Rivista "IBC" XXI, 2013, 3
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, itinerari
Camminando per Bologna traspare ancora in modo evidente lo spirito medievale della città, che conserva la fisionomia dell'epoca con le sue vie strette, le torri e i portici. Il simbolo della città è infatti rappresentato dalle famosissime "due Torri", Garisenda e Asinelli, simboli del potere economico raggiunto dalle famiglie che le costruirono. A un primo sguardo sembra che nulla rimanga, invece, a testimonianza del passato in cui gli Etruschi la chiamavanoFelsina, ed era considerata una delle città principali dell'Etruria, situata una zona ricca di boschi, pascoli e fiumi e ben organizzata per gli scambi commerciali.1 Eppure il fulcro della città attuale è tuttora incentrato sull'asse costituito dalle vie Indipendenza e Ugo Bassi - Rizzoli, una T che ricalca l'antica area cittadina occupata sin dal IX secolo avanti Cristo.
Prima di quell'epoca i nuclei abitativi più consistenti si distribuirono a ovest, lungo il corso del Savena, come hanno confermato i rinvenimenti dei sepolcreti San Vitale, Savena e Villa Cassarini (Facoltà di ingegneria). L'unica testimonianza documentata in situ è la necropoli San Vitale, scoperta nel 1913 presso l'attuale quartiere della Cirenaica in occasione della costruzione di nuovi edifici; una necropoli che, con le sue 800 tombe, offrì un'importante documentazione sulla fase più antica della cultura villanoviana. All'interno del cortile, presso laCorte Bentivogli (tra le vie Musolesi, Bentivogli, Fabbri e Vincenzi) sono stati realizzati pannelli esplicativi che, attraverso il racconto simulato di un anziano etrusco a suo nipote, illustrano le vicende dell'antica comunità villanoviana.
A questi pannelli si accompagnano alcune vetrine che ospitano copie fedeli degli oggetti rinvenuti nel sepolcreto, oltre a una sezione di scavo utile a far comprendere i metodi utilizzati dai villanoviani per seppellire i defunti. Il rito praticato era l'incinerazione e le ceneri erano raccolte in vasi biconici coperti da una scodella rovesciata, che venivano posizionati in una buca scavata nel terreno e rivestita con ciottoli di fiume o lastre. Insieme al vaso erano deposti oggetti che indicavano il sesso della persona defunta (nelle tombe maschili, per esempio, rasoi in bronzo; in quelle femminili, rocchetti e oggetti per la filatura) e, in corrispondenza delle sepolture, venivano posizionati sul terreno dei segnacoli per indicarne il luogo.
Nel corso dell'VIII secolo avanti Cristo l'abitato sembra concentrarsi nella zona che costituisce attualmente il fulcro della città, con le necropoli disposte a corona esternamente al perimetro cittadino. L'area occupata era delimitata dai fiumi Aposa e Ravone, a nord dai rilievi collinari e a sud dalle attuali via Righi e via dei Falegnami.2 Lo spostamento dalle zone occupate in precedenza sembra essere determinato dalla presenza, in questa zona, di condizioni di vita migliori, oltreché dalla possibilità di controllare le valli dei fiumi Reno e Savena, asse privilegiato per le comunicazioni con l'Etruria tirrenica.
Le abitazioni erano organizzate in nuclei di capanne costruite con una struttura portante in pali di legno, pareti in incannucciato intonacato e rifinito in argilla, e una copertura costituita da un tetto di canne. Sul pavimento in terra battuta veniva acceso un focolare, come confermano i resti di combustione ritrovati sul terreno, il cui fumo defluiva da un'apertura situata sul tetto. Essendo i materiali di fabbricazione deperibili, non sono state trovate tracce relative all'alzato, noto grazie alle urne a capanna documentate soprattutto nell'Etruria tirrenica. La ricostruzione a grandezza naturale di una capanna villanoviana è visibile ancora oggi presso i Giardini Margherita.
Le tracce dell'abitato di epoca successiva (VI-V secolo avanti Cristo) sono veramente scarse; l'area occupata in epoca villanoviana si restringe e subisce una trasformazione che investe tutta l'Etruria, dovuta alla rivitalizzazione dei commerci nel settore adriatico. Una delle poche testimonianze riferibili a strutture abitative ancora visibile venne alla luce durante gli scavi per la costruzione del supermercato Coop in via Andrea Costa, che restituì tracce di fondazioni in ciottoli a secco, pertinenti a un'abitazione rettangolare organizzata in più ambienti. I resti furono traslati presso l'antistante Giardino dei Vigili del Fuoco e ricostruiti entro un recinto, dove si trovano tuttora, anche se scarsamente visibili, poiché coperte con plastica nera.
Le necropoli venivano situate sempre all'esterno del perimetro urbano, in continuità con quelle più antiche, con un leggero spostamento verso la città.3 A testimonianza di una delle aree funerarie più consistenti di questo periodo sono conservate, presso i Giardini Margherita, due delle tombe che facevano parte della necropoli qui rinvenuta in occasione dei lavori di realizzazione dei giardini. Si tratta di tombe a sarcofago costruite con blocchi di pietra squadrati e tetto a doppio spiovente, al cui interno il defunto veniva deposto vestito o avvolto in un tessuto, accanto al suo corredo.
Fu l'arrivo dei Romani, dopo la definitiva sconfitta dei Galli Boi, a segnare la nascita del vero e proprio assetto topografico della città, con la deduzione della colonia nel 189 avanti Cristo. Nel caso di Bononia non si operò una rifondazione secondo i tipici modelli coloniari, ma la nuova città si adattò alla preesistente organizzazione urbana. Il passaggio della via Aemilia, tracciata due anni dopo la deduzione della colonia (187 avanti Cristo), testimonia come la città mantenesse un'organizzazione urbana più antica: i tratti suburbani, infatti, non sono in asse con l'andamento della strada consolare.
In epoca romana l'area occupata dall'abitato si restringe maggiormente rispetto alle fasi precedenti, occupando la zona fra il corso dei torrenti Aposa a est e Vallescura a ovest. Le acque dei torrenti furono regolarizzate creando un sistema di canali artificiali per l'approvvigionamento idrico della città, che era sistemata su due assi: il decumanus maximus (via Ugo Bassi - Rizzoli) e il cardo maximus (via Galliera - Val d'Aposa), le cui tracce si rinvennero a più riprese nel centro cittadino.4
Un tratto del decumano, realizzato con grandi basoli di trachite, venne alla luce in occasione degli scavi per il sottopasso in via Rizzoli e fu ricomposto nel 1959 presso l'ingresso dei Giardini Margherita a Porta Castiglione. Qualche anno fa è stato spostato nuovamente e sistemato nella sala della Forma Urbis presso il Museo della storia di Bologna (Palazzo Pepoli, via Castiglione; www.genusbononiae.it) dove è visibile tuttora. Parte del cardocittadino, invece, è conservata all'interno di Palazzo Lupari, presso il negozio Roche Boboisin Strada Maggiore, al di sotto del piano di calpestio. Questa, in realtà, non è l'unica testimonianza che ci ha restituito il Palazzo: al suo interno, infatti, oltre a un pozzo e al basamento di una torre, entrambi di epoca medievale, è visibile parte di un elegante mosaico pavimentale risalente al II secolo dopo Cristo, che ornava una ricca domus costruita in asse con la via Aemilia: la decorazione presenta motivi floreali neri racchiusi entro cassettoni su fondo bianco.5
Dagli assi principali si staccavano una serie di cardi e decumani minori che formavano un reticolo a maglie regolari, di cui si conservano varie tracce in centro città.6 Alcuni basoli di trachite rinvenuti durante il restauro della chiesa di San Giorgio in Poggiale, in via Nazario Sauro, appartenenti evidentemente a uno dei decumani minori, furono ricomposti presso il cortile della Biblioteca d'arte e di storia a cui attualmente l'edificio è adibito, dove sono tuttora visibili (www.genusbononiae.it). Un altro tratto, sempre relativo a un decumano minore, è visibile (su appuntamento) nell'interrato del Grand Hotel Majestic in via Indipendenza, adiacente a una struttura in mattoni pertinente a un complesso di tipo commerciale databile al I secolo non più visibile.7
Un altro brevissimo tratto, pertinente a un altro decumano minore, venne infine alla luce mentre veniva realizzata la stazione ecologica di Hera in via De' Pignattari, a fianco della chiesa di San Petronio. Attualmente è conservato sotto il piano di calpestio, coperto da un vetro, ma è scarsamente visibile a causa della cattive condizioni in cui versa l'area. Sulle pareti ai suoi lati, inoltre, sono state collocati parti di due mosaici rinvenuti nell'area e realizzati in opus signinum con motivi geometrici, datati al II secolo avanti Cristo.8 Allo stesso periodo sembra risalire la porzione di mosaico pavimentale conservata nell'atrio di Palazzo Caprara in piazza Galileo, sul quale è raffigurato un delfino nero in campo bianco.
Come in tutte le città romane non poteva mancare il foro, fulcro della vita cittadina, che a Bologna occupava un'area compresa fra le attuali via Montegrappa, piazza Roosevelt e ilpalazzo del Comune. Al suo interno si trovavano le più importanti architetture pubbliche, fra le quali l'imponente edificio alle spalle dell'attuale Museo civico medievale, costruito in un'area adiacente a via di Porta Castello. In un ambiente pertinente al Museo (visitabile su richiesta), al di sotto del piano di calpestio, sono visibili possenti muri in opera quadrata, forse un podio, sul quale si ergeva un tempio a tre celle risalente al II secolo avanti Cristo di cui rimane parte del perimetro. Ovviamente nulla si è conservato dell'alzato ma sembra, con tutta probabilità, che si trattasse del capitolium della città, il principale luogo di culto della comunità, situato in posizione dominante su un terrapieno presente ancora oggi fra le vie Manzoni e Montegrappa.9
Un altro importante edificio era sicuramente la basilica civile, centro della vita commerciale, amministrativa e giudiziaria della colonia, le cui fondazioni sono conservate al di sotto dell'attuale Biblioteca Sala Borsa, in piazza del Nettuno. La struttura, originariamente divisa in tre navate, fu ampliata e arricchita da decorazioni e ritratti ufficiali nel corso del II secolo dopo Cristo. A essa sembra che fossero destinati i capitelli in ordine ionico reimpiegati nella basilica di Santo Stefano.10
La città aveva inoltre un teatro, costruito verso l'80 avanti Cristo nella zona meridionale, dove occupava l'isolato compreso oggi fra via Val d'Aposa, vicolo dello Spirito Santo, via Carbonesi, via d'Azeglio e piazza dei Celestini. L'edificio si può considerare uno dei primi con struttura autoportante in muratura, basata su muri radiali e concentrici sui quali poggiavano le gradinate.11 Nel I secolo dopo Cristo il teatro fu ampliato e dotato di un ricco apparato decorativo, con mosaici pavimentali, stucchi e affreschi. Di esso si conservano alcuni resti dei muri radiali (visibili fino a qualche anno fa presso la vecchia sede della Coin in via Carbonesi, ora non più visibili) e alcune strutture sotto la chiesa dello Spirito Santo nel vicolo omonimo.
Grazie al programma edilizio promosso dall'imperatore Augusto, l'epoca che da lui prende il nome segnò una fase di radicale rinnovamento dell'impianto urbano.12 Furono potenziati i servizi pubblici attraverso la costruzione di nuovi complessi architettonici e la ristrutturazione degli impianti preesistenti. Augusto assunse inoltre l'epiteto di pater della città di Bologna, come dimostra un'iscrizione murata nel parcheggio a fianco della basilica di Santo Stefano.13 Il programma di ristrutturazione riguardò anche la viabilità urbana ed extraurbana, come riporta l'iscrizione sul cippo miliare conservato presso il Museo civico archeologicodi Bologna, che ricorda la risistemazione della via Aemilia a opera dell'imperatore (CIL XI, 8103; www.comune.bologna.it/archeologico/). Le strade, prima selciate o ghiaiate, furono dotate di grande basoli in trachite importati dai colli Euganei, mentre le piste extraurbane vennero massicciate in ghiaia.14 Il centro cittadino fu pedonalizzato, come indica la mancanza di orme carraie sul basolato visibile sotto la Sala Borsa, e fu eretto un grande arco monumentale all'incrocio in corrispondenza delle vie Ugo Bassi e Indipendenza.
Le strutture conservate sotto la Sala Borsa testimoniano, inoltre, la realizzazione di un sistema fognario dotato di collettori in laterizio che scolavano lungo i cardines, sistema che dovette migliorare notevolmente le condizioni di vita della comunità. Particolare attenzione alla cura idraulica fu posta anche nella realizzazione dell'acquedotto che attingeva le acque dal Setta per rifornire la città attraverso una galleria sotterranea scavata nella roccia.15
Augusto promosse anche la costruzione di un impianto termale di cui nulla si conserva se non un'iscrizione (CIL XI, 720), murata nel cortile di palazzo Albergati in via Saragozza 26. Il testo riporta l'intervento di Augusto e il ripristino della struttura da parte di un altro imperatore, forse Nerone. Molto tempo dopo, un privato cittadino destinò una somma di denaro per assicurarne la fruizione a tutti i cittadini. Un'altra iscrizione (CIL XI, 701), reimpiegata sull'architrave di una delle porte di accesso laterali della chiesa dei Santi Vitale e Agricola in via Gerusalemme (basilica di Santo Stefano), sembra riferirsi a un personaggio che diede inizio a un'opera pubblica, forse in qualità di duoviro.16
Nel zona orientale, al di fuori dell'antica area urbana, oggi occupata dalla basilica di Santo Stefano, sorgeva con ogni probabilità l'Iseo, databile fra il I e il II secolo dopo Cristo, la cui presenza è testimoniata dall'iscrizione su marmo murata sulla parete esterna della chiesa del Crocifisso,17 e da un'iscrizione geroglifica ormai nota solo da un disegno, oltreché dalla presenza di acque sorgive richieste dal culto della dea. Il testo dell'iscrizione latina riporta la dedica a Iside Vincitrice da parte di un liberto per conto di Sextilia Homulla (CIL XI, 695), pur non facendo riferimento in modo specifico al culto isiaco.18
Al tempio appartenevano inoltre le sette colonne in marmo greco disposte in circolo conservate ancora oggi all'interno della chiesa del Santo Sepolcro.19 Al suo interno si trova inoltre una colonna, distante rispetto alle altre, che nella forma ricorda quella dove Cristo fu flagellato e che un tempo garantiva 200 anni di indulgenza a chi visitava questo luogo. Nel cortile esterno alla chiesa del Santo Sepolcro sono visibili due sarcofagi databili all'epoca romana e riutilizzati in epoca medievale. Altre tracce di epoca romana sono visibili nell'adiacente chiesa dei Santi Vitale e Agricola, che oltre ai già citati capitelli relativi alla basilica civile, conserva lacerti di mosaico visibili sotto un vetro.
Oltre all'edificio teatrale, Bologna, secondo quanto riporta Tacito, ospitava un anfiteatro dove Fabio Valente organizzò i giochi in onore di Vitellio nel 69 dopo Cristo.20 Non possediamo però altri dati letterari né archeologici che ne forniscano l'esatta ubicazione; probabilmente la zona si trovava in via San Vitale, come sembra indicare il toponimo "in Arena" relativo alla chiesa dedicata ai Santi Vitale e Agricola in via San Vitale.
Per quanto riguarda l'edilizia privata, ai tempi della nascita della colonia essa era generalmente modesta, con abitazioni di piccole dimensioni, a schema rettangolare. Con l'epoca augustea si registrò invece un notevole incremento dell'edilizia privata, con la ristrutturazione di edifici già esistenti o l'ampliamento di vecchie domus e la costruzione di ville nella prima periferia sudoccidentale, tra le vie Sant'Isaia e Ca' Selvatica.21 Furono riportati alla luce vari ambienti, dotati di meravigliosi mosaici ora conservati presso il Museo civico archeologico. Interessante è anche il complesso rinvenuto in via de' Gombruti, sotto la Sinagoga, che presenta ambienti pavimentati sia in mosaico che in cocciopesto e testimonia una continuità abitativa dall'epoca repubblicana all'età imperiale.
Al I secolo dopo Cristo si data inoltre il mosaico visibile a destra dell'ingresso del sottopassaggio in piazza Re Enzo, che presenta disegni geometrici neri su fondo bianco e probabilmente apparteneva a una domus. Le aree destinate alle attività lavorative erano invece dotate di pavimentazioni in cocciopesto e in mattonelle fittili a esagonette, come la porzione di pavimento visibile al piano inferiore del Cafè Pascal in via dell'Archiginnasio. Nella tarda antichità, infine, Bononia fu interessata da una crisi urbana che riguardò sia la sfera privata che quella pubblica, visibile anche nella scarsa manutenzione della rete viaria e del sistema fognario, che portò a un progressivo peggioramento delle condizioni di vita nella città.
Note
(1) Plinio, Naturalis Historia, III, 15.
(2) C. Taglioni, L'abitato, le sue articolazioni e le sue strutture, in Storia di Bologna. Volume 1: Bologna nell'antichità, a cura di G. Sassatelli e A. Donati, Bologna, Bononia University Press, 2005, pp. 157-158.
(3) E. Govi, Le necropoli, Ibidem, pp. 269-270.
(4) J. Ortalli, La città romana: il paesaggio urbano, Ibidem, pp. 482-484.
(5) D. Scagliarini, Il suburbium di Bononia: edifici pubblici, ville, fabbriche tra città e territorio, Ibidem, p. 545.
(6) J. Ortalli, La città romana: il paesaggio urbano, cit.
(8) Si tratta di un cocciopesto di tradizione italica, ottenuto grazie a schegge di pietra e frammenti di laterizio con malta, che nel periodo tardo repubblicano viene arricchito nella decorazione grazie all'inserimento di tessere bianche o nere e crustae marmoree.
(9) J. Ortalli, La città romana: il paesaggio urbano, cit., pp. 486-487.
(13) A. Donati, L'età imperiale, in Storia di Bologna. Volume 1: Bologna nell'antichità, cit., p. 421.
(14) J. Ortalli, La città romana: il paesaggio urbano, cit., pp. 492-493.
(16) A. Donati, L'età imperiale, cit., p. 427.
(17) Presso la chiesa è murata la copia dell'iscrizione, mentre l'originale è conservato presso il Museo civico archeologico di Bologna.
(18) D. Scagliarini, Il suburbium di Bononia: edifici pubblici, ville, fabbriche tra città e territorio, cit., p. 541.
(19) J. Ortalli, La città romana: il paesaggio urbano, cit., p. 502.
(20) Tacito, Historiae, II, 67; 71.
(21) J. Ortalli, La città romana: il paesaggio urbano, cit., p. 503.
Si ringraziano per la collaborazione: don Bento Albertin, priore della Basilica di Santo Stefano, Bologna; Mara Elena, Museo della Città di Bologna; Daniela Schiavina, Biblioteca d'arte e di storia di San Giorgio in Poggiale, Bologna; Maria Elena Valente, Grand Hotel Majestic, Bologna; Guido Barbi, Regione Emilia-Romagna; Silvia Battistini, Museo civico medievale, Bologna.
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