Rivista "IBC" XXII, 2014, 3
biblioteche e archivi / linguaggi, pubblicazioni
Cucina all'Opera: musica e cibo in Emilia-Romagna, di Giancarlo Fre, era ancora in stampa in italiano quando fu deciso di farne la traduzione inglese. Se, all'inizio del 2013, l'Assessorato all'agricoltura della Regione Emilia-Romagna aveva espresso all'IBC, l'Istituto regionale per i beni culturali, il desiderio di proporsi nell'anno verdiano con un prodotto che legasse le politiche agricole e i prodotti del territorio a un'occasione culturale, la corsa verso "Expo 2015" rendeva evidente che quel volumetto tradotto poteva raggiungere il pubblico internazionale della grande kermesse e continuare poi nelle molteplici occasioni in cui si propongono all'estero le differenti valenze della cultura dell'Emilia-Romagna.
Non si poteva allora neanche immaginare il successo che la pubblicazione italiana avrebbe riscosso, con ben quattro tirature in rapida successione, necessarie per soddisfare richieste che provenivano da Palermo al Canton Ticino. L'edizione inglese, intitolata The Operatic Kitchen: Music and Food in Emilia-Romagna, doveva così attendere l'esaurimento dei ripetuti ordini in italiano (lingua in cui è ora disponibile la versione digitale sul sito dell'IBC), per vedere il "visto si stampi" nella primavera del 2014. 1
Quasi contemporaneamente, una richiesta del tutto inattesa arrivava dalla Turchia, dove l'Istituto italiano di cultura desiderava eseguire e dare alle stampe, a Istanbul, una traduzione che sarebbe stata curata da Eren Cendey, la fine intellettuale che ha reso in lingua turca Italo Calvino, Cesare Pavese, Dino Buzzati, Roberto Calasso, Umberto Eco e tanti altri successi editoriali contemporanei. 2
E ancora la nave va: non si escludono infatti ulteriori versioni in altre lingue, e una mostra digitale bilingue che è stata tratta da Cucina all'Opera, con il titolo "Il gusto della musica / The Taste of Music" si appresta a viaggiare dal Brasile alla Tailandia in occasione della "Settimana della lingua italiana". Del libro in sé si è detto e scritto molto; 3 nel complesso, si tratta di erudite divagazioni fra musica, cucina e territorio, in un linguaggio piano e accattivante che spiega probabilmente il grande successo del volume; è giunto così il momento di soffermarsi sulla sua traduzione inglese, attendendo quella turca ora in tipografia.
L'IBC ha curato in proprio la versione inglese. È una procedura irrituale nel mondo della traduzione, che affida sempre il lavoro a madrelingua (o quantomeno dovrebbe), nella maggior parte dei casi professionisti esterni rispetto al centro di produzione dell'originale o alla ristretta cerchia dell'autore. I pro e i contro di tale scelta non rappresenteranno mai una pietra miliare negli studi di teoria della traduzione, ma illustrano ancora una volta la gamma di interessi e competenze che l'IBC può mettere in campo.
Il primo vantaggio della traduzione "fatta in casa" è stato per la Regione Emilia-Romagna di tipo economico. In tempi di pesante crisi e di spending review, non solo si è evitata l'esposizione finanziaria, se mai ce ne fosse stata la possibilità materiale, ma anche tutto quel necessario e laborioso procedimento amministrativo che consente di affidare lavori di questo tipo all'esterno e comunque entro precisi e ridotti margini di spesa e selezione.
Ovviamente, questo elemento non può di per sé bilanciare l'infrazione alla regola del traduttore madrelingua, pur se nei fatti, per lavori di modesta entità, molte agenzie specializzate si rivolgono alla sua sola supervisione finale di elaborati realizzati da laureati italiani. È stato tuttavia dirimente quando accompagnato da altri prevedibili vantaggi, quali la conoscenza dell'idioletto dell'autore e del testo originale, la conoscenza delle ricette citate, la conoscenza dell'inglese e dei linguaggi specifici, e buoni contatti di lavoro e personali nel mondo delle biblioteche anglosassoni.
Chi scrive, e ha tradotto, ha infatti condiviso l'esistenza dell'autore, conoscendone quindi il linguaggio, reciprocamente nutritosi e arricchitosi negli anni come lessico famigliare. Ha inoltre visto la nascita dell'idea, quella Agricoltura che si voleva esprimere anche come Cultura, sulle orme di Catone e del suo Liber de Agri Cultura (in passato noto come De re rustica) con la lode del "vir bonus colendi peritus", che sottolineava il valore dell'attività agricola anche nei confronti di quella commerciale o liberale. Non a caso proprio un articolo di Fre, nel solco di suoi altri contributi per "IBC", scritto su Giuseppe Verdi come gentleman farmer, oltreché gourmet e gourmand, non viene in realtà pubblicato come tale ma diventa la prima pietra di Cucina all'Opera.
L'estemporanea traduttrice, dopo essere stata testimone della nascita dell'idea, ha poi osservato da vicino la costruzione del volume come oggetto. L'autore, alla vigilia della prematura scomparsa, aveva fatto in tempo a consegnare l'intero testo fedelmente rispecchiato dal libro, ma quanto al dopo... Nel sentire collettivo di chi frequenta le librerie, c'è una visione romantica del manoscritto inviato all'editore e magicamente dato alle stampe. In realtà c'è un lunghissimo lavoro "editoriale" che porta alla fabbricazione del libro, lavoro intellettuale di enorme importanza e con un valore proprio anche rispetto all'autore. Comincia in tipografia, con la decisione dell'apparato iconografico e del layout, prosegue con la correzione delle bozze, con la verifica della scala cromatica, con la partecipazione al vaglio della grammatura della carta e, nel nostro caso particolare, con la scelta di fare rielaborare alcuni disegni dell'autore per la copertina. Di questo percorso affascinante, condiviso con alcuni colleghi dell'IBC e della stamperia regionale, chi scrive è stata testimone privilegiata, così come fu attenta alla ripetuta esecuzione di numerose ricette citate, tutte comunque note e discusse in ambito famigliare nel corso degli anni.
Ovviamente c'era la conoscenza della lingua di destinazione, ma un importante aiuto è venuto dalla pratica del linguaggio specifico, in questo caso quello della cucina. Mentre l'italiano presenta una varietà di proposte grammaticali nell'avvicinare il lettore - per esempio: "Prendo... Prendi... Prendiamo... Si prenda... Prendete un chilo di burro...", che si traduce in un'immediata circoscrizione del pubblico, dal più semplice del confidenziale "tu" al più evoluto e professionale della forma impersonale o imperativa, pure con notevoli differenze fra contenuto e tipologia delle ricette - l'inglese non distingue questo aspetto sentinella, ma si differenzia nella proposta di esecuzione, più o meno strutturata. È stata una facilitazione iniziale che ha dovuto poi tenere conto di grandi difficoltà di equivalenza linguistica, quando si è entrati nel merito degli ingredienti ed è cominciata la paziente opera di revisione dei madrelingua, di cui si dirà.
Entrano infatti in campo, a questo punto, quelle frequentazioni professionali a cui si è accennato come ultimo dei vantaggi; per professione, chi scrive intrattiene continui rapporti con le biblioteche e il mondo accademico britannico, che determinano quindi un forte impatto sulla competenza linguistica-comunicativa, in particolare sociolinguistica e pragmatica. Trovano così posto nel linguaggio le regole di cortesia, di "saggezza popolare", quali i giochi di parole, i proverbi e le citazioni, elementi tutti presenti nel linguaggio dell'autore. Più semplicemente però, gli ottimi rapporti relazionali hanno fatto sì che Anthony e Jean Curwen, due coltissimi colleghi bibliotecari britannici, abbiano generosamente accettato di eseguire una revisione finale dell'intero testo reso in inglese.
Esaurito l'ultimo dei vantaggi che vengono alla mente, incominciano invece gli svantaggi operativi e le difficoltà lessicali che hanno segnato questo tipo di traduzione. Primo fra tutti è stato il non potere, né sapere, accedere a risorse e software di traduzione assistita, i cosiddetti CAT (
computer-assisted translation). Si tratta di grandi depositi di traduzioni, che vanno a formare un immenso tesauro, che a sua volta consente le nuove traduzioni e contemporaneamente se ne nutre. È uno standard ormai ampiamente accettato, e non solo per le traduzioni di tipo commerciale: viene insegnato nei corsi universitari, fornito e richiesto ai collaboratori da sempre un maggior numero di agenzie di traduzione. In un recente articolo, George Miller scrive che "senza ricorrere a CAT, gli articoli pubblicati da 'Le Monde Diplomatique' sarebbero come dei manoscritti miniati su pergamena".
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Nel nostro caso, quindi, è mancato uno degli ultimi tre elementi dell'albero descritto dalla teoria della traduzione, 5 dove, tra formazione del traduttore e critica della traduzione, siedono gli strumenti di traduzione, dai dizionari alle grammatiche alle tecnologie dell'informazione. Queste ultime si suddividono ulteriormente in software di traduzione, database on line e uso di internet. I software sono evidentemente mancati: avrebbero aiutato a superare le difficoltà lessicali, di cui daremo qualche esempio? Ancora Miller, pur riferendosi al linguaggio filosofico, scrive che esistono parole problematiche, perché "le parole in ogni lingua vivono la loro storia in relazione ad altre parole, raccogliendo e perdendo associazioni e distinzioni, accumulando storie che possono finire semisommerse nel corso del tempo"; 6 in cucina, i problemi non sono mancati, o meglio, non sono mancati fra cucine britanniche e italiane, alla ricerca di un'equivalenza linguistica che in almeno un caso ha letteralmente toccato il divertente, se non il ridicolo.
Le categorie che hanno dato problemi di questo tipo possono essere ricondotte alle ricette storiche degli artisti, alle ricette di Pellegrino Artusi, agli ingredienti e a un caso tutto particolare di traduzione italiana dal latino scelta dall'autore.
Giuseppe Verdi, sua moglie Giuseppina Strepponi, Gioachino Rossini e Pietro Mascagni erano buone forchette e attentissimi cuochi, che tenevano a formalizzare le proprie ricette a uso dei famigli o per diffonderle presso corrispondenti e sodali. La loro scrittura abbraccia almeno due secoli, nessuno di loro era scrittore di professione e in vari casi regna una commistione fra italiano e francese, lingue indifferentemente usate nei loro ambienti. È stato pertanto necessario, per non creare un falso storico, un passaggio mentale attraverso l'italiano standard, frapponendo di fatto un elemento aggiuntivo tra testo sorgente e lingua di destinazione.
Le ricette di Pellegrino Artusi sono state tradotte in inglese da Murtha Baca e Stephen Santarelli. 7 La traduzione è chiaramente orientata alla ricetta ed è molto meno attenta alla ricchezza della lingua. Pellegrino Artusi è attento a sciacquare i suoi panni in Arno e mette a tavola gli Italiani non solo con le pentole, ma anche contribuendo a creare una koinè linguistica veicolata dal motore potente del cibo (si pensi alle sue corrispondenti e ninfe egerie in tutto il Paese). Pertanto, quando Fre si limita a riportare una ricetta, si è citato dal volume canadese, pur sfidando le perplessità dei revisori britannici di fronte all'uso nordamericano. Tuttavia, quando era evidente in italiano il focus sul contesto storico-culturale di fine Ottocento, quando non addirittura sulla lingua di Artusi come fonte ispiratrice e normativa, allora si è tradotto ex novo, come per esempio nella ricetta dei malfattini, con una sfoglia che "non vi è servuccia che non la sappia fare". 8
Sono stati tuttavia gli ingredienti a dare i maggiori problemi di riconoscibilità presso i colleghi inglesi, a volte tentati da operazioni di naturalizzazione, pratica di traduzione spesso osservabile in ambito anglosassone. 9 Per esempio, la parola "cardo" non presenta particolari difficoltà di traduzione ed è presente in ogni vocabolario e nei dizionari monolingue ( cardoon e hunchback cardoon). Tuttavia, Tony e Jean Curwen si chiedevano se non fosse il caso di sostituirla con la parola "carciofo", ingrediente ritenuto correttamente della stessa famiglia botanica, ma percepito come familiare (contrariamente al cardo) ed evidentemente ugualmente esotico, pur essendo il fior di cardo il simbolo della Scozia. 10
Le "storie semisommerse" di tante parole, già descritte più sopra da Miller, ci conducono direttamente all'episodio forse più divertente di (quasi) mancata equivalenza. La parola
tripe (italiano "trippa") illustra un evidente caso di cambiamento di significato percepito. Il nome esiste, l'
Oxford English Dictionary cita nell'ordine i significati di cibo e intestino dei ruminanti, ma è il terzo significato, quello di "sciocchezza", che è diventato il primo e più immediatamente riconoscibile nella lingua parlata, dove sta per "ciofeca, bidone". Insomma, un chiaro riferimento sociologico alla povertà e al disgusto del cibo stesso ne fa quasi un novello
garum.
Nessuna risorsa tradizionale o su internet era poi in grado di tradurre i vari tagli della trippa - "bonetto, foiolo, liscia e lampredotto" - citati dall'autore e nebulosi per la scrivente. Attraverso l'uso del nome anatomico italiano - "reticolo, omaso, abomaso, rumine", che in inglese rimangono in latino - non solo si è arrivati a una traduzione in inglese standard honeycomb, manyplies, blanket, reed tripe (lasciando per sicurezza e stabilità referenziale il nome latino fra parentesi), ma è stato possibile per i bravi colleghi britannici intervistare un macellaio locale che confermava che in Gran Bretagna non si vende trippa dai tempi della guerra. Insomma, all'albero di Holmes si potrebbe aggiungere che, per tradurre, è meglio tenere a portata di mano un buon dizionario di latino, magari il Calonghi!
Altri equivoci insorti in sede di revisione riguardano il Parmigiano-Reggiano, che con un processo di naturalizzazione storicizzato si sarebbe voluto cambiare in Parmesan, e la semisconosciuta Mortadella, che peraltro è chiamata "Bologna" in varie parti d'Italia. Queste gentili discussioni sono state forse divertenti, ma indicative di quanta strada devono ancora fare i nostri prodotti, pur se IGT e DOP.
Avendo scherzosamente raccomandato l'uso del Calonghi, vorrei da ultimo ricordare la scelta fatta per tradurre il brano dal libro VII dell' Eneide di Virgilio, relativo allo scioglimento della profezia fatta dall'Arpia Celeno nel libro III, brano che Fre identifica come la nascita della piadina. Dandone anche la traduzione italiana, l'autore adotta una versione storica come quella di Giuseppe Albini (1863-1933), tanto precisa e vicina all'originale da diventare ostica, vedendo poi accrescere negli anni il divario con l'italiano standard. L'antinomia tra fedeltà e infedeltà ha segnato gli studi della traduzione dal loro apparire fino agli anni Ottanta del secolo scorso. Senza pertanto entrare nello specifico, ma ricorrendo alla conoscenza dell'idioletto autoriale, si è pensato di sostituire l'italiano del filologo Albini con l'inglese di John Dryden (1631-1700). Il salto temporale è ardito, ma fu proprio l'iniziatore del Teatro della Restaurazione e fine traduttore dei classici a fornire alla teoria della traduzione un contributo formale tuttora citato, quando distinse tra metafrasi (la traduzione letterale), parafrasi e imitazione, criticando fortemente la prima, salvo farvi esplicitamente ricorso per la traduzione dell' Eneide.
Jeremy Munday scrive che le prefazioni del traduttore sono una fonte di informazione imprescindibile ma obsoleta e sono presenti oggi solo per giustificare nuove traduzioni del classici. 11 In Operatic Kitchen una brevissima "nota del traduttore" c'è; comprensibilmente sollecitata dai revisori (non sono forse tali i nuovi traduttori di opere già tradotte?), ci ha dato maniera di chiarire al mondo non solo anglosassone, cui la versione si indirizza, come vadano lette le ricette contenute, sempre e solo rappresentative della nostra cultura nel senso più ampio. Come si è detto, Cucina all'Opera informa ma non prescrive, fa conoscere ma non insegna, è un divertissement che propone garbatamente l'Emilia-Romagna come tradizione e cultura, e questo si è voluto fare anche proponendolo all'estero. Tanto per gradire e non tradire.
Note
( 1) G. Fre, Cucina all'Opera. Musica e cibo in Emilia-Romagna, Bologna, IBC - Regione Emilia-Romagna, 2013 ( online.ibc.regione.emilia-romagna.it/h3/h3.exe/apubblicazioni/t?ISBN=9788897281153). G. Fre, The Operatic Kitchen. Music and food in Emilia-Romagna, traduzione inglese di M. Spinazzola, 2014.
( 2) G. Fre, Opera ve İtalyan Mutfağı Emİlya-Romanya bölgesİnde müzİk ve yemek, traduzione turca di E. Cendey, Bologna-Istanbul, IBC - Regione Emilia-Romagna - Istituto italiano di cultura a Istanbul, 2014.
( 3) Si vedano: A. Campanini, Concertato per palati fini, "IBC", XXII, 2014, 1, ( rivista.ibc.regione.emilia-romagna.it/xw-201401/xw-201401-a0004); S. Camonchia, Cucina all'Opera, "La Repubblica", 3 novembre 2014, p. 11; G. Newlin, Piatto forte in salsa italiana, Cucina all'Opera, trasmissione radiofonica della Radio Svizzera Italiana, 15 marzo 2014 ( www.rsi.ch/rete-uno/programmi/intrattenimento/piattoforte-in-salsa-rete-uno/Lo-chef-Mauro-Colagreco-578758.html).
( 4) G. Miller, The difference engine. There isn't a word for it, "Le Monde Diplomatique", June 2014 ( mondediplo.com/2014/06/).
( 5) Si veda: J. S. Holmes, citato in J. Munday, Introducing Translation Studies. Theories and Applications, London - New York, Routledge, 2007, p. 13.
( 6) G. Miller, The difference engine, cit.
( 7) P. Artusi, Science in the Kitchen and the Art of Eating Well, foreword by M. Scicolone, introduction by L. Ballerini; translated by M. Baca and S. Santarelli, Toronto, Toronto University Press, 2003.
( 8) P. Artusi, La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene. Manuale pratico per famiglie, XV edizione, Firenze, Tipografia di Salvadore Landi, 1911, ricetta numero 45.
( 9) Si veda: J. Munday, Introducing Translation Studies, cit., p. 16.
( 10) Il nome inglese artichoke è di derivazione lombarda - "arti ciocco", a sua volta mutuato dall'arabo - e la pianta fu una curiosità importata in Inghilterra per Enrico VIII.
( 11) Si veda: J. Munday, Introducing Translation Studies, cit., p. 32.
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