Rivista "IBC" XVII, 2009, 2
territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / interventi, mostre e rassegne, storie e personaggi
Il 17 aprile 2009 a Ferrara, nell'ambito del "Città Territorio Festival", Vezio De Lucia ha tratteggiato un profilo di Antonio Cederna, inaugurando una sezione dedicata alle personalità che hanno studiato e difeso il valore civile della città, del territorio e della loro bellezza (www.cittaterritoriofestival.com). L'intervento integrale, pronunciato presso la Biblioteca comunale Ariostea, è stato pubblicato dal sito web indipendente eddyburg (eddyburg.it), che ringraziamo, insieme all'autore, per la ripresa di questo brano.
A un architetto impegnato
Stolto Paolo Cordini
sinistro intelligente
che consideri i pubblici giardini
olandesi svizzeri svedesi
danesi tedeschi inglesi
oppio capitalistico
per la povera gente,
da bravo architetto italiano
tu passi impassibile in mezzo al Tuscolano,
ami viale Marconi e il Prenestino,
Primavalle e il borghetto Latino,
ti piacciono coree, bidonville e borgate,
le palazzine e le palazzate.
È bene che i ragazzi
siano murati vivi negli intensivi
senza prati né campi sportivi:
solo scoliosi e paramorfismi
spingono ai giusti, salutari estremismi,
solo la fisica deformazione
è garanzia di rivoluzione.
Da dialettico scaltro
tu dici sempre che il discorso è un altro:
e infatti invece di Pietralata
in fondo al cuore ti sta l'Olgiata.
(Roma, 1966)
Aver collocato all'inizio dell'intervento l'unica sua poesia che io conosco - come in altra circostanza ha già fatto Francesco Erbani - mi pare più efficace di una lunga esposizione, per intendere, sommariamente, ma subito, la sua complessa personalità e anche le ragioni di chi gli si contrapponeva. La poesia, evocando "i pubblici giardini / olandesi svizzeri svedesi / danesi tedeschi inglesi", smentisce in primo luogo il diffuso convincimento che Cederna fosse un passatista, un lodatore del tempo passato, un reazionario. Era invece un accanito sostenitore della modernità, dell'urbanistica, dell'architettura, dell'arte moderna. In contrasto con illustri critici dell'architettura, sostenne con entusiasmo la piramide di Ieoh Ming Pei che illumina l'ingresso del Louvre. Fece il possibile perché le città italiane seguissero l'esempio di Stoccolma, di Amsterdam, di Parigi, di Londra, di Vienna, di Zurigo, della Ruhr. Fece conoscere la meraviglia dei parchi nazionali americani, svizzeri, francesi. Non fu ascoltato. Così abbiamo avuto il Tuscolano, viale Marconi e il Prenestino, Primavalle, il borghetto Latino e Pietralata. Poi l'abusivismo. Fenomeni tutti sconosciuti nell'Europa ammirata da Cederna.
La poesia smentisce anche la leggenda che fosse comunista, estremista di sinistra. Comunista era il destinatario dei versi, lo "stolto Paolo Cordini", che Cederna nettamente contesta, anche se nei suoi confronti non sfodera il disprezzo furioso che regolarmente riservava agli "energumeni del cemento armato" e alla mala genìa dei funzionari affetti da "cupidigia di servilismo".
La poesia, infine, con i riferimenti alle malformazioni infantili e giovanili determinate dalla mancanza di aree e di attrezzature per il gioco e lo sport, appare precisamente adeguata al tema "Gli spazi della comunità" che dà nome a quest'edizione del nostro festival.
Che mestiere faceva Tonino Cederna? Era stato archeologo (aveva anche fatto una campagna di scavi a Carsoli in Abruzzo, il resoconto è pubblicato in Brandelli d'Italia), cominciò a scrivere come critico d'arte su "Lo spettatore italiano", rivista diretta da Elena Croce, e nel 1949 iniziò la collaborazione con "Il Mondo", diretto da Mario Pannunzio. Dopo la chiusura del prestigioso settimanale, scrisse sul "Corriere della Sera", poi su "la Repubblica" e collaborò con "L'Espresso" e altri periodici. Accanto all'attività di giornalista, non trascurò mai di impegnarsi nelle associazione culturali, fu anche due volte consigliere comunale a Roma, e quindi deputato indipendente nelle liste del PCI, presidente del parco dell'Appia Antica. Da deputato della X legislatura collaborò attivamente all'approvazione delle due fondamentali leggi per la difesa del suolo (183/1989) e per la protezione della natura (394/1991).
È negli anni di collaborazione con "Il Mondo" che matura il carattere della sua scrittura - al tempo stesso semplice e colta, che sa farsi tagliente, con un vocabolario sorprendente, ma sempre appropriato - e si definisce il perimetro dei suoi interessi, che in fondo coincidono con l'urbanistica moderna (moderna è la qualificazione che Cederna non dimentica mai di attribuire all'urbanistica che ama). Un'urbanistica dagli orizzonti vastissimi: tutto lo spazio comunque vissuto dall'uomo, la sua storia, le sue regole.
In un testo scritto all'inizio degli anni Settanta per Italia Nostra di Milano definisce l'urbanistica "quella disciplina moderna per eccellenza la quale, unendo cultura, tecnica e impegno politico, ha per fine di assicurare condizioni umane di vita associata, di indirizzare nell'interesse pubblico gli sviluppi edilizi, di controllare a vantaggio di tutti le trasformazioni sempre più rapide cui è sottoposto l'ambiente dell'uomo". Obiettivi ignorati dall'Italia che, nei trent'anni del dopoguerra, ha saputo solo "ampliare alla cieca le città esistenti".
I quartieri "nuovi" non sono che mucchi di case accatastate le une sulle altre, indiscriminatamente allineate sul filo stradale, immensi e degradati dormitori, periferia squalificata per cittadini di seconda classe, luogo di segregazione, frustrazione e umiliazione: con densità inverosimili che raggiungono e superano, a Roma o a Napoli, i mille abitanti per ettaro. Un universo concentrazionario fatto solo di asfalto e di cemento, dove il verde è quello dei lotti non ancora edificati o delle aiuole spartitraffico, e i bambini giocano fra l'immondizia e le ruote delle automobili e gli anziani sono segregati sui balconi e nelle intercapedini: dove l'unica parvenza di natura sono i vasi di fiori alle finestre, come chi mettendo barchette di carta nella vasca da bagno si illudesse di essere al mare.
Scriveva con assoluta indipendenza di giudizio, fermo nei suoi principi, fedele alla concretezza dei fatti. Ineguagliata è l'esattezza geometrica delle descrizioni. Maria Pia Guermandi ha scritto che "parafrasare Cederna è una sfida linguistica piuttosto frustrante, perché si finisce piuttosto per ricopiarlo, arrendendosi all'evidenza che meglio di così quel fenomeno, evento, meccanismo, luogo, non poteva essere descritto o definito".
È noto il rigore estremo che poneva nel selezionare la documentazione dalla quale attingeva, e la puntigliosità con la quale riferiva i dati e le quantità relativi alle situazioni di cui dava conto. Non cedeva mai all'approssimazione, era anzi sempre disponibile e pronto a impadronirsi, non senza fatica, delle più complesse e specializzate questioni tecniche, le norme, i parametri, le misure. E se ciò comportava l'esposizione di aridi elenchi, non se ne preoccupava, e sfidava imperterrito la pazienza del lettore. Perciò si è detto che Cederna era posseduto da una sorta di etica dei numeri, che sostiene la sua intransigenza e la sua indignazione. Ecco un esempio da un articolo su "Il Mondo" dell'aprile 1964, dove si confrontano le politiche urbanistiche di Roma e di Amsterdam:
Considerando il verde esistente (parchi e giardini), Amsterdam ha una dotazione più che quadrupla di quella di Roma, che ha una popolazione più che doppia di quella di Amsterdam: e una media per abitante più che decupla. Senza naturalmente nemmeno paragonare la qualità e la distribuzione (a Roma terra bruciata, aiuole spartitraffico, zone verdi invase dal traffico, quattro quinti della popolazione senza un filo d'erba, eccetera), osserviamo che in trent'anni Roma passa da una media di mq [metri quadrati, ndr] 2,7 nel 1930 a mq 1,8 nel 1961 a mq 1,5 oggi, mentre Amsterdam passa da una media di mq 2,2 nel 1930 a mq 15,9. Tenendo conto dell'aumento della popolazione, si osserva che, ad Amsterdam, a un aumento di 133.000 abitanti ha corrisposto un aumento di verde di 1.240 ettari, pari a una media di mq 93 per ogni nuovo abitante: mentre a Roma a un incremento di oltre un milione di abitanti ha corrisposto un incremento di meno di un centinaio di ettari, pari a una media di mq 0,8 per ogni nuovo abitante!
Era insomma un giornalista anomalo, che considerava un vizio di fondo del giornalismo italiano il "culto maniacale e nevrotico della notizia". Si riferiva alla notizia di eventi calamitosi o comunque clamorosi senza i quali non scatta l'interesse dei giornali: "Notizia, maledetta notizia", ripeteva angosciato: "Conseguenza di questo modo di pensare, per quanto riguarda la questione ambientale, urbanistica, ecologica, sarebbe che dovremmo augurarci un'alluvione al mese, una fuga di diossina ogni semestre, un affondamento di petroliera nel Mediterraneo ogni estate, un furto di Piero della Francesca alla settimana: queste sì, vivaddio, sono belle e buone notizie, anche da prima e terza pagina, per le quali mobilitare le grandi e perfino le grandissime firme".
Tonino Cederna scrisse durante tutta la vita, per mezzo secolo, migliaia di articoli, innumerevoli saggi, documenti, libri. Ma ho già detto che la sua attività non si esaurì nella scrittura, e fu sempre molto attivo nelle associazioni culturali, a partire da Italia Nostra, fondata a Roma nel 1955 da Umberto Zanotti Bianco - che ne fu il primo presidente - e da Giorgio Bassani, Elena Croce, Desideria Pasolini dall'Onda, e altri. Nel documento istitutivo dell'associazione si legge che "essi comparenti, come tutti coloro a cui stanno a cuore le bellezze artistiche e naturali del nostro paese, non possono non essere estremamente preoccupati di fronte al processo di distruzione sempre più grave e sempre più intenso al quale è stato sottoposto negli ultimi anni il nostro patrimonio nazionale, e hanno perciò deciso di costituire una fondazione nazionale con il proposito di suscitare un più vivo interesse per i problemi inerenti alla conservazione del paesaggio, dei monumenti e del carattere ambientale delle città specialmente in rapporto all'urbanistica moderna".
Come ricorda Desideria Pasolini, Cederna non volle figurare fra i fondatori di Italia Nostra, anche se ne è sempre stato il più autorevole esponente, e il riferimento all'"urbanistica moderna" nell'atto istitutivo è quasi la sua firma.
Molti dei suoi impegni più ardui furono perciò condotti, se così può dirsi, su due binari, quello del giornalista e quello del militante ambientalista. La salvezza dell'Appia Antica è sicuramente la più famosa e la più importante delle battaglie condotte in tal modo. Il suo primo articolo sulla regina viarum ("Il Mondo", dell'8 settembre 1953) è quello, celeberrimo, titolato I gangster dell'Appia, al quale hanno fatto seguito almeno altri cento articoli, sullo stesso settimanale, sul "Corriere della Sera", "la Repubblica", "L'Espresso" e altri giornali. La sua azione ininterrotta e implacabile, l'impegno di Italia Nostra e di altri benemeriti portarono a un primo fondamentale successo con l'approvazione del piano regolatore di Roma del 1965, che obliterò le paurose lottizzazioni per quasi cinque milioni di metri cubi ai lati della strada. Nel decreto, a firma del ministro Giacomo Mancini, si legge che "riguardando la tutela del comprensorio dell'Appia Antica interessi preminenti dello Stato [...] l'Appia Antica è interamente destinata a parco pubblico da Porta San Sebastiano ai confini del Comune".
Un risultato clamoroso. Scongiurato il rischio che l'avessero vinta i "nemici del genere umano", Cederna si impegnò, sempre insieme a Italia Nostra, perché alla tutela facessero seguito altri provvedimenti per conoscere, studiare, restaurare quell'intatto cuneo di verde, di storia, di natura che dai Colli Albani penetra fino al Campidoglio, e per consentirne il pubblico godimento. La vicenda dell'Appia Antica si è trascinata nei decenni successivi fra alterne vicende: pessimo controllo del territorio da parte del Comune di Roma, che ha consentito l'insediamento di circa un milione di metri cubi abusivi; ripetuti interventi legislativi della Regione per la formazione di un primo e poi di un secondo ente parco regionale (di cui Cederna è stato anche presidente).
Nonostante le lentezze intollerabili, i compromessi, gli abusi, le astuzie, il gran parco dell'Appia Antica è però ormai una realtà indiscutibile, e in tante parti meravigliosa, una realtà che nessuno osa più mettere in discussione. Tutto ciò lo si deve ad Antonio Cederna.
Va smentita in proposito un'altra insopportabile leggenda costruita ai suoi danni: che fosse un intellettuale astratto, incline all'interdizione, fatalmente destinato alla sconfitta, uno che sapeva dire solo no. Non è stato vero per l'Appia Antica e non è vero per un altro suo impegno, la tutela dei centri storici. Il punto di partenza è il convegno di Gubbio del 1960, un convegno di importanza straordinaria, aperto da una relazione di Antonio Cederna e Mario Manieri Elia radicalmente innovativa rispetto alle teorie allora prevalenti, che consentivano di manomettere, di "diradare" e anche di sventrare i centri storici (fatte salve le emergenze monumentali). Il convegno approvò la famosa "Carta di Gubbio" che sostiene l'inscindibile unitarietà degli insediamenti storici ("L'intero centro storico è un monumento").
Anche in questo caso, fu Giacomo Mancini, che frequentava e stimava Tonino Cederna, a far propria la Carta di Gubbio e a tradurla in norma. La cosiddetta legge-ponte, quella approvata dopo la frana di Agrigento del 1966, subordina infatti ogni intervento di sostanziale trasformazione dei centri storici all'approvazione di un apposito piano particolareggiato. Una soluzione all'apparenza precaria e semplicistica che però, con il passare degli anni, si è dimostrata di eccezionale efficacia. Tant'è che il nostro è l'unico paese d'Europa che ha in larga misura salvato i propri centri storici, ed è questo l'unico merito che la cultura urbanistica italiana contemporanea può vantare nel mondo. Certamente, nessuno può sostenere che la tutela del patrimonio immobiliare di interesse storico sia perfettamente garantita, ma certamente non sono più all'ordine del giorno gli episodi di gravissima alterazione, se non di vera e propria distruzione, che avvenivano frequentemente nei primi lustri del dopoguerra.
Qui a Ferrara non si può non ricordare il contributo di Cederna alla concretizzazione dell'idea che, per primo, Paolo Ravenna definì dell'addizione verde (quasi il completamento dell'"addizione erculea" del 1492), il grande parco urbano delle mura a nord della città (più di mille ettari), fino al Po, intitolato a Giorgio Bassani. Poi, forse meno conosciuto, un altro merito riguarda la localizzazione dell'auditorium nell'area dello stadio Flaminio, proposta da Cederna e accolta dal consiglio comunale di Roma, in tal modo scongiurando il vistoso errore, che si stava commettendo, di intervenire nel piccolo e inadatto borghetto Flaminio. E infine Tormarancia, uno splendido brandello di campagna romana, a ridosso dell'Appia Antica, salvato da una colata di cemento grazie ai suoi articoli e al lavoro delle associazioni.
È fuori discussione che, se ci furono vittorie, molto più numerose, e dolorosissime, furono le sconfitte, a partire dalla realizzazione dell'hotel Hilton: una violenza di 100 mila metri cubi sul crinale di Monte Mario. Da allora Cederna adottò l'"hilton" come unità di misura della speculazione fondiaria: una lottizzazione di 2 hilton, uno scempio di 3 hilton e mezzo...
[...]
Un destino clemente ha impedito a Cederna di vedere la fine miserabile toccata negli ultimi mesi all'area archeologica centrale di Roma e agli scavi di Ostia, insensatamente affidati alle cure della Protezione civile, con Guido Bertolaso commissario all'archeologia. L'intero mondo delle soprintendenze e quanti hanno a cuore la nostra storia e la dignità nazionale hanno protestato con determinazione. Salvatore Settis, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali, si è dimesso. Ma il governo va speditamente avanti lungo la linea dello smantellamento dei poteri istituzionalmente titolari della tutela, come aveva profeticamente previsto Cederna, scrivendo nel 1993: "Liberarsi quanto più possibile dal patrimonio artistico, culturale che la storia, si direbbe, ha avuto il torto di lasciarci in eredità: questo sembra il pensiero dominante dello Stato italiano".
Ho velocemente illustrato le opere e i giorni di Antonio Cederna. Mi resta da dire di una mirabile iniziativa che è stata attivata nel novembre dell'anno scorso per merito soprattutto dell'archeologa Rita Paris: l'Archivio Cederna, sull'Appia Antica, in prossimità del mausoleo di Cecilia Metella, in una proprietà acquistata dalla Soprintendenza archeologica di Roma, dopo aver riportato alla luce un impianto termale della metà del II secolo dopo Cristo. Nell'edificio principale sono stati raccolti la biblioteca, i documenti, le foto, e gli appunti di Antonio Cederna che la famiglia ha donato allo Stato italiano e che costituiscono il primo nucleo del Centro di documentazione della via Appia, che si sta costituendo insieme al Comune di Roma, alla Pontificia commissione di arte sacra, all'Ente parco.
In collaborazione con l'IBC - Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, si sta provvedendo all'informatizzazione dell'archivio, a mano a mano consultabile anche on-line nel sito dell'Archivio (www.archiviocederna.it). Per chi intanto voglia conoscere un po' meglio la figura di Antonio Cederna segnalo Un italiano scomodo. Attualità e necessità di Antonio Cederna, un libro voluto dall'IBC e curato da Maria Pia Guermandi e Valeria Cicala (Bologna, Bononia University Press, 2007). Raccoglie saggi scritti per l'occasione da compagni di viaggio, studiosi e testimoni. In appendice 14 articoli di Cederna scelti dagli autori del libro.
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