Rivista "IBC" XX, 2012, 4

territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / progetti e realizzazioni, storie e personaggi

La Biblioteca "Panizzi" ha ricevuto in dono l'archivio dell'architetto Carlo Lucci, che contribuì a modificare il volto di Reggio Emilia tra gli anni Cinquanta e Sessanta.
Ridisegnare la città

Giordano Gasparini
[direttore della Biblioteca comunale "Antonio Panizzi", Reggio Emilia]

La donazione dell'archivio e della biblioteca dell'architetto Carlo Lucci da parte dei figli Franco, Bruno e Stefano alla Biblioteca comunale "Antonio Panizzi", con la conseguente opera di riordino, rappresenta un'occasione importante per rileggere e riflettere sulle trasformazioni e sui mutamenti della città di Reggio Emilia, in un periodo così denso di avvenimenti come la seconda metà del secolo scorso.

Il riordino e la catalogazione dell'archivio di Lucci è parte di una progetto più ampio promosso dall'amministrazione comunale reggiana e presentato nell'ambito delle iniziative per i 150 anni dell'Unità d'Italia: "Gli archivi di architettura a Reggio Emilia tra Ottocento e Novecento. La nascita della città moderna", progetto che ha come obiettivo prevenire la dispersione e promuovere la raccolta, la catalogazione, lo studio e la valorizzazione dei fondi locali degli architetti e ingegneri che hanno operato in questo territorio dall'Unità d'Italia agli anni Settanta del Novecento.

In particolare le opere degli architetti e degli ingegneri "del pubblico", a partire dal periodo postunitario, rappresentano un importante campo di indagine per lo studio della nascita e dello sviluppo della città moderna, una storia in buona parte perduta e mai del tutto conosciuta. Nei periodi più difficili e cruciali della nostra storia, anche recente, le opere pubbliche hanno contribuito a far ripartire l'economia nazionale. Nel momento di formazione del nuovo stato unitario, nell'immediato secondo dopoguerra, negli anni Sessanta, le opere pubbliche hanno cercato di affermare nuovi valori e hanno dato forma all'immagine attuale delle nostre città.

A oggi sono conservati presso la Biblioteca "Panizzi" gli archivi di Guido Tirelli, Prospero Sorgato e Carlo Lucci. Presso il Polo archivistico è conservato l'archivio di Antonio Pastorini e, presso la Cooperativa architetti e ingegneri di Reggio Emilia (CAIRE), l'archivio di Osvaldo Piacentini.


La prima fase di riordino e catalogazione dell'archivio di Carlo Lucci, realizzato da Mimosa Calchi grazie a un tirocinio promosso dalla Facoltà di architettura "Aldo Rossi" dell'Università di Bologna, mette in rilievo una personalità pragmatica, aggiornata e attenta alle innovazioni internazionali, colta, amante dei viaggi, che vive con grande responsabilità il compito dell'insegnamento accademico e l'impegno all'interno della Facoltà di architettura di Firenze.

Tutta la sua attività di architetto è stata densa di iniziative e colma di passione. In questa occasione vorrei soffermarmi su di un periodo che a mio parere, per molte ragioni, è particolarmente rilevante.

Gli anni tra il 1958 e il 1965 sono, per Carlo Lucci, anni importanti, poiché dopo avere realizzato opere in qualche modo "a sé stanti", quali Villa Bertazzoni a Guastalla e il cinema Ambra, si misura con alcuni dei temi centrali dell'architettura di quegli anni: l'intervento a dimensione urbana, il ridisegno degli spazi pubblici, il confronto con i cittadini. Finita l'emergenza più stringente del dopoguerra, le città sono da risanare, da ingrandire ma anche da "abbellire", senza smarrire quell'"etica della memoria" che le porta sempre più a prestare attenzione alla loro storia, al loro passato, fino a farli diventare parte di sé.

Risalgono a quegli anni gli edifici di via Sessi, l'edificio di Porta Castello, l'edificio per banca e uffici e la scuola "Recordati" a Correggio. Sono opere che mostrano un'ampia e puntuale conoscenza della cultura architettonica nazionale e internazionale, come rivelano la biblioteca/emeroteca di Lucci - che ospita le più importanti riviste internazionali di architettura: "Architectural Record" (dal 1955), "Moderne Bauformen" (dal 1933), "L'architecture d'Aujourd'hui" (dal 1946), "Bauen+Wohnen" (dal 1951) - e il lungo rapporto con Bruno Zevi, che ospita puntualmente i suoi progetti sulla rivista "L'architettura. Cronache e storia" e con il quale ha un regolare scambio epistolare.

Sono anni rilevanti per l'architettura italiana. Si sta lentamente chiudendo la fase di emergenza del dopoguerra, si presentano nuovi temi e nuovi protagonisti: il dibattito sulla torre alta a Milano (BBPR e Giò Ponti), una rinnovata sensibilità e attenzione verso il patrimonio storico artistico (i primi musei moderni, Albini a Genova, Scarpa a Verona), i nuovi complessi residenziali (le case Franconi a Terni di Ridolfi, il quartiere Barca a Bologna di Vaccaro e Chiarini), l'inserimento del moderno nei contesti storici, anche a seguito della Carta di Gubbio del 1960 (Gardella a Venezia, Michelucci a Pistoia e a Firenze), l'attenzione sempre più marcata per gli aspetti sociali dell'architettura con lo sviluppo dell'esperienza di Adriano Olivetti a Ivrea, la rilettura dello spazio sacro (Figini Pollini a Milano, Michelucci a Firenze).

Piace pensare che Lucci, quale appassionato viaggiatore dell'arte e dell'architettura, sia stato presente alla Biennale d'arte del 1958 per vedere il nuovo padiglione del Canada realizzato dagli architetti BBPR (Gian Luigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti ed Ernesto Nathan Rogers) e l'allestimento del padiglione centrale di Carlo Scarpa.

Anche il vicino ambiente artistico bolognese vive una stagione importante, con la presenza di Vaccaro, Nervi, Zacchiroli, Muratori, Forlay, Scarpa. Michelucci, Bottoni, Gresleri - e poi l'impegno del cardinale Giacomo Lercaro, che porta in città Alvar Aalto, Kenzo Tange e Le Corbusier - collocano Bologna tra i centri più attenti e impegnati verso la nuova cultura architettonica.

A Reggio Emilia, verso la metà degli anni Cinquanta, vengono completati i primi importanti, anche se discussi, interventi del dopoguerra - l'Isolato San Rocco, il Grattacielo di San Pietro, l'Hotel Astoria, il nuovo Tribunale - e nel 1958 viene approvato il primo vero piano regolatore del dopoguerra (Albini), viene intrapresa la sistemazione della zona Mirabello, viene realizzato il quartiere Rosta Nuova (Albini e Manfredini), si avviano i primi piani per l'edilizia economico-popolare. Le personalità più presenti sono Enea Manfredini e la Cooperativa architetti e ingegneri fondata da Osvaldo Piacentini.

Carlo Lucci vive in questo contesto il suo periodo più ricco di realizzazioni, con una forte consapevolezza della fase di svolta che l'Italia sta vivendo e del ruolo importante che il lavoro dell'architetto rappresenta per il futuro delle nostre città. Entra nel vivo, a Firenze, anche la sua carriera universitaria e inizia a formarsi quel gruppo di architetti uniti da un profondo legame professionale e umano: Italo Gamberini, Giovanni Klaus Koenig, Ludovico Quaroni, Edoardo Detti. Nel 1961 viene nominato assistente presso la cattedra di Elementi di architettura e rilievo dei monumenti. Nel 1962 esce il primo numero dei quaderni dell'Istituto di elementi di architettura e rilievo dei monumenti della Facoltà di architettura dell'Università di Firenze e, dopo un'introduzione del direttore Italo Gamberini che presenta "i due saggi dei validi assistenti Koenig e Lucci", il nostro pubblica un lucido e aggiornato scritto: Un problema nuovo: la scuola. Tradizione e pragmatica.

Nel 1961 la Famiglia artistica reggiana (FAR), vitale e lungimirante associazione di promozione culturale, chiede a Carlo Lucci di presiedere una nuova sezione delle proprie attività, dedicata all'architettura. Egli promuove un primo ciclo di incontri presso la sala della Camera di commercio nel novembre e dicembre 1961, invitando Giovanni Klaus Koenig, Edoardo Detti e Ludovico Quaroni. Così scrive, con il suo consueto piglio pragmatico, nella presentazione dell'iniziativa:


"Questo breve ciclo di conferenze sui problemi dell'architettura del momento attuale più che agli architetti è dedicato ai cultori, agli operatori e a coloro che utilizzano l'architettura.

Interessa perciò tutti e non solo i soci della FAR: perché non c'è persona ormai che non abbia interesse alla costruzione della propria casa, della propria città, della propria sede di lavoro, della scuola, del cinema e del campo sportivo che frequenta.

Se da un lato sono invitati, tecnici, geometri, ingegneri e architetti, dall'altra lo sono gli amministratori locali, gli industriali, gli studenti e le donne che sono le più direttamente interessate alla loro casa.

Ma vorremmo che intervenissero anche i costruttori e gli impresari cui è affidato il grave compito della realizzazione e gli operatori economici cui è affidata la scelta e la impostazione delle iniziative".


Scorrendo i documenti dell'archivio, risulta davvero straordinaria la continuità e la determinazione con cui Lucci ha svolto il suo lavoro di docente universitario, da quando viene nominato assistente, nel 1961, fino alla sua nomina a direttore dell'Istituto di composizione architettonica nel 1974. Una continuità che egli stesso motivava così: "Poiché noi riteniamo che l'architettura si esprima e si realizza in un continuo che va dal territorio all'oggetto in funzione del vivere umano" (1973).

Pur mettendo al primo posto l'insegnamento della tecnica, il rigore dello studio e della ricerca, Lucci ha sempre partecipato in modo assai coinvolgente alle discussioni all'interno del consiglio di facoltà sull'impostazione della didattica, sul rapporto e sulle metodologie di studio da proporre agli studenti: "Se la facoltà deve preparare alla progettazione bisogna farla finita di non progettare, di ritenere l'architettura (in tutto il suo campo territorio-urbanistico-edilizio e oggetto) solo e soltanto indagine e non progetto" (1973).

Anche una lettura dei programmi dei corsi rappresenta un'ulteriore testimonianza delle sue convinzioni didattiche: "Si tratta perciò di disporci tutti a una critica di ricerca e a una problematica di intervento a tutti i livelli operativi e perciò politici, culturali e strumentali. Sarà così possibile verificare, nella realtà che andremo a indagare, il rapporto costante tra situazione socioeconomica e situazione ambientale e come la disgregazione di questa sia indice dello stato patologico di quella" (corso di Composizione architettonica I, anno accademico 1972-1973).

La figura e l'opera di Lucci, il suo impegno sociale e didattico, sono dunque emblematici di come la storia dell'architettura delle nostre città sia ancora tutta da scrivere e l'unico modo è proprio quello di farlo attraverso il sapere contenuto negli archivi dei suoi protagonisti, modificando l'abitudine a riferirsi solo alle figure di primo piano del panorama nazionale. Le città del nostro paese si sono trasformate, si sono migliorate, grazie all'apporto di figure solo apparentemente "minori", che hanno spesso svolto la loro attività nella provincia. Figure fortemente legate alla storia e alla cultura dei territori, ma che hanno mostrato preparazione tecnica, aggiornamento culturale e forte responsabilità nel comunicare il sapere architettonico alle nuove generazioni.

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