regole chiare e culturalmente aggiornate (che non significa piegate ai mantra pubblicitari del momento), uno strumento imprescindibile per attivare le risorse, non solo finanziarie, di parte privata, coinvolgendole in progetti convincenti e di ampio respiro.

In ambito italiano, poi, come accennavamo per il caso Packard, è necessario anche stimolare una cultura del mecenatismo, ancora pressoché assente: una carenza che ben si coniuga con un tipo di capitalismo, quale è quello prevalente in Italia, familistico e attardato su pratiche clientelari e lobbistiche nel senso deteriore del termine. Segno inequivoco di un atteggiamento di puro sfruttamento personale del patrimonio culturale sono, per esempio, gli abusi ancora troppo frequenti sul nostro territorio, a partire da quelli edilizi che ne intaccano aree preziose. I reati edilizi - non più riconducibili, da molti decenni, a necessità abitative, ma degenerazione estrema di un'economia parassitaria e arcaica fondata sulla rendita immobiliare - continuano purtroppo a devastare il nostro paesaggio.

La tendenza a favorire, sul piano dei provvedimenti normativi, il godimento personale ed esclusivo ha portato a un laissez faire generalizzato sul territorio e ha provocato la privatizzazione di porzioni che, anche se singolarmente non elevate, nel loro insieme hanno gravemente limitato l'uso collettivo di ampie aree del paesaggio. Le villettopoli venete e lombarde, lo sprawl urbano che caratterizza tutta la pianura padana e dilaga lungo le nostre coste, la "città stravaccata", oggetto dei sarcasmi anticipatori di Antonio Cederna, sono oggi il risultato di un processo degenerativo che continua, senza sosta, da alcuni decenni.

All'effetto di degrado e di disarmonia che caratterizza ormai, oltre a moltissime periferie urbane, tante aree un tempo destinate a uso agricolo, si aggiunge, nelle zone di maggior pregio paesaggistico, il danno derivante dall'esclusione di tali spazi dal pubblico godimento, in quanto in anni passati, grazie a normative permissive e ad abusi mai sanati e purtroppo mai cessati, molte (troppe) di queste aree sono state accaparrate da privati. Fenomeno che si è ripetuto, per esempio, sui punti più suggestivi dei nostri litorali, come anche all'interno di aree formalmente protette da vincoli.

Esemplare come poche altre, a tale proposito, è la vicenda del parco dell'Appia Antica, straordinario spazio in cui natura e cultura, perfettamente integrate, hanno creato, nei secoli, un ambiente dalle caratteristiche uniche per fascino e importanza archeologica e paesaggistica. Nonostante questo, l'Appia rappresenta una sorta di bignami dei danni inferti da speculazione edilizia di alto livello, abusivismo e successivi condoni, spregio della legislazione di tutela, vandalismi e degrado in senso lato da parte dei privati.

È il settembre 1953 quando sul "Mondo" esce I gangster dell'Appia, l'articolo con cui Antonio Cederna comincia quella che sarà per lui la battaglia di una vita: soprattutto alla sua penna di "appiomane" dobbiamo infatti se questo luogo riesce a entrare stabilmente nell'agenda delle discussioni sul nostro patrimonio culturale. In oltre 140 interventi a stampa in difesa della regina viarum, Cederna evidenzia, con efficacia rimasta ineguagliata, l'antitesi fra l'enormità del valore culturale ed estetico dell'Appia nel suo complesso e il livello di degrado a cui l'insipienza e l'arroganza del potere e del denaro la vorrebbero ridurre. Prima degli altri, egli comprende la necessità di una tutela integrale di quegli spazi: a lui soprattutto si deve se la regina viarum comincia a essere non solo considerata come un'area di residenze esclusive, ma anche vissuta come spazio di loisir destinato ai cittadini romani.

Alla sua morte, nel 1996, il destino - non il caso - fa sì che sia assegnata a Rita Paris la responsabilità della tutela dell'Appia per conto della Soprintendenza archeologica di Roma. In questo passaggio risiede la sostanziale continuità che la storia moderna dell'Appia Antica riesce a mantenere. La battaglia a difesa di questi luoghi prosegue sia sul piano dell'attività di tutela, sia, con uguale attenzione, seppure con altre modalità, sul versante comunicativo.

L'azione della Soprintendenza si è organizzata e, pur nella costante esiguità delle risorse a disposizione, è riuscita a esprimere una visione della tutela non esclusivamente difensiva, ma vocata a un'espansione degli spazi in termini di qualità della fruizione e di ampliamento complessivo del bene pubblico. È una visione di medio-lungo termine, che si scontra, pressoché quotidianamente, con le pulsioni deregolative di un'interpretazione distorsiva e pre (o post) moderna della proprietà privata, troppo spesso aiutata dalle lentezze e incertezze dell'azione del Ministero a livello centrale. Una visione che tuttavia riesce a reggere le maglie di un sistema, garantendo la piena salvaguardia dei monumenti vincolati e la loro riqualificazione sotto il profilo comunicativo, e conseguendo addirittura alcuni risultati straordinari, primi fra tutti le aree della Villa dei Quintili e di Capo di Bove, restituite, nel loro pur diverso fascino, al "godimento di tutti".

Fra i tanti meriti della Soprintendenza archeologica vi è anche quello di aver garantito, attraverso la massima trasparenza della propria azione, anche un'informazione puntuale e costante sulle vicende dell'Appia, richiamando opportunamente l'attenzione su un bene comune di tanta importanza attraverso periodiche iniziative di illustrazione della propria attività, ma anche di discussione delle molte criticità aperte.

A questo fine mira la mostra fotografica "La via/mia Appia. Laboratorio di mondi possibili tra ferite ancora aperte", visitabile fino all'11 dicembre 2011 nella villa di Capo di Bove, in via Appia Antica 222. Attraverso 70 foto, storiche e recenti, viene ricostruita la storia della tutela della regina viarum, da Luigi Canina (metà Ottocento) a oggi. Una grande parete ricuce le tappe principali: iniziative, proposte di legge, piante storiche, documenti; così come il catalogo, La via Appia, il bianco e il nero di un patrimonio italiano, racconta alcuni dei passaggi fondamentali della storia moderna dell'Appia Antica e ne sottolinea l'esemplarità.

Sono circa 2.500 gli abusi, di varia entità, censiti nel tempo, contro i quali poco o nulla si riesce a fare: lo stesso Cederna, d'altronde, si era dovuto scontrare, ripetutamente, con l'inerzia di un'amministrazione incapace di eseguire le sentenze di abbattimento decretate dalla magistratura. Causa del degrado non è solo l'abusivismo, ma il mancato rispetto delle regole a ogni livello, a partire dalle prescrizioni d'uso, che troppo spesso i privati sentono come un vincolo intollerabile al loro diritto di proprietà, dimentichi del fatto che tale proprietà deve il suo valore a chi nei secoli ha trasformato questo territorio in un luogo di meraviglia, e che il privilegio di risiedervi non può non comportare, in qualsiasi comunità civile, qualche piccolo sacrificio. La norma, invece, sono i ricorsi continui nei confronti dei provvedimenti di vincolo, ricorsi che obbligano la Soprintendenza a un'estenuante guerriglia giudiziaria, spesso perduta per mancanza di adeguata tutela giuridica.

Eppure, nonostante tutto, si succedono anche le scoperte straordinarie e le iniziative di restauro e riqualificazione degli spazi. Nel 2002 la Soprintendenza acquista la Villa di Capo di Bove, riaperta al pubblico, dopo scavi e restauri, nel 2006. E il 12 novembre 2008, nella Villa, è stato inaugurato l'Archivio Cederna: l'insieme dei documenti e degli scritti del principale difensore dell'Appia trova una sede adeguata lungo la "sua" via. L'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, attraverso una convenzione con la Soprintendenza, partecipa all'iniziativa, curando il riordino informatico e collaborando alle iniziative di valorizzazione dell'Archivio.

Intanto l'Appia continua a rappresentare un'esemplificazione completa, nel bene e nel male, della situazione del nostro patrimonio culturale: dalla coesistenza tra necessità della tutela ed esigenze della modernità, tra fruizione pubblica e limiti della proprietà privata, fino alla piaga dell'abusivismo, che qui come altrove pare inestirpabile. Ma, come ci ricordava Cederna nel 1963: "Anche nelle situazioni più compromesse le battaglie condotte per anni dalle forze della cultura, dai tecnici coscienti e dalla stampa libera, non restano mai senza qualche risultato."

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