Rivista "IBC" XIX, 2011, 3

musei e beni culturali / mostre e rassegne

Con "Balla e dintorni" la Pinacoteca civica di Forlì espone le tracce di una vicenda figurativa cittadina dei primi anni del Novecento.
Futurismi a Forlì

Orlando Piraccini
[IBC]
Luciana Prati
[dirigente del Servizio pinacoteca e musei del Comune di Forlì]

A Forlì - proseguendo la serie espositiva di "Novecento rivelato", che a partire dal 2006 ha progressivamente consentito alla comunità forlivese di riscoprire il proprio patrimonio d'arte moderna e contemporanea - dal 9 aprile al 30 settembre 2011 è stato proposto al pubblico un insieme di opere della Pinacoteca civica legate a uno scorcio particolarmente interessante della vicenda figurativa cittadina dell'inizio del secolo scorso. Attorno a un eccezionale capolavoro, rappresentato dal dipinto Siamo in quattro di Giacomo Balla, si sono riunite in questa rassegna alcune interessanti "tracce" futuriste presenti nelle diverse raccolte comunali. Lo stesso quadro di Balla, donato alla città nel 1930 dal "Cenacolo Artistico Forlivese", ha offerto poi lo spunto per ammirare alcune belle opere di pittori e scultori del sodalizio cittadino fondato da Giovanni Marchini.

In questi ultimi anni un rinnovato interesse ha investito il movimento futurista in Italia. Al centro dell'attenzione, per quanto riguarda il campo delle arti visive, si sono poste non solo la fase storica del movimento, nel primo scorcio del Novecento, ma anche le persistenze del gusto e dello stile nel corso del secolo, fino alle soglie dell'attualità. Sono state numerose anche le ricerche, le ricostruzioni storiche e le iniziative espositive che hanno avuto come oggetto l'esperienza avanguardista nei principali centri d'arte della nostra regione. Tra questi, va ricordata senz'altro anche Forlì, ma piuttosto come un crocevia di rapporti e relazioni, che per un suo diffuso e appariscente coinvolgimento con l'estetica futurista. Semmai, più la parola rispetto all'immagine sembra aver coinvolto le creatività locali: basti qui ricordare Livio Carloni, alias Luciano De Nardis (1895-1959), assiduo frequentatore del cenacolo pratelliano di Lugo. Ma non vanno taciute le origini forlivesi di Antonio Beltramelli (1874-1930), che nel 1913 compone la commedia Ugola il futurista, rimasta inedita fino a un decennio fa; e di Decio Cinti (1879-1954), trasferitosi a Milano già verso il 1910, dopo la conoscenza con Marinetti e la pubblicazione dei suoi primi versi sulla rivista "Poesia".

In un clima di generale diffidenza per la creatività d'avanguardia, sul fronte forlivese delle arti nella prima stagione futurista non si registrano fatti particolarmente significativi. Le cronache del tempo riferiscono di una più che contrastata rappresentazione, il 23 gennaio del 1914, al Teatro comunale, delle marinettiane Elettricità e Inno alla morte, con la recita dei versi di Buzzi, Carrà, Cangiullo, Palazzeschi, mentre non si hanno notizie significative in campo espositivo, se si esclude il buon risalto dato alla presentazione a Forlì (Salone di Palazzo Gaddi, ottobre 1917) di una "Mostra interregionale d'Arte", a scopo di beneficenza, già ideata e realizzata a Lugo su iniziativa di Balilla Pratella assieme al gruppo di giovani artisti al suo seguito, futuristi e non (da Giacomo Vespignani a Nino Pasi, da Roberto Sella a Marcello R. Baldessari).

Per l'arte a Forlì si può dunque parlare, piuttosto, di un'onda lunga dell'estetica futurista, che trova alcuni seguaci nella prima e seconda generazione del Novecento. Tra questi, in primo luogo, Umberto Zimelli, detto Zumbo (1898-1972), nella cui poliedrica attività come grafico, disegnatore, pubblicitario, decoratore, scultore, orefice, è evidente un persistere di stilemi futuristi e cubisteggianti di marca prampoliniana, negli anni della sua militanza all'interno del "Cenacolo Artistico Forlivese".

Artista ancora largamente da riscoprire è poi Vero Roberti, nato nel 1910, al quale sono attribuite giovanili simpatie avanguardiste, amicizie a Bologna con Morandi e Cervellati, frequentazioni del movimento napoletano dei "Circumvisionisti", prima di intraprendere la carriera giornalistica. Ugualmente da precisare sono talune ricadute futuriste in architettura, ripercorrendo per esempio l'opera di Cisberto Giuseppe Fiori, il cui nome ricorre come l'ideatore del "Gruppo futurista indipendente di Forlì" (1933), in contatto con altri cenacoli avanguardisti sparsi in Italia, come quelli fondati da Antonio Marasco.

Tracce di futurismo arrivano poi fino ai giorni nostri, come nelle ricerche spaziali in campo scultoreo di Carmen Silvestroni (1939-1997) e di Glauco Fiorini (1941-1994), con la loro plastica così direttamente investita da luce in movimento.

La "gemma" futurista della pinacoteca forlivese è dunque senz'altro rappresentata dal Siamo in quattro di Giacomo Balla. Già ricordata nella sua "guida" al museo del 1935 da Adriana Arfelli (secondo la quale si tratterebbe di "scomposizione figurativa nitida nel segno e nel colore, che esprime forse il compenetrarsi fraterno dei camerati in una sola volontà, in una sola dinamica energia"), l'opera è entrata a far parte del patrimonio pubblico nel '30, ricevuta in dono dal pittore Giovanni Marchini (1877-1946) per conto del "Cenacolo Artistico Forlivese", di cui dieci anni prima era stato fondatore. Il dipinto con dedica ("Balla futurista al Cenacolo Artistico di Forlì") va dunque fatto risalire alla stagione più intensa della militanza avanguardista dell'artista torinese.

Ma oggi quest'opera preziosa di Balla, finalmente rivelata, può pure contribuire a sollevare il velo della dimenticanza su un importante capitolo di storia artistica locale, riguardante proprio il sodalizio fondato da Marchini nel 1920 e che ebbe sede, come ha di recente informato Rosanna Ricci partendo da una testimonianza di Zimelli, nel padiglione di destra della Barriera Cotogni, nell'odierno Corso della Repubblica.

Al "Cenacolo", sorto con lo scopo di elevare la cultura cittadina, che secondo Marchini era allora del tutto "refrattaria alle arti", aderirono giovani creativi in attività a Forlì, ma circondati, appunto, da disinteresse o diffidenza. Ha scritto Guglielmo Cesare Albonetti che nel sodalizio, di cui fu segretario, erano "uniti da raro spirito di fratellanza e d'amore, senza alcuna distinzione, tutti i pittori e gli scultori della città, e al suo sorgere si è posto un programma d'arte e di valorizzazione che non solo è altamente commendabile dallo schietto punto di vista artistico, ma è rincorante pel fatto che mai, se la memoria non mi falla, dal giorno dell'Unità d'Italia, nella nostra trasandata città si era pensato di gettare le basi di una istituzione culturale o artistica che in un tempo fosse propugnatrice d'arte purissima e propagatrice di severi studi delle più disparate dottrine, e valorizzatrice di quelle forze locali tenutesi sempre nascoste".

Fecero parte del "Cenacolo Artistico Forlivese", tra gli altri, oltre a Zimelli, Pietro Angelini (1888-1977), Bernardino Boifava (1888-1954), Leonida Brunetti (1896-1970), Maceo Casadei (1899-1992), Francesco Olivucci (1899-1985), Pio Rossi (1890-1969), Carlo Stanghellini (1901-1956). Insieme vollero dimostrare, secondo Rosanna Ricci "che non intendevano sposare le avanguardie imperanti, ma che procedevano con autonomia sulle strade del realismo". In realtà lo stesso omaggio giunto da Balla, non bastassero certi ardimenti giovanili di questi artisti, fa propendere per una posizione del "Cenacolo" assai più dinamica e aperta al rapporto con i gusti e le mode del tempo. E non è dunque improbabile che, con la stessa considerazione riservata ad altre libere associazioni d'artisti sorte in quegli stessi anni in numerosi centri del nostro Paese, il movimento futurista abbia guardato con interesse anche alle attività e alle esibizioni del manipolo di giovani forlivesi.

Le opere dei cenacolisti forlivesi viste in mostra costituiscono, dunque, i più bei "dintorni" allo stupefacente Siamo in quattro. Ma c'è un dipinto che merita oggi d'essere accostato al piccolo capolavoro di Balla: ed è l'ovale del faentino e cesenate d'adozione Giannetto Malmerendi (1893-1968) intitolato Insieme ritmico e dinamico di bar notturno, realizzato nel 1915 ed esposto alla mostra lughese del settembre 1917, mostra replicata un mese più tardi a Palazzo Gaddi di Forlì. Esposto nelle più recenti rassegne futuriste in Italia e nella nostra regione, il dipinto è generalmente considerato tra i prodotti più autentici e qualitativamente più alti dell'ancora insorgente movimento avanguardista nelle sue ramificazioni più periferiche. La stagione militante di Malmerendi fu poi abbastanza breve, con una sorta di personale ritorno all'ordine profilatosi già al termine della Grande Guerra. Ma al pittore romagnolo è oggi riconosciuto un ruolo di primo piano nell'affermazione del movimento, dopo l'accostamento alle poetiche futuriste, attorno al 1913.

Degno contorno alle due opere, così esemplari del primo futurismo, sono da considerare in questa rassegna i dipinti eseguiti per la celebre collezione "Verzocchi" da altri protagonisti dell'avanguardismo storico come Gino Severini, Enrico Prampolini e Fortunato Depero. Tali opere, dedicate allo specifico tema del lavoro, riflettono appieno le remote origini di gusto e di stile dei loro autori. Scrive Severini, a proposito del quadro dipinto per Verzocchi, che "la composizione è ritmica e dinamica, secondo il mio modo di espressione". Mentre Prampolini attesta che "nel panorama della mia produzione pittorica (il principio di astrazione, nelle mie opere, data dal 1913) questo quadro costituisce un singolare e specifico apporto al concetto dell'astrazione nell'arte"; e Depero ancora insiste sul concetto che "l'opera duratura sta nel felice connubio plastico tra realtà e astrazione".

Infine, in questa rassegna non mancano alcune "tracce" notabili di un futurismo romagnolo che, come si è detto, si è mantenuto vivo per un lungo tratto del Novecento: sono quella dell'imolese Rezio Buscaroli (1895-1971), con la mossa atmosfera del suo Paese sul lago, sorpreso dalla luce del 1930, nel quale è possibile riconoscere il giovanile dipingere in senso futurista e cubista; e quella di Mario Guido Dal Monte (1906-1990), specialmente con le gustose scansioni cromatiche, ancora sature di poetica futurista, del giovanile Neve e bragozzi risalente al 1931.

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