Rivista "IBC" XIX, 2011, 1
biblioteche e archivi / convegni e seminari, interventi, leggi e politiche
"Biblioteche, musei, archivi: quali sinergie?": intorno a questa domanda, il 3 dicembre 2010, la Provincia di Ravenna ha organizzato un nuovo convegno della serie "Scuola e Museo", giunta alla diciassettesima edizione. Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato dalla soprintendente per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna.
Da molti anni la comunità internazionale caldeggia la cooperazione tra archivi, biblioteche e musei, favorendo progetti condivisi; la convergenza tra i suddetti istituti potrebbe quindi apparire acquisita, per non dire "scontata". Ebbene non è così, neppure per i due ambiti a prima vista più vicini, quelli degli archivi e delle biblioteche. Nel nostro Paese siamo ancora molto distanti dal prospettare una sinergia completa tra i due istituti, come è avvenuto significativamente sei anni fa in Canada con la fusione, in un'unica istituzione, della Biblioteca nazionale con gli Archivi nazionali. È vero, tuttavia, che da parte degli archivisti e dei bibliotecari italiani si comincia a invertire una tendenza di lungo corso: i sostenitori della rigida distinzione fra archivi e biblioteche stanno diminuendo, a fronte dell'aumento degli operatori attenti all'evoluzione di entrambi i settori, disponibili al confronto, favorevoli a realizzare progetti comuni e a sperimentare forme di contaminazione nel variegato universo dei beni culturali.
Una maggiore persistenza della separatezza tra i diversi settori si può forse riscontrare nel mondo accademico. Ritengo, comunque, che molte scuole d'archivistica non contemplino più la lettura obbligatoria dei saggi di Giorgio Cencetti, peraltro "autorevole maestro di generazioni di archivisti",1 saggi della fine degli anni Trenta, il cui studio era raccomandato ancora nell'ultimo decennio del secolo scorso. Si tratta di contributi teorici interessanti, tesi soprattutto a evidenziare la diversità tra i due istituti e i relativi patrimoni, tramite una serie di coppie oppositive: fondamentale quella tra l'autonomia del singolo libro in una biblioteca e il vincolo originario del documento organico con gli altri pezzi del medesimo archivio. Sulla base di una simile impostazione, l'archivistica e la biblioteconomia potevano procedere su strade distinte e proporre differenti modi di descrivere i libri e i documenti. Potremmo, in altre parole, inferire che quel contesto teorico favoriva più la separazione che la cooperazione tra i due ambiti.
Un ribaltamento rispetto alla visione cencettiana del libro e della biblioteca si può rinvenire in un intervento di Emanuele Casamassima, fondamentale per la teoria del restauro ma di portata più generale, intervento proposto con forza in un seminario sulla metodologia e le tecniche della conservazione e del restauro del materiale bibliografico e archivistico, promosso nel 1980 dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC). Casamassima sosteneva: "Prevenire, curare, restaurare (se è necessario) importa anzitutto la necessità di conoscere una situazione, che non è soltanto quella del singolo pezzo ma in primo luogo della struttura di cui esso è un elemento [...]. Il fatto è che salvare il singolo pezzo, anche di grande importanza, ha un valore relativo. Quello che conta sono le strutture, sono i sistemi: in questo caso i fondi particolari, le biblioteche".2
Nel 1999, a Venezia, in occasione del X seminario "Vinay", Luigi Crocetti esprimeva il rimpianto "che la proposta fatta a Emanuele Casamassima, di contribuire con un saggio sulle biblioteche alla grande Storia d'Italia che l'editore Einaudi aveva in preparazione" non fosse stata attuata: "E così l'eccellente saggio sugli archivi, di Piero D'Angiolini e Claudio Pavone, è rimasto, in quella Storia, senza il suo ideale compagno".3 A margine di un seminario sui libri antichi a Padova, confidai a Luigi Crocetti che anch'io avevo un rimpianto: che Casamassima (per un mero disguido organizzativo) non avesse partecipato nel 1986, a Ferrara, a un convegno dedicato all'opportunità di integrare o separare le biblioteche storiche e la biblioteca pubblica moderna, questione allora di grande attualità. La scelta di politica culturale della Regione Emilia-Romagna, come è noto, è stata al riguardo decisamente a favore dell'integrazione.
Orbene, in occasione di "Bibliocom" 2002, Crocetti è intervenuto su questa problematica con una lucida riflessione, che è stata pubblicata due anni dopo sulla rivista "IBC" col titolo Una cultura di servizio per le biblioteche storiche?. Dopo aver confutato la presunta contraddizione tra biblioteca pubblica e biblioteca storica, egli afferma: "Nessun provvedimento sarebbe più nefando che spezzare in due, per così dire, le biblioteche: da una parte i fondi storici, dall'altra i fondi 'da biblioteca pubblica' in vista di un diverso modo di gestirle".4 Aggiungeva, poi, che occorre piuttosto trovare un criterio che le racchiuda entrambe in modo coerente, e che le attività di tutt'e due devono essere all'insegna di un servizio unico. Ed ecco un tema, a mio parere, unificante e centrale per le biblioteche e gli archivi: la cultura del servizio.
Dopo queste premesse di ordine generale, consentitemi di proseguire il discorso dal punto di vista della pluriennale esperienza regionale. La consapevolezza del diverso grado organizzativo e di qualità dei servizi propri delle biblioteche, rispetto a quelli pressoché inesistenti di molti archivi storici comunali, ha indotto il legislatore della Regione Emilia-Romagna a emanare la prima legge in materia di biblioteche e archivi (la numero 42 del 1983), affidando una funzione trainante alle biblioteche e indicando come obiettivo l'integrazione delle risorse bibliografiche con quelle archivistiche. Anche se il rischio di "bibliotecarizzazione" lamentato dalla sezione regionale dell'Associazione nazionale archivistica italiana (ANAI) non era privo di fondamento, resto convinta che sul piano pratico l'indirizzo di far gestire gli archivi storici nelle relative biblioteche comunali abbia portato benefici agli stessi archivi, soprattutto nei casi di insufficienza strutturale e organizzativa.
Così, quando si è trattato di proporre gli standard e gli obiettivi di qualità sulla base della nuova legge regionale - la 18-2000, relativa a biblioteche, archivi, musei e beni culturali - i vari rappresentanti del gruppo di lavoro relativo agli archivi sono stati d'accordo sul fatto che "la partecipazione degli archivi storici al sistema bibliotecario regionale e la possibilità di affidamento alle biblioteche comunali ha rappresentato un'utile e concreta alternativa al degrado del patrimonio storico archivistico più diffuso sul territorio". Le biblioteche che risultano a pieno titolo enti conservatori dell'archivio storico comunale sono soltanto 22, alle quali occorre aggiungerne altre 38 che svolgono le funzioni relative alla custodia e alla fruizione. Si tratta quindi, complessivamente, di 60 archivi, di diversa grandezza e importanza, presidiati dalle biblioteche; alcune di queste hanno anche archivisti in organico: per esempio, la Biblioteca comunale di Imola. Nella direttiva regionale, oltre a mirare alla corretta gestione della documentazione archivistica, si è quindi posto l'accento sulla necessità di organizzare un servizio per il pubblico con un orario di apertura adeguato.
Il portale IBC Archivi consente, anche da remoto, un primo orientamento per la ricerca, sulla base delle informazioni relative ai servizi dei vari archivi comunali (raccolte col sistema informativo CAStER, aggiornato annualmente) e agli inventari che si vanno pubblicando con ritmo sostenuto: archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it/ibc-cms/. Non intendo soffermarmi sugli standard di inventariazione e catalogazione, tuttavia mi piace ricordare che una decina di anni fa organizzammo a Bologna una giornata di studio sulle voci d'autorità nei sistemi descrittivi dei beni archivistici, librari e storico-artistici. In apertura dell'incontro, Stefano Vitali auspicò in prospettiva una "valorizzazione unitaria dei beni culturali quali 'commutatori di storia'" e una ricomposizione dei contesti grazie a un "uso intelligente delle tecnologie informatiche e di Internet".5 Una simile prospettiva, naturalmente, è più che mai valida e alcuni progetti interistituzionali, anche tramite interventi di digitalizzazione, perseguono questi obiettivi.
L'esigenza di contaminazione tra l'approccio archivistico e quello biblioteconomico (aggiungerei anche storico-artistico, data la varietà dei materiali e la proliferazione dei supporti) è particolarmente avvertita da parte degli operatori che si occupano dei cosiddetti "archivi culturali" contemporanei. Sono ormai acquisite sia la necessità di salvaguardarne l'integrità, evitando dannosi scorpori e rispettando ove possibile l'ordinamento originario, sia la consapevolezza della metamorfosi subita dai libri presenti in tali complessi, un vero cambiamento di status che richiede un trattamento particolare, con metodologie ritenute più attinenti all'archivistica. Gli incontri annuali di "Conservare il Novecento" - promossi a cominciare dal 2000 dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'IBC, insieme all'Associazione italiana biblioteche e all'Istituto centrale di patologia del libro, nell'ambito del Salone del restauro di Ferrara - si sono rivelati un utile momento di sensibilizzazione su questi temi, una sede di incontro e confronto tra gli addetti ai lavori, e, grazie alla puntuale pubblicazione degli atti, un buon veicolo di diffusione di linee guida e di buone pratiche. A proposito di dialogo intersettoriale è opportuno segnalare che nelle ultime edizioni l'ANAI figura proficuamente tra gli enti promotori dell'iniziativa.
La problematica che riguarda gli "archivi della cultura" non investe soltanto il limitato numero delle case degli scrittori o delle personalità della cultura, ma anche molte biblioteche che conservano fondi speciali. Un esempio per tutte: l'Archiginnasio di Bologna, che recentemente ha pubblicato la guida on line ai suoi fondi archivistici e documentari (badigit.comune.bologna.it/fondi/). Fondi nel web ne annovera ben 254: ogni nucleo documentario è descritto con una scheda redatta applicando lo standard internazionale di descrizione archivistica ISAD. L'accesso è facilitato dalla possibilità di ricerca libera e anche guidata, sulla base di periodizzazioni cronologiche, aree tematiche e tipologie documentarie. Il lavoro è stato svolto dal personale interno (l'organico dell'Archiginnasio comprende pure tre archiviste) con l'intento di diversificare le strategie di risposta alle richieste degli utenti e valorizzare tutti i fondi posseduti.
Presentando in Archiginnasio il volume Conservare il Novecento: gli archivi culturali, Isabella Zanni Rosiello ha acutamente osservato: "Quando si tratta di operare su materiali novecenteschi prodotti da persone, ci si accorge che tracciare un rigido confine di demarcazione tra il settore delle biblioteche e il settore degli archivi è quasi sempre impossibile. [...] Ciò non vuol dire che il settore delle biblioteche e quello degli archivi non siano connotati da specificità di lavoro, di tecniche, di preparazione professionale. Non vuol dire che non ci siano differenze tra il mestiere del bibliotecario e quello dell'archivista. Vuol dire piuttosto che la varietà e l'eterogeneità che spesso connotano gli archivi di persona, e più in generale i materiali novecenteschi, li rendono così compositi da non lasciare più posto a ottuse difese di attardati specialismi".6
Forse a far cadere gli ultimi steccati saranno proprio gli addetti al materiale novecentesco, insieme alle richieste e alle aspettative di un pubblico più ampio e avvezzo alle nuove forme di comunicazione e navigazione tipiche del web. In ogni caso la cooperazione, unita alla ricerca di regole comuni per offrire accessi integrati ai patrimoni culturali, appare ancora una volta la strada maestra, non solo per sostenere la ricerca e favorire la crescita culturale dei cittadini, ma anche per far sì che le biblioteche e gli archivi esprimano la loro funzione sociale, in modo che il lavoro dei bibliotecari e degli archivisti continui ad avere un senso pure nella cosiddetta "società liquida".
Note
(1) Si veda I. Zanni Rosiello, A margine del lavoro del bibliotecario e dell'archivista, in Belle le contrade della memoria. Studi su documenti e libri in onore di Maria Gioia Tavoni, a cura di F. Rossi, P. Tinti, Bologna, Pàtron, 2009, pp. 387-395: 390. Per quanto riguarda gli scritti di Cencetti, faccio riferimento in particolare a: Sull'archivio come "universitas rerum" (1937) e Inventario bibliografico e inventario archivistico (1939).
(2) E. Casamassima, Le contraddizioni del restauro, in Oltre il testo. Unità e strutture nella conservazione e nel restauro dei libri e dei documenti, a cura di R. Campioni, Bologna, Nuova Alfa Editoriale, 1981, pp. 95-98: 97.
(3) L. Crocetti, La tradizione culturale italiana del Novecento, in L'automazione delle biblioteche nel Veneto: tra gli anni '90 e il nuovo millennio, a cura di C. Rabitti, Venezia, Fondazione scientifica Querini Stampalia, 2000, pp. 76-81, ora anche in Conservare il Novecento: gli archivi culturali. Ferrara, Salone internazionale dell'arte del restauro, 27 marzo 2009. Atti del convegno, seguiti da L. Crocetti, La tradizione culturale italiana del Novecento e altri scritti, a cura di L. Desideri e G. Zagra, Roma, Associazione italiana biblioteche, 2010, pp. 111-119: 116.
(4) "IBC", XII, 2004, 3, pp. 60-63, ora anche in Conservare il Novecento: gli archivi culturali, cit., pp. 151-155: 151.
(5) S. Vitali, Una memoria comune, "IBC", IX, 2001, 1, pp. 7-9: 8.
(6) I. Zanni Rosiello, Dai cassetti del tempo, "IBC", XVIII, 2010, 3, pp. 6-8: 7.
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