Rivista "IBC" XX, 2012, 2
biblioteche e archivi / convegni e seminari, linguaggi, pubblicazioni
Un'immagine sintetizza al meglio questo Leggere il testo e il mondo. Vent'anni di scrittura della migrazione in Italia, che raccoglie gli atti dell'omonimo convegno tenutosi a Bologna nell'ottobre 2010. È l'immagine che, nell'introduzione, Fulvio Pezzarossa - curatore del volume insieme a Ilaria Rossini, giovane studiosa di letteratura della migrazione in lingua spagnola - dà di sé stesso vagante per casa, alla ricerca della collocazione più corretta per i libri di Pap Khouma, Gëzim Hajdari, Igiaba Scego e di tanti altri scrittori che, pur non essendo italiani, vivono nel nostro paese e scrivono nella nostra lingua. Sistemarli vicino agli autori dell'italico canone novecentesco? Destinare loro un settore a parte della propria biblioteca domestica? Nel caso in cui rientrino nel paese d'origine tornando alla lingua madre, vanno riaccostati agli scrittori loro connazionali? E come fare con i figli degli immigrati, nati e/o cresciuti in Italia, quelle "seconde generazioni" di un'immigrazione che essi spesso non hanno mai vissuto in prima persona?
Dubbi, perplessità, ripensamenti che ho vissuto anche io in qualità di bibliotecario della "Casa di Khaoula", una biblioteca pubblica che a Bologna si occupa delle tematiche della migrazione, ivi comprese le diverse espressioni artistiche con cui gli immigrati si autorappresentano, o semplicemente si esprimono (il volume, in proposito, grazie a Marco Purpura, dedica attenzione anche alle Contro-narrazioni audiovisive della migrazione). Confinare questi autori in una sezione separata rispetto a scrittori ugualmente scriventi in italiano, ma nati sulla penisola, significa ghettizzarli oppure offrire loro una visibilità che spesso si vedono negare dall'industria editoriale e dalla critica?
Lo stesso Pezzarossa - docente di Critica letteraria e letterature comparate all'Università di Bologna, fra i primi a intraprendere una seria operazione critica su questi testi - dichiara che non possono esserci risposte "giuste" alle domande sulla collocazione di questi autori all'interno di un sistema letterario che, per accoglierli, non può non mettersi in discussione (fin dall'aggettivo "letterario", tanto che nel sottotitolo del volume si parla di "scritture della migrazione", non di "letteratura della migrazione"). Se state pensando che altrettanto dovrebbe fare il corpo sociale italiano per rispondere in maniera costruttiva alla crescente presenza di immigrati, non è un caso: ogni tanto succede ancora che la letteratura offra interessanti spunti di lettura della realtà...
Il valore del volume sta dunque nel fatto che propone precise domande ma molteplici risposte, mettendo sulla carta la vivacità della discussione che aveva caratterizzato i giorni del convegno, quando il confronto si era fatto anche aspro e combattuto. Credo quindi che, al di là delle singole analisi che è qui impossibile sintetizzare, valga la pena rilevare il comune tentativo degli studiosi di posizionare non solo gli scrittori - oltre a quelli già citati, Gabriella Ghermandi, Amara Lakhous, Kossi Komla-Ebri, Fabian Negrin e molti altri - ma anche il proprio lavoro critico all'interno di un panorama in cui la scrittura della migrazione ha ormai messo in discussione "il legame tra lingua e nazione, e quello tra lingua e letteratura nazionale", come ben sintetizza Lidia Curti.
Lucia Quaquarelli e Giuliana Benvenuti incentrano su queste questioni le proprie riflessioni, ma il tema riaffiora con costanza fra le pagine. Il rovescio della medaglia è costituito dalle modalità con cui - nei venti e più anni trascorsi dal 1990, quando escono Io, venditore di elefanti del senegalese Pap Khouma e Immigrato del tunisino Salah Methnani - gli autori hanno cercato di liberarsi dell'etichetta di "scrittori migranti" per diventare, semplicemente, scrittori. "Strategie di affrancamento" le ha chiamate Ugo Fracassa in un saggio del 2010 (nel volume Certi confini): fra queste strategie c'è la scelta di dedicarsi alla letteratura di genere, che permette di entrare in dialogo con modelli strutturali consolidati e tradizioni e canoni ben delineati.
Così, quando Lakhous in Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio sceglie il poliziesco, non si può non leggerlo (anche) in relazione alla recente fioritura del genere in Italia e naturalmente al modello gaddiano. Amor Dekhis, invece, con I lupi della notte, si immette nel solco del sottogenere fantascientifico della distopia, che annovera recenti esempi (analizzati da Daniele Comberiati) sia fra i migranti che fra gli italiani, spesso centrati proprio sull'evolversi futuro del rapporto fra nativi e stranieri. Quanto conta il fatto che sia Dekhis che Lakhous sono algerini? E come rapportarli a Tahar Lamri, altro algerino che ha scelto di scrivere non solo in italiano, ma anche in dialetto romagnolo? E, lungo questa china, si rischia forse di riproporre quel legame nazione-letteratura di cui si è appena registrata l'inattualità?
Come detto, non sono necessarie risposte conclusive, occorre continuare a interrogarsi. Ogni tanto, però, è utile tirare le somme di quanto si è fatto. Per questo va salutata con piacere l'uscita di questo volume, nell'attesa - ci auguriamo breve - di una prima storia delle scritture della migrazione in Italia. Un punto di arrivo che di certo non servirà a ingabbiare una materia tanto incandescente, ma agevolerà e rilancerà nuove prospettive di lettura.
Leggere il testo e il mondo. Vent'anni di scritture della migrazione in Italia, a cura di F. Pezzarossa e I. Rossini, Bologna, CLUEB, 2011, 303 pagine, 25,00 euro.
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