Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3
biblioteche e archivi / interventi, progetti e realizzazioni, pubblicazioni
Questo testo riprende l'intervento svolto dall'autrice il 5 maggio 2010 presso la Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna, in occasione della presentazione del volume Conservare il Novecento: gli archivi culturali. L'iniziativa è stata promossa dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna, dall'Associazione italiana biblioteche (AIB), dall'Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio archivistico e librario (ICPAL), dall'Associazione nazionale archivistica italiana (ANAI) e dalla Biblioteca dell'Archiginnasio, nell'ambito della IX edizione di "Quante storie nella storia. Settimana della didattica in archivio".
Quello che oggi presentiamo è il decimo volume di una collana,1 testimonianza di un'iniziativa varata per la prima volta nel 2000 e annualmente rinnovata in occasione del Salone internazionale del restauro di Ferrara (www.salonedelrestauro.info). Ed è anche un omaggio a Luigi Crocetti, che ha seguito, da protagonista e da coordinatore, il procedere dell'iniziativa. Incomincio col fare alcune annotazioni a partire dal titolo, che accompagna tutti i volumi della collana: "Conservare il Novecento". Quando si è verificato il primo incontro ferrarese era il 2000. Una data-evento, si potrebbe dire, perché stava finendo un secolo e ne incominciava un altro. Ovviamente nessuna data implica nette cesure. Ma la conclusione di un secolo poteva essere un'occasione per pensare o ripensare a quali materiali era già stata affidata, o era da affidare, la conservazione della memoria storica del Novecento. E quali potevano essere le possibilità di tramandarla e di farla conoscere. Gli argomenti e i problemi discussi nell'incontro del 2000 sono diventati un progetto di lavoro che dura da dieci anni. E tutto fa pensare che continuerà ancora.
Già dieci anni fa, si aveva la consapevolezza che conservare materiali novecenteschi non era cosa semplice. Occorreva infatti individuare dove erano disseminati, come confrontarsi con la loro diversificata tipologia, dove conservarli. Per quanto riguarda i materiali, ci si è subito resi conto che essi erano tanti e tanto variegati. Soprattutto se non venivano intesi in senso restrittivo. Tra il materiale librario, infatti, sono stati presi in considerazione anche i giornali e i periodici ("La stampa periodica" è il titolo dell'incontro del 2001), nonché i manifesti (quest'ultimo è stato l'argomento dell'incontro ferrarese del 2010). Per quanto riguarda il manufatto libro, si è prestata la dovuta attenzione anche alla cosiddetta letteratura di massa o di consumo (i fumetti, i libri per bambini e ragazzi, la letteratura rosa, la giallistica, e così via). Ritenuta effimera, e quindi non meritevole di essere tramandata, è quella che meno di altre è stata conservata.
A sua volta, il manufatto libro è stato visto nella sua complessiva materialità, e quindi anche nei suoi aspetti paratestuali: copertine, sopracoperte, fascette pubblicitarie, schede-foglietti volanti, eccetera (non a caso, ai due incontri del 2004 e del 2005 sono stati dati i titoli, a mio parere felici, di "I vestiti del libro" e "I colori del libro"). Per quanto attiene al materiale archivistico, ci si è dovuti confrontare non solo con quello propriamente cartaceo, ma anche con quello fotografico, filmico, audiovisivo e, per quanto riguarda l'ultimo decennio del secolo scorso, con quello digitale: si pensi agli incontri del 2003 ("La fotografia specchio del secolo"), del 2007 ("Le memorie della voce") e del 2002 ("Oltre le carte").
È proprio la variegata tipologia del materiale con cui si è dovuto fare i conti che ha indotto, direi quasi obbligato, chi ha seguito nel tempo il complessivo progetto, a riunire competenze e specializzazioni diverse. Spesso sono state coordinate da Luigi Crocetti, che non senza autoironica intelligenza amava definirsi un "incompetente" tra "competenti". Riflettendo su come è andata sviluppandosi nel tempo l'iniziativa avviata nel 2000, e anche leggendo il volume che oggi presentiamo, emerge in tutta evidenza che conservare non è una attività meramente tecnica, asettica, burocratico-amministrativa. Conservare è piuttosto un'attività culturale, o meglio politico-culturale, molto complessa. Ne implica infatti molte altre. E coinvolge professionalità diverse e responsabilità diffuse. Come tutti i concetti ricchi di significato non è esente da ambiguità. Conservare vuol dire sottrarre qualcosa alle dispersioni o, peggio, alle distruzioni; ma può anche voler dire mettere da parte, accantonare, persino rimuovere, se all'attività conservativa non si accompagna la messa a punto di molteplici possibilità di fruizione da parte dei cittadini. Nel conservare un presente-passato per un futuro che non conosciamo, non si deve altresì cadere in trappole nostalgiche o in ossessivi feticismi.
Il titolo del volume che oggi presentiamo riprende la denominazione di "archivi culturali" proposta da Luigi Crocetti in un suo scritto del 1990 e ribadita nel primo degli incontri dedicati a "Conservare il Novecento". È una denominazione che, non a torto, veniva ritenuta più onnicomprensiva di altre: quella, per esempio, di "archivi letterari" o "degli scrittori" e quella di "biblioteche d'autore". Direi che Crocetti è stato lungimirante. La tipologia degli archivi novecenteschi è molto più variegata di quella che rinvia a un solo tipo di produttori come i letterati o gli scrittori. Può comprenderne molti altri, e non necessariamente identificabili con personalità di rilievo.
Molte cose ci sarebbero da dire se leggessimo con attenzione quanto è contenuto nel volume che ho tra le mani. Esso è, infatti, nella sua limitata mole quantitativa, molto denso; oltre le relazioni fatte nell'incontro del 2009, contiene alcuni interessanti scritti di Luigi Crocetti, scelti e ampiamente commentati da Laura Desideri. Fitta e intricata è la ragnatela dei fili visibili e invisibili che attraversano le varie relazioni, e che a loro volta le legano agli scritti di Crocetti. Mi limito ad accennare soltanto ad alcuni di questi fili: pochi, tra i tanti che lo meriterebbero.
Quando si tratta di operare su materiali novecenteschi prodotti da persone, ci si accorge che tracciare un rigido confine di demarcazione tra il settore delle biblioteche e il settore degli archivi è quasi sempre impossibile. Così, quel confine è andato sempre più sfilacciandosi, fino a scomparire, in alcuni casi pressoché del tutto. Ciò non vuol dire che il settore delle biblioteche e quello degli archivi non siano connotati da specificità di lavoro, di tecniche, di preparazione professionale. Non vuol dire che non ci siano differenze tra il mestiere del bibliotecario e quello dell'archivista. Vuol dire piuttosto che la varietà e l'eterogeneità che spesso connotano gli archivi di persona, e più in generale i materiali novecenteschi, li rendono così compositi da non lasciare più posto a ottuse difese di attardati specialismi.
Questi materiali costituiscono, infatti, uno spazio, un territorio che, per essere adeguatamente conosciuto, può, forse deve, essere percorso da tanti e diversificati fruitori. Da coloro che siano in grado di accertare che i prodotti legati alla fantasia e all'immaginazione, e i prodotti legati alla realtà, si intrecciano e reciprocamente si integrano. Solo tenendo presente questo intreccio possiamo meglio conoscere le modalità di produzione, sedimentazione, stratificazione, nonché di trasmissione dei singoli insiemi. E soprattutto possiamo meglio conoscere le persone che quei materiali, quegli insiemi hanno prodotto o costruito. Nonché i pieni, i vuoti, le eventuali contraddizioni dei loro itinerari culturali. Attraverso le tessere grandi e piccole che avremo individuato, potremo tentare di comporre, sia pure faticosamente, una sorta di mosaico, di quadro d'insieme, in cui le varie tessere trovino il loro posto. E così provare a ricostruire determinati spaccati biografici e autobiografici.
Un'altra conseguenza importante del lavoro fatto negli anni passati - spesso sotto l'occhio attento e vigile di Crocetti - è la consapevolezza che non ci si deve preoccupare di conservare soltanto i materiali d'autore, quelli per così dire firmati, ma anche il materiale cosiddetto minore, in molti casi più denso di informazioni rispetto ad altri. Come più volte è stato osservato, infatti, si è andata affermando, perché ben fondata, l'idea di un cambiamento nell'ordine delle gerarchie di rilevanza attribuite, fino a tempi recenti, al materiale documentario in genere. Gli archivi statali, quelli cioè prodotti da organi centrali e periferici dello Stato, non occupano più i gradini più alti nella scala gerarchica delle fonti documentarie. Hanno acquistato maggiore o perlomeno pari importanza gli archivi di persone, di famiglie, di aziende (come quelli delle case editrici: a "Le memorie del libro" è stato dedicato l'incontro del 2006) o le fonti per la storia di fenomeni di costume (come la moda, delle cui carte si è parlato nell'incontro del 2008).
Un altro aspetto della conservazione novecentesca viene sottolineato in questo come nei precedenti volumi. E cioè la grande proliferazione di iniziative conservative presenti nel nostro Paese. Una proliferazione "benvenuta", diceva Crocetti nel 2001, ma su cui occorre anche vigilare. Si tratta infatti, indubbiamente, di un segno della variegata storia che ha interessato il territorio italiano, e di conseguenza della ricchezza altrettanto variegata del suo patrimonio storico. Ma è una proliferazione a cui sono seguite poche concentrazioni; permane quindi una certa dispersione, che peraltro può essere corretta dalle tecnologie informatiche di cui si dispone, risorse finanziarie permettendo. Ci si può dunque domandare: abbiamo a che fare con una sorta di "democrazia degli archivi", come scrive Marino Biondi in questo volume? E dato che il concetto di archivio è come esploso, siamo forse irretiti da una diffusa "ossessione memoriale", per usare un'espressione che si legge nel saggio di Diana Toccafondi?
Mi astengo, qui, dal rispondere a questi interrogativi; non saprei farlo in poco tempo. So soltanto che da archivista, nata e per buona parte vissuta nel Novecento, continuo a guardare con interesse e curiosità quello che succede in questo inizio di secolo nel mondo degli archivi e delle biblioteche (e ovviamente non solo in esso). Finché posso leggere libri come questo, sono abbastanza rasserenata. E ancor più mi tranquillizzo se rileggo quanto ha scritto Maria Corti nel 1997, in Ombre dal fondo, il libro in cui ha rievocato (e postillato con acutezza) le vicende delle acquisizioni via via pervenute al Centro manoscritti dell'Università di Pavia: "Con le carte che vengono dai cassetti del Tempo, pieno di cose incorporee e composte in un oscuro passato, con l'ingorgo delle loro composizioni e decomposizioni continue, gli scrittori ci affaticano, anche se va detto che non si amerebbe vivere senza la loro presenza".
Nota
(1) Conservare il Novecento: gli archivi culturali. Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro, 27 marzo 2009. Atti del convegno, seguiti da L. Crocetti, La tradizione culturale italiana del Novecento e altri scritti, a cura di L. Desideri e G. Zagra, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2010.
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