Rivista "IBC" XX, 2012, 4
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / linguaggi, progetti e realizzazioni, pubblicazioni, storie e personaggi
La documentazione della propria esperienza diventa spesso, per il migrante, elemento fondamentale di affermazione identitaria. L'Immigrato di Salah Methnani annota su un diario eventi e riflessioni, per tracciare una mappa che gli permetta di orientarsi nei territori ostili che si trova ad attraversare.1 Ma è quando la documentazione diventa costruzione letteraria che si verifica una svolta, oramai pienamente maturata anche nel nostro paese. Da una prima fase quasi esclusivamente testimoniale e filtrata dalla voce di tutor italiani, si è infatti giunti a una rielaborazione artistica complessa e "organizzata" dal migrante stesso, che non solo ha preso la parola per autorappresentarsi - anche se in contesti quasi sempre marginali rispetto al cuore del sistema editoriale e informativo italiano - ma ha trovato anche la possibilità di farlo attraverso la mediazione della letteratura.
"Mediazione" è parola chiave di questo mutamento, perché caratteristica della letteratura è proprio quella di frapporre un diaframma fra l'autore e il personaggio - fra il mondo e il testo - per quanto autobiografico questo possa essere. E il diaframma distorce e altera, permettendo così di guardare all'esperienza migratoria da un punto di vista più articolato rispetto a quello dominante ma semplificante della cronaca.
Sgombriamo però il campo dal rischio di un paio di perniciosi fraintendimenti.
Primo: fare letteratura significa che si può fare buona e cattiva letteratura. Nel momento in cui i testi scritti da migranti diventano parte di un discorso artistico più complesso, a renderli interessanti e riusciti non basterà la presenza in essi di un valore puramente testimoniale e sociale, d'altra parte ineliminabile. Verranno sottoposti a un'analisi di diversa caratura, compiuta con strumenti differenti, che implicherà un giudizio di valore anche di carattere "estetico".
Secondo: non è vero che si dedichino alla propria autorappresentazione artistica solo i migranti che hanno risolto le questioni di primaria importanza: casa, lavoro, documenti. A corollario: la nascita e la crescita di una letteratura migrante in lingua italiana non significa che le storture che segnano la nostra società in relazione alla questione della migrazione siano state risolte. Anzi, forse è vero il contrario. Basti, a conferma, il caso di Zaher Rezai, ragazzino in fuga, morto nascosto sul fondo di un camion mentre cercava di oltrepassare una delle tante dogane incontrate lungo un viaggio di migliaia di chilometri. Nel suo taccuino, accanto alla misera contabilità dei pochi spiccioli guadagnati in anni di speranzosa ricerca di un luogo in cui trovarsi a casa, c'erano poesie ricche di struggente consapevolezza della propria condizione di marginalità.2
Vero è che entrare nel sistema letterario significa anche trovare sbocchi editoriali, e a questo riguardo non c'è dubbio che le cose si complichino per chi vive una condizione di precarietà quotidiana. Ma può capitare che un siriano detenuto in carcere riesca non solo a vincere un concorso letterario in lingua italiana, ma anche a vedere pubblicato un proprio libro.3 Qui sta il punto: offrire ai migranti l'occasione per esprimere in forme pubbliche le proprie capacità artistiche.
In queste poche pagine vogliamo soffermarci su tre esperienze che negli ultimi anni, in area bolognese, hanno costruito questa possibilità di andare oltre la semplice testimonianza con l'aiuto di diverse forme di rielaborazione artistica del reale: la scrittura narrativa e poetica, il teatro e il fumetto. Non sono le uniche esperienze realizzate, ma ci sembrano significativamente esemplificative. Sono tre progetti accomunati anche dalla scelta di un modello laboratoriale in cui italiani e stranieri portano avanti, in condizioni paritarie, un lavoro comune e condiviso. Un modello che permette non solo di superare il "tutoraggio" dell'autore autoctono, che in alcuni casi si era rivelato una forma di controllo volto ad ammortizzare le punte più aspre del discorso dei migranti, ma anche di non creare "riserve" in cui confinare gli artisti migranti stessi.
L'associazione "Eks&Tra", dopo avere curato 13 edizioni di un concorso letterario riservato a narratori e poeti di origine straniera che avessero scelto per esprimersi la lingua italiana,4 nel 2008, in collaborazione con il Dipartimento di filologia classica e italianistica dell'Università di Bologna, è passata all'organizzazione del primo Laboratorio di scrittura creativa interculturale, ideato dal professor Fulvio Pezzarossa; un progetto in cui sia i corsisti che i docenti sono in parte italiani in parte stranieri con esperienze di migrazione. Se il concorso aveva avuto un'importanza decisiva nel favorire il passaggio della scrittura migrante dalla fase testimoniale a quella della consapevolezza artistica, il laboratorio ha invece permesso a tutti i partecipanti un confronto continuato e approfondito sulla propria identità culturale e sulla capacità di metterla in relazione con quella altrui, per costruire un dialogo rintracciabile sulle pagine delle antologie che hanno raccolto i più significativi testi prodotti dai corsisti.5
Il laboratorio ha compiuto quest'anno il suo quinto anno di vita e per la prima volta è stato concepito non come momento di primo approccio alla scrittura creativa, ma come approfondimento di livello avanzato dedicato a chi avesse già affrontato esperienze di questo tipo. A Christiana de Caldas Brito - scrittrice di origine brasiliana rivelatasi proprio grazie al concorso di "Eks&Tra" e docente principale, fin dall'inizio, dell'esperienza laboratoriale - si è affiancato lo scrittore Wu Ming 2, a comporre un'entità che riproponesse anche "dietro la cattedra" il dialogo fra autoctono e migrante su cui si fonda il progetto, un dialogo che Wu Ming 2 aveva già sperimentato nella collaborazione attivata con la profuga italo-somala Isabella Marincola e con suo figlio Antar Mohamed per la scrittura del "romanzo meticcio" Timira.6
Coerentemente con questo "esperimento", il laboratorio si accinge a compiere il passaggio dalla "scrittura interculturale" alla "scrittura meticcia": non più soltanto una narrazione dell'incontro tra culture scritta da una singola persona, ma una narrazione, spesso collettiva, in cui si registra la presenza attiva di persone provenienti da culture diverse che si confrontano con uguale dignità e si contaminano a vicenda.
Alcuni migranti bolognesi amanti della recitazione hanno invece dato vita alla "Compagnia Multiculturale", nata, anche in questo caso in seguito a un progetto di tipo laboratoriale, in seno al "Teatro dell'Argine" di San Lazzaro, grazie all'interesse di Nicola Bonazzi e Pietro Floridia.7
La mescolanza e il dialogo delle diverse culture dei partecipanti - "un camerunense, due moldavi, una cinese, una brasiliana, una polacca, una congolese, un curdo, un'iraniana e cinque italiani" - hanno permesso di dare vita a spettacoli arricchiti dal fatto che alcuni degli attori avevano già avuto esperienze teatrali nel proprio paese d'origine e potevano così trasmettere modalità e abitudini diverse nel concepire la rappresentazione drammaturgica, sia in termini di scrittura che di recitazione.
Un dato accomuna i primi due spettacoli messi in scena dalla "Compagnia Multiculturale", Grande Circo Inferno del 2008 e Di che paese è Madre Coraggio, ovvero del sopravvivere in tempo di crisi dell'anno successivo.8 Entrambi sono riletture di autori stabilmente presenti nel canone teatrale occidentale - Aristofane e Brecht - e si confrontano quindi con una tradizione che per gran parte degli spettatori italiani è l'unica conosciuta, quando non l'unica di cui si presuppone, con spirito eurocentrico, l'esistenza.
Altri modi di fare teatro, "immigrati" in Italia insieme agli attori presenti sulla scena, hanno permesso una rivivificante rilettura di testi canonici e un'operazione di smontaggio e conseguente ricostruzione in nuove forme di un "sistema" che spesso si tende a dare per scontato e immutabile. Un sapere e sapersi mettere in discussione, da parte degli stranieri come degli italiani coinvolti nel progetto, che dimostra la maturità dell'approccio all'oggetto artistico.
Eccoci infine all'esperimento più recente e più curioso: un laboratorio di fumetto tenutosi fra 2011 e 2012 presso il Centro interculturale Zonarelli, a cui hanno partecipato italiani e stranieri, in buona parte marocchini, essendo il laboratorio organizzato dall'associazione "Sopra i Ponti", che si occupa di progetti di cooperazione fra Italia e Marocco, e dall'associazione "Expris Comics".9
Partiamo dal risultato finale del laboratorio: un volume che raccoglie sei brevi storie a fumetti, Il mio viaggio fino a te. Storie di migranti a Bologna.10 Il lavoro comune delle due associazioni aveva già prodotto, negli anni precedenti, una raccolta di racconti a fumetti, Voli interrotti. Storie abbozzate di migranti, ma in quell'occasione sceneggiatori e illustratori erano tutti italiani che, dopo avere letto alcune interviste fatte a migranti nell'ambito del progetto I confini dell'umano, avevano tratto da queste le storie raccontate.11 Dei sei racconti di Il mio viaggio fino a te, invece, solo uno è interamente firmato da un italiano, mentre gli altri nascono tutti dalla stretta collaborazione fra migranti - che quasi sempre si sono occupati della sceneggiatura - e italiani.
Se si considera che I confini dell'umano nasceva proprio dall'esigenza di documentare, attraverso la raccolta di testimonianze, la condizione dei migranti "irregolari" in Italia, si capisce che anche in questo caso assistiamo al passaggio da una fase testimoniale a una di creazione artistica che si svolge in parallelo a una crescita del coinvolgimento degli stranieri nel processo creativo. La sensazione è quindi che la "letteratura disegnata" stia ripercorrendo la strada già intrapresa dalla "letteratura solo scritta" e il volume nato a Bologna compie un passo decisivo su questo cammino. In tempi di graphic journalism dilagante, infatti, l'interesse dei nostri fumettisti si è indirizzato anche al tema migratorio, ma non ci risulta che in Italia ci siano molti esperimenti di vero e proprio "fumetto migrante", a fronte invece di tradizioni ben consolidate e capaci di creare anche fenomeni editoriali come il Persepolis di Marjane Satrapi in Francia.12
Per quanto riguarda le storie contenute nel volume, se quella più "matura" è senza dubbio Il cavallo arabo di Mohamed Rafia Boukhbiza e Manuela Mandrone, va segnalata per la sua tematica Campioni di periferia di Zine Labidine Jahabli e Salaheddin Boukhbiza. Utilizzando il calcio come spunto di un racconto "di integrazione", il racconto infatti si inscrive all'interno di una consuetudine già più volte riscontrata nella letteratura migrante italiana, fino all'indicazione di un (quantomeno discutibile) "modello Balotelli" da parte di Pap Khouma.13 Una consuetudine che in campo fumettistico, ma dobbiamo di nuovo rivolgerci alla Francia, ha dato vita a un libro riuscito come Pompa i bassi, Bruno! di Baru, autore di padre italiano e madre bretone.14
Molti dei partecipanti al laboratorio fumettistico hanno anche preso parte a laboratori teatrali tenutisi grazie alla collaborazione del "Teatro dell'Argine". Primi intrecci su cui costruire una rete che possa dare respiro e slancio a questi progetti in tempi di tagli ai finanziamenti pubblici? Non c'è dubbio che sia questo il primo tema da affrontare per chiunque abbia voglia di ripetere esperienze di natura simile.
Note
(1) M. Fortunato, S. Methnani, Immigrato, Roma, Theoria, 1990.
(2) A chi volesse cercare tracce di Zaher, ci piace segnalare il breve fumetto 8 km, la storia di Zaher, oggi leggibile alla pagina: www.graphicjournalism.org/europe/italy/8km-la-storia-di-zaher/. I disegni sono di Gianluca Costantini su testi di Francesca Grisot.
(3) Il riferimento è a Yousef Wakkas, vincitore del concorso letterario dell'associazione "Eks&Tra" e autore di Fogli sbarrati, Rimini, Eks&Tra, 2002.
(4) I risultati del concorso, svoltosi dal 1995 al 2007, sono testimoniati dalla pubblicazione di 10 antologie e 5 volumi di autore singolo. Questi volumi hanno portato per la prima volta all'attenzione del mondo letterario autori come Gëzim Hajdari, Laila Wadia, Kossi Komla-Ebri e diversi rappresentanti delle cosiddette seconde generazioni: Jadelin Mabiala Gangbo, Gabriella Ghermandi, Igiaba Scego. Maggiori informazioni sul sito dell'associazione "Eks&Tra": www.eksetra.net.
(5) Scarpe sciolte, San Giovanni in Persiceto (Bologna), Eks&Tra, 2009; Passaparole, San Giovanni in Persiceto (Bologna), Eks&Tra, 2010; Casamondo, San Giovanni in Persiceto (Bologna), Eks&Tra, 2011, ebook scaricabile da: www.eksetra.net/wp-content/uploads/2011/11/casamondo-libro2.pdf.
(6) Wu Ming 2, A. Mohamed, Timira, Torino, Einaudi, 2012.
(7) Di Floridia non si può non segnalare Teatro in viaggio, Bologna, Nuova S1, 2011.
(8) La registrazione integrale dei due spettacoli può essere gustata (e consigliamo caldamente di farlo) sul sito del "Teatro dell'Argine": www.argine.it. Non è invece reperibile lo spettacolo del 2010, L'ultima notte dell'anno.
(9) Il laboratorio è stato realizzato grazie a un contributo del Centro di servizi per il volontariato "Volabo". Per conoscere le attività di Expris Comics: expriscomics.blogspot.it/.
(10) Il mio viaggio fino a te. Storie di migranti a Bologna, Bologna, Nuova S1, 2012. Come il libro di Floridia prima citato, anche questo è pubblicato da Nuova S1 nella collana "Il Girovago", che è ora anche un "progetto di editoria e storytelling digitale": www.ilgirovago.com.
(11) Il volume, in distribuzione gratuita e anch'esso realizzato grazie al contributo di "Volabo", può anche essere scaricato da: alla pagina www.iconfinidellumano.it/pdf/voli_interrotti_storie_abbozzate_di_migranti_expris.pdf.
(12) M. Satrapi, Persepolis, Roma, Lizard, 2007.
(13) P. Khouma, Noi italiani neri, Milano, Dalai, 2010, p. 159.
(14) Baru, Pompa i bassi, Bruno!, Bologna, Coconino Press, 2011.
L'autore ringrazia Roberta Sangiorgi ("Eks&Tra"), Antonella Selva ("Sopra i Ponti") e Nicola Bonazzi ("Teatro dell'Argine").
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