Rivista "IBC" XVIII, 2010, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, storie e personaggi

Rocca San Casciano, nel cuore dell'Appennino romagnolo, racconta la prima metà del Novecento attraverso gli scatti dei suoi fotografi. Oggi conservati e mantenuti in vita da chi ne ha saputo capire il valore.
Immagini di paese

Isabella Fabbri
[IBC]

Le fotografie in bianco e nero che illustrano questo numero di "IBC" riguardano un paese della Romagna già toscana, Rocca San Casciano, e il territorio che lo circonda, la media e alta valle del Montone. Diviso in due dal fiume, Rocca San Casciano, duemila abitanti circa, è situato esattamente all'inizio della salita che porta al Passo del Muraglione: la strada per Firenze fu fatta costruire dal granduca di Toscana Leopoldo II nei primi decenni dell'Ottocento.

Sede dal 1848 della tipografia della casa editrice Cappelli, Rocca San Casciano è oggi noto soprattutto per la festa dei falò accesi sul greto del fiume nella ricorrenza di San Giuseppe. Il centro è inoltre dotato di una piazza "a baccalà" su cui si fronteggiano due storici bar, di un municipio di pura architettura fascista (il periodo fascista è stato vissuto qui con grande intensità, complice la vicinanza di Predappio), di buone trattorie che servono cucina toscana di confine, di un'aria pulita e frizzante che si traduce in inverni molto freddi e grandi nevicate, di una piccola circonvallazione detta "giro dell'oca".

Come ogni paese, Rocca è anche un microcosmo unico e irripetibile, un luogo denso di storie, eventi e personaggi che, come in un puzzle, ne compongono la memoria peculiare. La fotografia è uno straordinario veicolo di questa memoria, altrimenti labile e destinata a perdersi nel tramando delle generazioni, e per fortuna il nostro paese ha potuto contare, negli anni, su diversi fotografi ufficiali. Il primo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, è stato Giovan Battista Cagnani. Il secondo si chiamava Dante Piccioni: lo vediamo all'opera en plein air in una delle immagini che presentiamo, chino sulla macchina appoggiata sul cavalletto e ignaro, forse, di essere a sua volta al centro di un obiettivo.

Attivo dalla fine degli anni Venti agli inizi degli anni Sessanta, Piccioni ha lasciato un archivio di circa cinquemila immagini tra lastre di vetro, negativi e stampe, conservate oggi dalla figlia Donatella. Da buon fotografo professionista, Piccioni ha documentato con nitidezza tutti gli eventi che meritano di essere ricordati nella vita della comunità e delle singole persone: le trasformazioni del paese e del territorio, le strade, gli edifici, il lavoro nelle campagne scandito dalla stagionalità delle coltivazioni e dei raccolti, i riti religiosi con il loro contorno di turiboli e chierichetti, le visite del duce e le pose dei notabili, le nevicate, le fiere, le feste, il passaggio della guerra, i veglioni postbellici e poi, ovviamente, i matrimoni, i battesimi, le comunioni, i ritratti in studio di generazioni di rocchigiani.

Anni di storia finiscono così condensati, con discrezione, in un album di immagini capaci spesso di rendere lo spirito del tempo con grande efficacia metonimica: le sagome vagamente espressioniste delle autorità civili e militari, con il loro campionario di divise e abiti da parata in mezzo agli abitanti del paese, raccontano cose del fascismo che decisamente travalicano l'occasione specifica. Come la corriera cromata e tondeggiante degli anni Cinquanta, che, nella solidità tecnologica del "nuovo che avanza", si contrappone alle smilze Balilla d'anteguerra.

Sfogliare questo album significa anche ricostruire una piccola storia della fotografia, della sua funzione e della sua percezione sociale. Per gran parte del periodo qui illustrato, infatti, l'immagine fotografica rimane un documento raro, la testimonianza (da non sottovalutare) di un evento importante. Le cose e le persone che l'obiettivo inquadra sono, o almeno appaiono, ancora vergini, quasi timide, assolutamente non esibizioniste. È come se, da molte di queste immagini, trasparisse il fascino di una ipotetica "prima volta".

Un fascino scontroso che si esprime al meglio nella composizione studiata e corale dei gruppi (i cacciatori, le sartine, i pompieri, la banda) e nei numerosi ritratti in studio. Disciplinatamente inseriti in una scenografia codificata, che spesso comprende una sedia "Savonarola" e una mezza colonna neoclassica sullo sfondo, i rocchigiani giovani e vecchi se ne stanno in posa, solenni e consapevoli che quella fotografia laboriosamente preparata, e spesso ritoccata, entrerà a far parte dell'album ufficiale della famiglia.

Sono considerazioni ovvie, ma verificarle fa sempre riflettere sullo scarto tra il passato e la situazione attuale, in cui lo scatto fotografico è in genere la continuazione di un'occhiata, un gesto semplice e accessibile a tutti, quindi, in qualche modo, senza spessore e senza intensità. Ben venga, dunque, questa memoria per immagini che dobbiamo essenzialmente al lavoro dei fotografi di paese, testimoni privilegiati delle innumerevoli declinazioni locali di un passato recente, ma inesorabilmente sempre più remoto. Tanto più che recuperare le immagini (e il passato) non è poi una impresa facile o comune. Nel caso di Rocca San Casciano, di questa impresa si è incaricato, con passione e curiosità, Lino Frassineti, un tempo tipografo e compositore e oggi tenace cacciatore-raccoglitore di immagini, quasi a tempo pieno.

A lui va il merito di avere in qualche modo riscoperto l'archivio di Dante Piccioni: poco alla volta, sulla base di questo primo corpus di fotografie, ha costruito una sorta di grande archivio virtuale e onnivoro, che racconta Rocca San Casciano, ma anche Portico, Bocconi, Tredozio, San Benedetto, Dovadola... Una scansione e via: gli originali tornano nei cassetti o nei bauli del proprietario e l'archivio si arricchisce di un tassello. Una vecchia-nuova immagine, magari tratta da un album di famiglia, su cui Frassineti esercita la sottile arte della decifrazione, studiando sfondi e dettagli, ristabilendo genealogie, sciogliendo nodi di relazioni famigliari, riscoprendo porzioni di paesaggio e traducendo tutto questo in didascalie che puntigliosamente ricompongono un universo di date, eventi, oggetti, nomi, parentele, soprannomi.

Del resto, queste immagini, recuperate e rimesse in circolazione, hanno mostrato una loro particolare, contagiosa vitalità: molte di esse sono entrate a far parte di opuscoli e libri dedicati alla storia e alla cronaca locale,1 e non a caso, come si diceva, fare libri è stato a lungo uno dei mestieri del paese (lo stesso Frassineti costruisce e impagina, al computer, dossier tematici). Altre fanno bella mostra nell'esposizione permanente dedicata alla fauna, alla caccia e alla storia del paese realizzata da Giorgio Zauli.2 Infine, proprio per il tramite di Giorgio e a sua sorella Vera, sono approdate anche sulla nostra rivista.


Note

(1) Tra le pubblicazioni più recenti: D. Becattini, C'era una volta il Mercato. Il Talentone, la Piazzola, la Bdoléda, Bertinoro (Forlì-Cesena), Arti grafiche GE.GRAF, 2010.

(2) Per ulteriori dettagli si veda il sito web dell'Associazione "Tradizioni Acquacheta": www.tradizioniacquacheta.it/museo.html.

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