Rivista "IBC" XV, 2007, 2

musei e beni culturali / corrispondenze, inchieste e interviste, leggi e politiche

Alla fine il Metropolitan Museum di New York restituirà all'Italia il "Vaso di Eufronio". Intervista a Oscar White Muscarella, l'archeologo che si oppose (invano) all'acquisto di un capolavoro evidentemente trafugato.
E Pandora sta a guardare

Franca Di Valerio
[museologa]

Allora disse ad Apollo Zeus che raduna le nubi:

"Su, ora, presto, caro Febo il nero sangue pulisci,

dopo avere sottratto Sarpedone dai dardi,

poi portalo molto lontano, lavalo nella corrente del fiume,

ungilo d'ambrosia e vestigli veste immortale;

e dallo da portare ai rapidi portatori,

al Sonno e alla Morte, che velocemente

lo deporranno nella grassa contrada di Licia,

e là l'onoreranno i fratelli e i compagni

di tomba e stele; questo è l'onore dei morti".1

 

È impossibile sapere se il pittore attico Eufronio recitasse, cantasse, questi stessi versi nel delineare l'immagine di Sarpedone morente mentre viene sollevato dalla Morte e dal Sonno, ma sono queste le parole che ci vengono in mente ammirando la scena dipinta sul magnifico cratere che continua ad affascinare (ma per non molto ancora) i visitatori delle sale dedicate all'arte greco-romana nel Metropolitan Museum of Art di New York. Ancora per poco, dicevamo, perché quest'opera, oltre a essere uno degli esempi più alti della ceramica attica dipinta del VI secolo a.C., fin dal 1972, quando il Metropolitan ne annunciò pubblicamente l'acquisto, è divenuta l'archetipo delle opere d'arte trafugate dai propri siti d'origine e finite nelle collezioni private o pubbliche in giro per il mondo. La nota a caratteri minuscoli "lent by the Republic of Italy" posta in fondo alla didascalia sta a significare che, dopo trent'anni di controversie e battaglie, il "vaso di Eufronio", com'è ormai universalmente conosciuto, tornerà in Italia il 28 gennaio 2008, insieme a numerosi altri reperti inclusi nell'accordo sottoscritto dal Governo italiano e dal museo newyorkese il 21 febbraio 2006.

Siamo forse di fronte a una repentina inversione di tendenza della politica culturale di uno dei più ricchi e prestigiosi musei mondiali, e delle prerogative del "museo universale" promosse e rivendicate, tra gli altri, dal suo altezzoso direttore, il conte Philippe Lannes de Montebello ("de", non "di", come non manca di sottolineare egli stesso, a ribadire la propria origine francese, non italiana)? Niente affatto. Secondo le correnti procedure di acquisizione, adottate dal Metropolitan nel 2004, il Museo può acquisire solo opere corredate da una documentazione risalente a un minimo di dieci anni (un lasso di tempo risibile perfino per un'opera d'arte contemporanea, figuriamoci per un reperto archeologico), e può fare eccezione nel caso di un'opera di particolare importanza o merito.

"La verità, per quanto spiacevole, è che il mercato clandestino è responsabile della conservazione di moltissimi oggetti" afferma de Montebello, sostenendo inoltre che, in ogni caso, i grandi musei hanno un ruolo insignificante nell'alimentare il traffico illecito, e ciò nonostante la condivisa consapevolezza del contrario, ulteriormente corroborata dalla circostanza che per la prima volta il curatore di un altro noto e potente museo americano, insieme a un noto e potente mercante d'arte (e il connubio è davvero emblematico) siano imputati in un processo in Italia proprio per tali accuse.

È infatti l'innegabilità di questa liaison dangereuse che ha portato il solitamente atarassico International Council of Museums (ICOM), attraverso il presidente Alissandra Cummins, a rilasciare una dichiarazione ufficiale in cui si afferma, tra l'altro, che attualmente esiste una grande quantità di prove, di pubblico dominio, della negligenza colposa da parte dei maggiori musei nell'acquisizione di reperti con provenienza dubbia, e che è assolutamente evidente che quantomeno il contenimento del mercato illegale è direttamente dipendente dai principi etici e dalle sanzioni contro l'acquisizione di materiali di origine non documentata applicate dai musei, essendo questi ultimi le istituzioni leader nel definire standard condivisi internazionalmente, e dunque in grado di contribuire al controllo dei prezzi sul mercato mondiale dell'arte.

Ma, molto più significativamente, la dichiarazione dell'ICOM sgombera finalmente il campo da un falso e ipocrita convincimento, ammettendo che il ruolo dei musei e la loro influenza sul traffico illecito non è affatto un problema marginale, come alcuni membri della comunità museale, specialmente americana, tentano di sostenere da anni,2 argomentando che una provenienza incerta non deve frapporsi, per esempio, a un prestito da parte di un collezionista privato se l'opera in questione è di particolare significato.

Che un tale atteggiamento disinvolto sia in realtà una forma di complicità è precisamente quanto prova il processo in corso a Roma in cui sono imputati il Getty Museum di Los Angeles, nella persona della ex direttrice del dipartimento di antichità classiche Marion True, e il mercante d'arte Robert Hecht, lo stesso che ha venduto al Metropolitan Museum il vaso di Eufronio. Ed è a causa delle prove inconfutabili emerse nel processo che il museo newyorkese si è affrettato a restituire all'Italia il vaso e alcuni altri reperti da tempo reclamati: "I documenti emersi dal processo al Getty Museum confermano che il vaso di Eufronio è stato trafugato" ha dichiarato Philippe de Montebello, che si è anche premurato di aggiungere: "Come si sa, i depositi dei musei italiani sono stipati di opere d'arte. Non è che ne abbiano bisogno [dei reperti restituiti, nda] Si tratta di una mossa politica". E a proposito del vaso di Eufronio ha concluso: "Sospetto che inizialmente lo esporranno come trofeo di conquista nel Museo Etrusco di Villa Giulia".3

Queste vicende ci offrono l'occasione di uno scambio di riflessioni con Oscar White Muscarella, curatore del Metropolitan Museum of Art - Department of Ancient Near Eastern Art. Archeologo, studioso delle antiche civiltà mediorientali, esperto del problema della falsificazione dei reperti,4 il suo libro The Lie Became Great. The Forgery of Ancient Near Eastern Cultures costituisce un testo di riferimento a questo riguardo, e personalmente ci rammenta la querelle tra il Getty Museum e Federico Zeri a proposito dell'acquisto nel 1985 del kouros ritenuto un falso dal grande storico dell'arte, e tuttora in mostra in quel museo. Le vicende professionali di Muscarella, e probabilmente anche quelle personali, sono strettamente intrecciate con le vicende del vaso di Eufronio.

Per lui, l'epilogo di questa storia assume ora il significato di una sorta di nemesi en reverse: quando nel novembre 1972 l'allora direttore Thomas Hoving ne annunciò l'acquisto,5 Oscar Muscarella fu l'unico a opporvisi pubblicamente in interviste e conferenze: era convinto che la provenienza ufficiale del vaso, la collezione del mercante d'arte libanese Dikran Saraffian, fosse più che sospetta data la scarsa documentazione esistente, nonostante il reperto fosse opera di un ben noto e studiato artista dell'antichità. Accusò anche il Consiglio del Museo di non avere adeguatamente indagato, abdicando al proprio dovere di garantire l'integrità etica e culturale dell'istituzione. Immediatamente licenziato, venne reintegrato dopo un lungo processo vinto ai danni del Metropolitan. Da allora l'ostracismo nei suoi confronti è stato totale, benché egli continui a essere uno studioso di riconosciuta autorevolezza internazionale, e continui a essere impegnato in prima persona nella lotta al traffico illecito del patrimonio culturale, in special modo dei reperti archeologici.

"Lo scavo clandestino" - ci dice Muscarella - "distrugge il contesto cancellando con esso gli elementi che contribuiscono alla ricostruzione del passato. Gli oggetti dovrebbero essere lasciati in situ, e rimossi solo dopo che i ricercatori li hanno studiati nel loro proprio contesto. È solo così che siamo in grado di ricostruire e conoscere la nostra storia". All'obiezione molto spesso avanzata che non sempre paesi ricchi di opere d'arte, come l'Italia, sono in grado di proteggere e preservare questo "patrimonio universale", come sono invece in grado di fare i collezionisti e i grandi musei, soprattutto americani, il nostro interlocutore diventa ironicamente "figurativo": "Certo, non è fantastico? Un ladro le ruba la borsa, e lei viene biasimata per questo: come dire che se dei ladri si introducono in un appartamento e lo saccheggiano, sono i proprietari a dover essere colpevolizzati per l'accaduto! Il nocciolo della questione è il potere, il potere dei collezionisti e dei mercanti, il potere e la perversione della ricchezza. E i collezionisti, essendo ricchi uomini d'affari, siedono nei consigli di amministrazione dei musei".

In effetti basta dare una rapida scorsa al solo elenco dei trustees del Metropolitan (per non menzionare quello delle aziende che ufficialmente contribuiscono finanziariamente al Museo) per rendersi conto che vi sono inclusi i nomi delle più influenti dinastie dell'industria e della finanza mondiali, gli stessi nomi dei maggiori collezionisti di opere d'arte: Astor, Morgan, de la Renta, Bloomberg, Sulzberger, perfino Henry Kissinger. Se per un collezionista privato l'acquisto a ogni costo del pezzo unico e sensazionale rappresenta un'ulteriore dimostrazione del proprio stato di potere - e sulle dinamiche, anche psicologiche, che il collezionismo involve rimandiamo alla sterminata letteratura esistente - per un museo rappresenta invece una sorta di "atto contro natura", essendo questa per antonomasia un'istituzione responsabile della collaborazione sia con le comunità da cui provengono le sue collezioni, sia con la comunità in cui essa opera e serve.

Oscar Muscarella tiene ad aggiungere: "Il recente accordo tra lo Stato italiano e il Metropolitan, che prevede la concessione di prestiti a lungo termine e l'autorizzazione a condurre scavi archeologici in Sicilia, rappresenta una forma di 'riscatto' pagato al Museo per riavere quanto avrebbe dovuto essere semplicemente restituito, e con molte scuse". Alla fine della nostra conversazione, avviandoci verso le sale delle collezioni greco-romane che egli definisce "il tempio del saccheggio", gli chiediamo se in seguito all'avvenuta restituzione dei reperti all'Italia, e dunque alla sanzione ufficiale che la sua posizione era eticamente e professionalmente ineccepibile, il Museo gli abbia offerto, in una qualsiasi forma, le proprie scuse: "No, nessuno si è fatto avanti, neppure i miei colleghi curatori, che continuano a evitarmi".

Intanto, in fondo al corridoio che introduce alle sale dell'arte classica, si stanno mettendo a punto i nuovi spazi che ospiteranno l'arte etrusca, l'arte della Magna Grecia, della Roma classica ed ellenistica, e la già più che controversa "Leon Levy and Shelby White Court", un museo dentro il museo con il nome dei collezionisti che hanno contribuito al riallestimento di questa sezione con generosi finanziamenti e una straordinaria quantità di preziosi oggetti (Shelby White ricopre numerose cariche nel board of trustees, non ultima quella nel comitato che decide le acquisizioni per le collezioni). Oltre seimila reperti, molti esposti per la prima volta al pubblico, tra cui gli affreschi provenienti dalle ville romane di Boscoreale e Boscotrecase vicino Pompei, il carro etrusco da Monteleone di Spoleto, i frammenti dal palazzo imperiale di Domiziano, il cratere del pittore di Tarporley, i vetri dell'artista Ennion, la parure di gioielli etrusca, le armature etrusche e italiche... Oltreoceano gli investigatori italiani stanno già indagando.

 

Note

(1) Omero, Iliade, tr. it. R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 1990, p. 587, vv. 666-675.

(2) Statement by the President of ICOM on current legal actions against museums for the return of illegally exported cultural property (especially Italy VS the J. Paul Getty Museum), December 2006: icom.museum/statement_illegalexport_eng.html.

(3) P. de Montebello, Is It All Loot? Tackling The Antiquities Problem, "The New York Times", 29 marzo 2006, p. 16: estratti della tavola rotonda "Who Owns Art. A debate on Museums and the Looting of the Past" (New York, New School, 6 marzo 2006).

(4) Per esempio, Muscarella ritiene che il famoso Suonatore d'arpa, datato a più di 4.000 anni fa, considerato uno dei più preziosi esempi dell'arte cicladica e icona riprodotta sui poster e sulla copertina dei cataloghi delle collezioni di arte antica del Metropolitan Museum, sia un falso.

(5) Thomas P. F. Hoving è stato direttore del Metropolitan Museum dal 1967 al 1977, e il suo modus operandi va tutt'ora sotto la definizione di hovingism, un termine che sta a indicare l'adozione di aggressivi metodi di marketing tipici delle grandi corporates (mostre blockbuster una dietro l'altra, shops e ristoranti sparsi dentro il museo, parties per le celebrità del mondo dello spettacolo): allo scopo di vendere il "prodotto" (le mostre e le iniziative museali) ai "consumatori" (i visitatori). Va ricordato che per l'acquisto del vaso di Eufronio Hoving dispose la vendita di diciassette oggetti delle collezioni permanenti del Museo, nonostante l'opposizione dei curatori, inaugurando la pratica della "deaccessione". Durante l'anno fiscale 2005-2006 il museo ha venduto o scambiato, tra gli altri, sette fotografie di Alfred Stieglitz (tra cui due ritratti di Georgia O'Keeffe), due dipinti di Pablo Picasso (Mother and Child e Woman Seated in an Armchair) e un dipinto di Pierre-August Renoir (La Dame au Fauteuil).

 

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