Rivista "IBC" XVII, 2009, 1
musei e beni culturali / mostre e rassegne, pubblicazioni
Dal 5 febbraio al 30 aprile 2009, tra le innumerevoli iniziative per le celebrazioni del centenario futurista, Casa Saraceni ha allestito una mostra sul rapporto tra il Futurismo e Bologna. Perché, ci si potrebbe chiedere. Innanzitutto per mostrare la prima pagina della "Gazzetta dell'Emilia", dove per la prima volta, con 15 giorni di anticipo rispetto a "Le Figaro" di Parigi, il 5 febbraio del 1909 appare pubblicato il Manifesto di Marinetti. Non si pretende con questo che si debbano riscrivere i libri di storia dell'arte, anche perché la notizia era già conosciuta dagli studiosi e nessuno - sembra - gli ha mai dato gran peso, ma si intende solo renderla nota, quantomeno ai bolognesi, che quella "Gazzetta", almeno in città, non l'hanno mai vista.
In secondo luogo bisognerebbe forse rovesciare la domanda di partenza. E cioè: ha ancora senso cercare di mettere in piedi mostre sul Futurismo tout court quando non potranno che essere, giocoforza, tacciate di parzialità e incompletezza (vedi anche l'ultimo ingombrante tomo di Fabio Benzi)? Tanti, troppi, sono gli artisti, le discipline, le tecniche, le città, gli anni da prendere in considerazione. A meno di non presentare i soliti quattro nomi. Sappiamo però che il Futurismo non è stato solo Boccioni, Balla, Russolo e Marinetti. Ecco perché, forse, l'unico modo serio e costruttivo di trattare il Futurismo è declinarlo a seconda delle diverse realtà locali, sezionarlo, parcellizzarlo, come del resto si sta facendo da qualche tempo a questa parte (Futurismo in Sicilia, Futurismo in Romagna, Futurismo in Liguria...).
Con Bologna la vicenda è insolita. Bologna, va detto, futurista lo è sempre stata molto poco. L'artista Mario Nanni direbbe "per questione genetica". In una città che vede il suo campione in Giorgio Morandi, una corrente che fa del vitalismo, dell'esperienza, della velocità i suoi fondamenti, difficilmente poteva attecchire; e questo nonostante il primato della "Gazzetta", che infatti non ha mutato di niente il corso degli eventi. Eppure Bologna ha avuto tra le sue fila alcuni dei futuristi più fedeli e incrollabili. Personaggi come Angelo Caviglioni, Alberto Alberti, Antonio Agostini, Pietro Loreti, Febo Sabattini. Personaggi caduti nel dimenticatoio, a cui la mostra di Casa Saraceni ha voluto rendere giustizia, recuperandoli e raccontandone la storia. Né più, né meno. Divisa in sezioni, la rassegna parte ricostruendo la famosa mostra di un sol giorno all'Hotel Baglioni, nel 1914, passata erroneamente agli annali come prima mostra futurista. Basterebbe scorrere i nomi dei 5 giovani allora iscritti all'Accademia di belle arti che vi esponevano (Morandi, Licini, Pozzati, Bacchelli e Vespignani) per comprendere il perché di quell'"erroneamente".
Prosegue con una piccola mostra nella mostra, una monografica dedicata all'opera di Guglielmo Sansoni, in arte Tato, il più futurista dei futuristi bolognesi. Anche qui l'imponderabile: artista di caratura internazionale, protagonista indiscusso del movimento, firmatario con Marinetti di manifesti nodali, come quello della fotografia o dell'aeropittura; eppure erano secoli che di lui non si vedevano esposte una trentina di opere tutte insieme. Con una vera e propria perla: il salotto autentico che realizzò per Italo Balbo, a confermare, se mai ce ne fosse bisogno, che Futurismo non è stato solo pittura ma anche design, arredamento, grafica, pubblicità. Una parolibera di Settimelli lo invoca quale liberatore di Bologna dalle innumerevoli torri, simboli passatisti statici e medievali. E poi tutti gli altri. Oltre a quelli già citati, anche Athos Casarini, Giovanni Korompay, Italo Cinti, i due fratelli Pozzati, Mario e Severo, Nino Vitali e il semisconosciuto Giovanni Petrella, che pur trasferitosi a Venezia continuava a firmarsi "Petrella da Bologna".
Tra i documenti, i libri, i cataloghi d'epoca, cercati, faticosamente rintracciati e gentilmente prestati da alcuni rari collezionisti e amanti, spiccava la tavola originale di Umberto Boccioni per la copertina di Musica Futurista di Balilla Pratella, pubblicato proprio a Bologna, dall'editore Bongiovanni, nel 1912. Una mostra di nicchia, per specialisti forse, che non ha mancato comunque di incuriosire. Curata da Beatrice Buscaroli e organizzata dalla Fondazione Cassa di risparmio in Bologna, "5 febbraio 1909. Bologna avanguardia futurista" può considerarsi l'ennesimo tassello per la ricostruzione e la comprensione di alcuni passaggi del nostro passato, più o meno recente, che la storiografia ufficiale ha giudicato trascurabili con eccessiva e incauta disinvoltura.
5 febbraio 1909. Bologna avanguardia futurista, a cura di B. Buscaroli, Bologna, Bononia University Press, 2009, 300 pagine, 45,00 euro.
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