Rivista "IBC" XIX, 2011, 3

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / immagini, corrispondenze

Le foto scattate all'Aquila da un ingegnere che ha prestato la sua opera nei primi mesi dopo il sisma raccontano la distruzione di un territorio, e richiamano l'attenzione su una ferita ancora aperta.
Spaccati

Pierluigi Caputo
[ingegnere, fotografo]

A due anni dal terremoto che il 6 aprile 2009 ha distrutto L'Aquila e il territorio circostante, "IBC" aggiunge la sua voce a quelle di chi tenta di reagire al silenzio e all'inerzia che sembrano calati dall'alto su ogni volontà di ridare vita al centro storico del capoluogo abruzzese. Se non si corregge la rotta, ha avvertito Francesco Erbani, si rischia di creare "una città senza centro, tutta di macchine, tutta privata, frutto della rendita, che fa a meno degli spazi pubblici",1 qualcosa di molto lontano dallo scenario fisico in cui una comunità può formarsi, e in questo caso rinascere. Abbiamo scelto di far parlare le immagini, pubblicando le fotografie realizzate da Pierluigi Caputo, un ingegnere che all'Aquila ha collaborato come volontario subito dopo il sisma.

Nato in provincia di Lecce nel 1975, Caputo vive e lavora a Bologna, dove nel 2007 ha cofondato lo studio di architettura e ingegneria "CAT24". Ha collaborato per diversi anni con il Dipartimento di architettura e pianificazione territoriale della Facoltà di ingegneria di Bologna, approfondendo i propri studi su tematiche riguardanti l'architettura rurale della penisola italiana. Fotografo per passione, nel 2005 ha pubblicato per le Edizioni dell'Iride di Tricase il libro La "Masseria Grande" di Surano. Valorizzazione ambientale e riuso delle masserie fortificate del Salento.


Il progetto fotografico "Spaccati" nasce dalla mia esperienza di volontariato come ingegnere nel territorio dell'Aquila, nel giugno del 2009. La lettura di queste immagini spinge a mettere in evidenza diversi "spaccati" (urbanistico, architettonico, sociale), dove ogni linea retta o di congiunzione temporale e spaziale è stata inesorabilmente interrotta. Non si vuole raccontare il disastro in quanto tale, ampiamente rappresentato e a volte sponsorizzato dai media, quanto piuttosto "l'effetto generato" che il terremoto ha prodotto.

Gli Aquilani mi hanno dimostrato la loro voglia inesauribile di ricominciare, di continuare, andando alla ricerca della semplice e banale quotidianità nei cassetti delle loro case oramai distrutte, come anche nelle loro nuove case, le tende. La mancanza di quotidianità e di normalità era palpabile ovunque: una città blindata e militarizzata, dove ogni uomo si identificava in una divisa. Anche le tendopoli erano luoghi blindati, decine e decine di corridoi di stoffa blu, dove i rapporti e le tensioni di vicinato erano esaltate ed esasperate dalla totale mancanza di privacy, dove ogni problema era il problema di tutti, dove ogni casa e ogni porta erano divenute una sola stanza e una sola porta.

In quei giorni, tutto apparentemente era immobile, surreale. Le storie che ascoltavi erano infinite, diverse, uniche. La gente aveva il desiderio di raccontarti la propria vicenda, ogni persona ti regalava un'emozione singolare e indefinibile. E tu ricambiavi con un sorriso o con un abbraccio, perché la vicinanza era totale. Un giorno, vedendomi uscire dalla sua abitazione sfigurata, una signora mi ha rincorso e mi ha fatto una domanda semplice ma devastante: "Ingegnere, ha visto se per caso sono fioriti i miei ciclamini?". Come si può non rispondere a una domanda così? Come si può non rispondere a chi ti ringrazia per qualsiasi cosa?

Questo lavoro è un omaggio a tutti gli abruzzesi e a tutti i vigili del fuoco che ho incontrato, perché mi hanno fatto capire il senso della mia professione.


Ringrazio Linda, Rita, Enrico (di L'Aquila).

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