Rivista "IBC" XXI, 2013, 4

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G. Bollini, Il calvario degli emiliani. L'attacco al Podgora del giugno 1915, Udine, Gaspari editore, 2013.
L'inutile assalto

Ivan Orsini
[IBC]

Un testo di storia è sempre una lettura impegnativa, e solitamente gli eventi trattati rimangono separati dal lettore da una certa distanza temporale. Ma se ci si trova di fronte a un prologo che inizia così: "In questi primi giorni di giugno, Udine è un alveare in piena attività. Ogni giorno dalla stazione arrivano e partono migliaia di soldati. Arrivano in treno da Bologna, da Milano, dagli altri snodi ferroviari dell'alta Italia; partono in camion o a piedi verso Cividale e l'alto Isonzo a nord, o verso la testa di ponte di Gorizia e il Carso a sud", questa distanza sembra annullarsi.

Ed è ciò che avviene leggendo anche il resto del libro di Giacomo Bollini, Il calvario degli emiliani. L'attacco al Podgora del giugno 1915. Come in un romanzo, la narrazione storica procede su piani temporali alterni: il presente storico catapulta il lettore tra le truppe italiane impegnate nella Prima guerra mondiale, facendogli assistere, spettatore silenzioso, al dispiegarsi degli eventi, mentre il passato torna quando l'autore desidera riprendere le distanze dalla guerra. Il suo sguardo si concentra su quella che per l'esercito italiano fu la prima battaglia della Grande Guerra. Non fu certo tra le più significative né la più sanguinosa, ma avrebbe mostrato il volto moderno della nuova guerra.

L'assalto frontale alle linee nemiche stava per scontrarsi, avendo la peggio, con una nuova strategia: la guerra di posizione, in cui all'ardimento delle avanzate o alla codardia delle ritirate si sostituivano interminabili pause durante le quali i soldati vivevano un'attesa logorante prima della ripresa del conflitto, una ripresa che a volte sembrava quasi allontanarsi indefinitamente. Come chiarisce la prefazione di Paolo Gaspari, la visione della guerra ancora dominante nell'immaginario degli italiani, compresi soldati e ufficiali, si concretizzava nel conflitto corpo a corpo, nel corso del quale l'intelligenza, la prestanza fisica e l'addestramento potevano condurre al successo; invece, la "nuova" guerra avvantaggiava chi difendeva molto più di chi attaccava: un principio tattico che non venne compreso fin da subito da molti generali e strateghi del tempo, compreso Luigi Cadorna, autore di un opuscoletto che si intitolava Attacco frontale e ammaestramento tattico, distribuito nel febbraio del 1915 tra i diversi reparti dell'esercito come vademecum. Un'incomprensione rivelatasi tragica per le perdite umane che provocò.

Bollini descrive le forze in campo presso entrambi gli schieramenti, e sottolinea la superiorità, tecnologica e numerica, delle forze austroungariche. Poi registra le soluzioni operative messe in atto dai rispettivi superiori per reggere l'urto nemico, e infine racconta la battaglia. Quest'ultimo resoconto, tuttavia, è scandito in due tempi: prima lo studioso segue l'evolversi degli eventi attraverso gli occhi di comandanti e soldati che in quel momento non si trovavano sulla primissima linea del fronte; quindi ricostruisce i fatti sulla base delle testimonianze raccolte dai superstiti. Ne deriva un mosaico che, all'inizio lacunoso, lentamente si compone di nuove tessere, senza che alla fine, tuttavia, si possa disporre di un quadro perfettamente illuminato: rimangono delle opacità che forse neanche il futuro riuscirà a eliminare.

Nel corso della narrazione ascoltiamo più volte le voci di alcuni emiliano-romagnoli, alcuni famosi, altri sconosciuti. Affiorano di tanto in tanto le testimonianze di Aldo Spallicci, medico e cultore delle tradizioni romagnole, partito volontario per il fronte, o quelle dello scrittore Giovanni Comisso, ma anche quelle di gente comune, di soldati la cui unica "notorietà" fu conquistata con la morte ed eventuale decorazione al valor militare.

Primo di una serie di volumi dedicati alle vicissitudini degli emiliani e dei romagnoli impegnati nella Grande Guerra, il lavoro di Bollini è una disamina dei fatti accaduti tra l'8 e il 10 giugno 1915 a ridosso del Monte Podgora. Parteciparono all'assalto alcune brigate dell'esercito italiano, fra cui la brigata "Pistoia", dislocata a Bologna e composta da molti bolognesi di città e provincia. A trovarsi particolarmente esposti al tiro delle micidiali mitragliatrici austriache e alle insidie dei reticolati in ferro furono i componenti del 35° reggimento fanteria. Al termine dei tre terribili giorni rimasero sul campo 55 bolognesi, di cui 13 ottennero postume onorificenze: chi la medaglia d'argento, chi la medaglia di bronzo, chi la croce al merito.

Fino al settembre di quell'anno moltissime famiglie bolognesi non ebbero più notizie certe dei loro cari al fronte. La tragicità dei fatti accaduti ai primi di giugno sul confine con l'Austria indusse la contessa Bianconcini Cavazza ad aprire a Bologna, primo caso in Italia, l'"Ufficio centrale per le notizie alle famiglie dei militari di terra e di mare", che ben presto si ampliò con succursali sul restante territorio nazionale e svolse un'importantissima azione di raccordo informativo tra i vari fronti e le famiglie dei soldati. Il 10 giugno 1915 viene definito da Bollini come "il calvario dei bolognesi" per il largo numero che di loro rimase sul campo, in proporzione con il totale dei caduti per parte italiana, vittime dell'ignoranza e dell'incapacità di lettura del nuovo corso militare di cui diedero prova i superiori.


G. Bollini, Il calvario degli emiliani. L'attacco al Podgora del giugno 1915, Udine, Gaspari editore, 2013, 172 pagine, 16,00 euro.

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