Rivista "IBC" XIX, 2011, 1

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, linguaggi, inchieste e interviste, interventi, progetti e realizzazioni, leggi e politiche, pubblicazioni

Amati oppure odiati. Disegnati o imbrattati. Salvati o cancellati... I segni lasciati sulla pelle delle nostre città pongono domande significative ed esigono risposte pratiche.
Occhio al muro

Claudia Collina
[IBC]
Matilde Callari Galli
[antropologa]
Carla Di Francesco
[direttrice generale per i Beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna, Ministero per i beni e le attività culturali]

Le immagini in bianco e nero di questo numero di "IBC" sono dedicate a un fenomeno controverso: quello che trasforma i muri delle nostre città, a seconda dei casi, in superfici su cui scrivere, disegnare, colorare, fare arte, oppure imbrattare. Abbiamo chiesto la collaborazione di Duilio Camarlinghi, Leonardo Casadei e Maurizio Pizzirani, tre fotografi che, in tempi diversi e con autonomi stili, hanno esplorato il territorio urbano, bolognese e non solo, con lo sguardo rivolto verso i muri. Leonardo Casadei, in particolare, non è nuovo a incursioni di questo tipo: più volte premiato in Italia e all'estero, nel 2007 ha esposto a Bologna le sue foto sui graffiti, in una mostra promossa dal Quartiere San Donato e dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna.

Per introdurre queste immagini, e per tentare di aprire un ragionamento su un tema che rischia di essere rimosso dagli opposti oltranzismi, abbiamo rivolto alcune domande all'antropologa Matilde Callari Galli e alla storica dell'arte Claudia Collina, aggiungendo alle loro nutrite risposte l'intervento indispensabile di Carla Di Francesco, direttrice generale per i Beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna.


Qual è il suo punto di vista sulle varie forme di intervento grafico sul tessuto urbano: graffiti, writing, murales, wall painting, street art? Quali distinzioni ritiene utili nell'analizzare una questione così complessa?

Matilde Callari Galli - La città, oggi costantemente al centro degli interessi di studiosi, di politici, di amministratori, di associazioni di cittadini, è sempre più un fenomeno ambiguo, che sembra sfuggire a ogni definizione: da un lato è vista come un centro di vita culturale e sociale, come luogo di produzione, come luogo di mercato, di scambio di beni, di progetti, di cambiamenti e di contatti; dall'altro, tuttavia, se ne sottolineano gli aspetti pericolosi e perversi, inevitabilmente collegati con il tumultuoso e disordinato sviluppo di questi centri, che divengono uno scenario attraente ma colmo di pericoli, in cui le forme della vita tradizionale sono scomparse e il tradizionale controllo sociale della comunità e del gruppo familiare perde, nell'anonimato urbano, funzioni e potere.

Va riconosciuto che gli aggregati urbani esercitano impatti profondi sulle relazioni che regolano i rapporti tra gli uomini e le donne che li costituiscono e li attraversano: le città sono entità culturali dotate di alta dinamicità e offrono una grande quantità di occasioni per cambiare modelli di vita, situazioni economiche e familiari; allo stesso tempo, proprio la complessità degli intrecci e degli scambi, dei prestiti e delle relazioni, può produrre un profondo cambiamento nella qualità di vita di intere aree, può impedire a intere porzioni di abitanti - gruppi sessuali, generazionali, etnici, religiosi - di godere della ricchezza di opportunità che concede ad altri. Tuttavia, accettare l'analisi delle dinamiche urbane solo ed esclusivamente nei termini negativi di un progressivo degrado di forme preesistenti, giudicate positivamente, è un errore in cui è facile incorrere ma a cui dobbiamo sottrarci per una serie di ragioni che voglio succintamente accennare.

Le relazioni sociali che si stabilivano nel passato all'interno del vivere cittadino contenevano difficoltà e disarmonie profonde, prevaricazioni di un gruppo sull'altro comportavano esclusioni di segno diverso dalle attuali ma non per questo meno ingiuste e dolorose. Usare indiscriminatamente la categoria di "degrado" o di "deterioramento" ci impedisce di analizzare in termini fattuali la realtà del presente: ci impedisce, soprattutto, di individuare il significato di azioni e di comportamenti, di cogliere nella loro giusta luce nuove forme di aggregazione, di dare ascolto alle possibilità di partecipazione alla vita comune che i gruppi urbani continuano a esprimere.

A voler adottare questo orientamento dobbiamo riconoscere che i diversi gruppi, nei diversi tempi, hanno scritto nella città la loro storia, e continuano a scriverla. Che al modo in cui la occupano, oggi come ieri, affidano i loro bisogni e i loro desideri. E che nelle sue strade, sui suoi muri, indicano i segni del loro potere e della loro sofferenza: se vogliamo esercitare un'attività conoscitiva che riesca a entrare nella realtà sociale e nei conflitti culturali, è da questa analisi che dobbiamo partire, ponendo i luoghi, gli spazi cittadini al centro del nostro interesse, anche dal punto di vista emotivo.1

Claudia Collina - "È il contesto a semantizzare l'opera. O meglio, sono le relazioni tra l'opera e il suo contesto a creare nuovi circuiti di energia semantica". Con queste parole la voce critica di Francesca Alinovi, intelligente e premonitrice, chiosava Arte di frontiera, scritto per "Flash Art" nel 1982, sostenendo che il graffitismo, sviluppatosi circa trent'anni fa a New York, sarebbe diventato "lo slang del Duemila"; un linguaggio che oggi, come la moda casual, trascende ogni confine. È difficile sottrarsi, per me, ai suoi pensieri, sia per stima, sia per mia cultura di formazione. Le sue intuizioni si sono dimostrate esatte al di là di ogni immaginazione, tanto che oggi il graffitismo è diviso in diverse branche e maniere in tutto il mondo; e intendo anche i manierismi che hanno seguito il postgraffitismo, il writing e la street art, e che sempre più spesso, sull'onda del gesto emulativo, prendono la deriva di veri e propri scarabocchi vandalistici.

Penso che, come allora Alinovi selezionava in Haring, Ladda, Aheran, Rifka, Scharf e Rammellzee le eccellenze artistiche e qualitative fondate sull'"ibridazione dei linguaggi e delle culture" nella Grande Mela, si possa oggi fare altrettanto. Tenendo conto, appunto, del contesto e delle opere, affinché in un momento culturale come l'attuale, nutrito di pastiches e spettacolarità, si sprigionino circuiti d'energia artistica globali, originali e di qualità: come, per esempio, le creazioni di Blu (www.blublu.org), Cuoghi Corsello (cuoghicorsello.blogspot.com) ed Ericailcane a Bologna (www.ericailcane.org), di Microbo e Bo130 a Milano, di Banksy a Londra, di Sixeart a Barcellona, di Nina a San Paolo, di Omli ad Aalst, di Che Jen a New York, di Hera a Francoforte e di Koralie a Montpellier.

Il graffiti writing, la street art e altri stili affini sono fenomeni antropologicamente e sociologicamente subculturali che, nonostante gli aspetti formali e tecnici tipici della decorazione, mantengono inalterate le radici e le valenze provocatorie che si contestualizzano assai bene nel tessuto più periferico e suburbano delle città, piuttosto che in quello dei centri storici, ove questo linguaggio stride fortemente con il contesto di relazione, che non "semantizza" più le opere, anche le più eccellenti, ma ne palesa solo la sintassi svuotata, che deturpa le opere d'arte architettoniche a loro supporto, creando pastiches disarmonici e dissonanti a livello estetico, emozionale e culturale; anche se l'intento di chi incide graficamente sui monumenti della città è proprio sotteso dalla volontaria dissacrazione della cultura passata e presente, socialmente condivisa, per l'affermazione della propria, nutrita di un autoreferenziale potenziamento dell'identità, che nessun decreto anti-graffito ha sinora fermato.

Inoltre, il fenomeno di riviviscenza e sviluppo di writing, graffiti e street art si inizia a intersecare, più o meno volutamente, con quello assai più avanguardistico e complesso dell'attuale public art, che ha uno specifico intento di relazione con il territorio, l'urbanistica, l'architettura, la politica sociale, l'iniziativa privata, l'amministrazione pubblica e il pubblico. Entrambi i fenomeni sembrano confluire in quel processo di "estetizzazione della vita quotidiana" descritto da Yves Michaud, in cui il fatto e il segno estetico sono insiti ovunque.


Quali indicazioni, proposte o critiche vorrebbe rivolgere ai protagonisti attivi e passivi di questi fenomeni, che da tempo si confrontano sulla scena della città?

Matilde Callari Galli - Questa ansia di "segnare" un luogo, antica forse come l'uomo, dalla metà del XX secolo invade in modo tutto particolare le città: gli è stato dato il nome di writing ed è certamente la manifestazione più diffusa e vistosa di una delle sottoculture più complesse del nostro tempo. Nasce alla fine degli anni Sessanta a Philadelphia e a New York, e all'inizio i muri sono invasi da firme: firme di sconosciuti adolescenti provenienti dalle classi operaie e dai ghetti delle metropoli, che deformavano i loro nomi comprimendoli, aggiungendo numeri, geroglifici, svolazzi. Per renderlo, in tal modo, un linguaggio segreto, noto solo agli iniziati.

Le scorribande notturne, il desiderio di "mettere il loro nome in giro" organizzavano le relazioni tra gruppi diversi per origine etnica e per quartiere di provenienza, ma simili nel sentirsi estranei al territorio, anonimo e indifferente quando non degradato. Dai pennarelli dei primi anni passano ben presto alle vernici spray, aumentando la dimensione, i colori e i contenuti del loro "scrivere". Si spostano dai muri ai treni. Il writing diventerà poi graffiti art, entrerà nelle gallerie d'arte, nel cinema, nella pubblicità, si collegherà alla cultura hip hop e invaderà le città di tutti i continenti.

Non è mio compito qualificare il valore estetico di questi fenomeni, quanto piuttosto cercare di capire cosa li unisca e li caratterizzi, quali significati analoghi possano essere loro attribuiti nei diversi contesti e nelle diverse forme; soprattutto, per me, è importante sfuggire alla tentazione di demonizzarli, limitandosi a qualificare la loro azione come un vandalismo globale, succube della moda. Al di là dell'inutilità di un giudizio di valore così generalizzante, che non rende comprensibili i fenomeni, in questo modo non si "parla" né ai cittadini sdegnati per le brutture sui loro muri, né ai giovani imbrattatori, e i due fronti si allontanano.

Dal mio punto di vista, i writers, i graffitari, gli autori della street art mettono in atto un tentativo - spesso maldestro, a volte non riuscito - di affermare la propria individualità rispetto all'indifferenza che la città manifesta nei confronti dei loro vissuti: vogliono legare le proprie emozioni - colorate, macabre, caotiche, esplosive - a un luogo. E a volte il luogo preferito è un luogo che con i suoi divieti li vuole tenere lontani, che con la sua storia li intimidisce. L'estraneità che vivono di fronte a palazzi e monumenti che con la propria magnificenza sembrano umiliare la loro quotidianità, l'indifferenza con cui sono accolti i loro progetti di vita, la spersonalizzazione causata dallo spazio urbano delle nostre periferie, li spinge a voler manifestare la loro presenza, a volersi distinguere da coloro che non scrivono, diventando un'élite in quella cultura giovanile a cui aspirano di appartenere e che si collega a tutte le espressioni underground, dalla musica alla danza, dalla moda "stracciona" e tenebrosa all'amore per le deformazioni corporee, piercing o tatuaggi che siano.

Allora il compito degli amministratori, dei programmatori delle attività culturali, dei pianificatori del territorio dovrebbe essere quello di dialogare con queste manifestazioni di disagio, che tuttavia sono intrise anche del desiderio di trovare modi e luoghi per esprimere le proprie individualità tramite linguaggi comuni. Sarebbe importante avere programmi che mettano a disposizione degli allievi delle nostre scuole competenze artistiche, che sappiano indirizzare e guidare la loro ansia di partecipare a un movimento estetico che, attingendo a piene mani dalla cultura mediatica e al tempo stesso alimentandola, appare loro familiare, parla alla loro emotività. E si potrebbe immaginare di trasformare le loro creazioni in performance videoregistrate, che potrebbero tranquillamente riempire i muri delle nostre città.

Soprattutto sarebbe importante dare alle giovani generazioni esempi di una città amata e curata, non imbruttita da cartelloni pubblicitari, da insegne di vario genere e di vario stile, con i marciapiedi sconnessi e invasi da caffè e ristoranti, dalle esposizioni delle merci dei negozi e dei venditori ambulanti, con le strade del centro storico impraticabili per il flusso e il parcheggio delle automobili. In una città resa armonica dalla cura dei suoi abitanti, il dialogo con le nuove generazioni e tra le nuove generazioni potrebbe essere più facile, le contrapposizioni potrebbero smussarsi se a esse venissero destinati spazi in cui riunirsi, mescolarsi e sperimentare le molte forme di espressione che la cultura della contemporaneità è in grado di esprimere.

Claudia Collina - Innanzi a tutto un desiderio: che tutti i cittadini di Bologna, ognuno nel suo ruolo più o meno attivo, evitino un "uso improprio della città", per usare le parole del presidente di "Italia Nostra" Daniele Benati, e compiano azioni per la sua salvaguardia e il suo sviluppo civile e culturale. Purtroppo i tempi italiani non sono quelli di altri paesi del mondo, per cui si assiste all'immediata cancellazione del graffito fatto nottetempo sul muro di cemento dell'Art Institute di Chicago di Renzo Piano, ma resiste lo scarabocchio vandalico sul Museo dell'Ara Pacis di Richard Meier a Roma, nonostante le segnalazioni e il dibattito promosso da Alberto Ronchey sin dal 2005. Anche se pure le soluzioni promosse all'estero sono state sinora episodiche o eccessive, come gli elicotteri notturni a raggi infrarossi per proteggere i monumenti di Berlino dagli spray.

Proporrei più halls of fame dedicate alla creatività urbana al di fuori del centro storico, per un rapporto partecipato tra artisti e cittadini con lo spazio pubblico, come Milena Naldi aveva iniziato a proporre per il Comune di Bologna, come si sta facendo per la stazione di Calderara di Reno e un suo palazzo con gli esponenti dell'aerosol art Dado e Stefy, e come si fa da tempo, su indicazione e studio di fattibilità di Renato Barilli, nella zona di Toscanella di Dozza, nell'ambito della Biennale del muro dipinto. Guarderei anche a Trieste, dove dal 2007 esiste il progetto "Legal Art", che consente agli artisti di arte urbana di esprimersi liberamente, ma legalmente e con qualità. Infine cercherei ulteriori formule per avvicinare il pubblico alle espressioni migliori della creatività urbana, distinguendola dallo scarabocchio vandalico.

Nel libro I musei come luoghi di dialogo interculturale: esperienze dall'Europa si riporta l'esperienza realizzata da un museo di storia locale ungherese: un progetto di ricerca strutturato sul confronto continuo tra artisti, curatore, amministratori, studiosi e destinatari, sfociato nell'originale esposizione "Nei sotterranei di Angyalföld. Graffiti: perché e perché no?", corredata da conferenze degli artisti stessi.2 Questo approccio partecipato al fenomeno, attraverso il dialogo pluraristico e la conoscenza dei graffitisti di qualità attraverso il museo, ha dato un nuovo corso agli obiettivi di tutti: museo, amministratori e artisti. In Italia, nel 2009, è stato avviato un progetto analogo, "Do the Writing", ideato da INWARD - Osservatorio sulla cultura del writing virtuoso attraverso le associazioni per la creatività urbana di tutta Italia, che ha siglato a Cesena l'intesa con quelle dell'Emilia-Romagna (www.inward.it).

Il linguaggio della pittura urbana, così velocemente comunicativo, potrebbe essere anche una risorsa con finalità civili, se vengono condivise: come è accaduto a Roma, dove, con il patrocinio del Ministero della gioventù, sono stati realizzati graffiti a Trinità dei Monti per ricordare la caduta del muro di Berlino. Poi occorrerebbe tanta educazione all'arte e alla sua storia, sin dalla più tenera età scolare, perché non si verifichino casi come quello di Ravenna: un quindicenne processato dal Tribunale dei minori per aver dichiarato il suo amore alla ragazza dodicenne con una scritta con vernice aerosol verde... sul muro della Basilica di San Vitale, la più importante architettura bizantina d'Occidente. Infine, si potrebbe guardare con fiducia all'evoluzione dei graffiti temporanei di luce al neon e al laser, realizzati nelle città dai francesi Brusk e Julien Breton, o da Graffiti Research Lab.


Come interpreta la scelta di pubblicare immagini urbane di muri "segnati" nelle pagine di una rivista come "IBC", che tra gli altri temi tratta di territorio e di patrimonio culturale?

Matilde Callari Galli - È un'azione, a mio parere, molto meritoria illustrare la complessità di questo fenomeno in una rivista che ha come temi principali il patrimonio culturale e il territorio in cui esso è prodotto. Innanzitutto il writing, i graffiti, tutti i prodotti della street art, forse non sono arte ma sicuramente fanno parte del nostro territorio. Questi "pittori della notte", che, pur seguendo spesso tendenze nate in metropoli lontane, sanno trasformarle, creando nuovi linguaggi e nuovi stili, portano nelle nostre strade gli umori sotterranei del tessuto urbano, dialogano con i media, forniscono agli abitanti dei loro e dei nostri quartieri un paesaggio globale che dai fumetti, dai video, dalle fanzine, tracima sui muri. E a difesa di questa iniziativa vorrei ricordare che, a Milano, la Triennale Bovisa, destinata a divenire un polo dell'arte contemporanea, è circondata da una "galleria d'arte a cielo aperto", costituita dai graffiti realizzati sugli spogli muri di cemento dai writers milanesi: secondo la critica, "uno dei più interessanti e meglio riusciti progetti di arredo urbano".

Claudia Collina - La scelta è costruttiva, perché proprio una rivista specializzata nella conservazione e nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale può porre in giusta luce la complessità di sfumature che compongono questo fenomeno, e magari offrire degli indirizzi di discrimine per un tentativo di soluzione dei conflitti. Fermo restando che la qualità dell'opera riesce sempre a farsi strada, e più palesemente nella pittura urbana che nell'arte concettuale e oggettuale, come si è visto per Blu, l'artista invitato a realizzare una hall of fame alla Tate Modern Gallery di Londra, solo per fare un esempio nostrano. Non possono certo essere considerati in questi termini, invece, i 1.713 "graffiti-scarabocchi" censiti nel 2008 dagli studenti di Sociologia della devianza dell'Università di Bologna nei quartieri San Vitale e Reno della nostra città. Concludo con una domanda di conservazione preventiva: perché non usare la tempera lavabile al quarzo, dopo la loro pulitura?


Graffiti, o meglio vandalismo grafico: riflessioni di metodo per Bologna

Carla Di Francesco

Il fenomeno del graffitismo - ma meglio si definisce come vandalismo grafico - si abbatte oggi sulla città contemporanea mostrandone una intrinseca fragilità sociale, che si manifesta nello sfregio visivo eseguito da gruppi di writers, uniti o contrapposti, e da singoli soggetti, che compongono una galassia di disagio non sempre interpretabile con chiarezza. Siamo consapevoli che ogni scritta, disegno o tag costituisce il fenomeno visibile di un tema sociale, che per la sua natura deve essere affrontato con una strategia educativa di lunga prospettiva, in grado di ristabilire una corretta scala di valori per i giovani e il rispetto del bene comune da parte di ciascun cittadino.

Pur conoscendo la complessità del tema e le numerose implicazioni di diverso ordine che lo compongono, dobbiamo però affrontare anche il più contingente e specifico momento della rimozione dei vandalismi grafici dalle superfici architettoniche, così come quotidianamente ci si propone. Il graffitismo, infatti, preoccupa in particolare quando si manifesta, come a Bologna, nelle aree ad alta densità storica, simbolica ed evocativa del centro storico, dove, per taluni ambiti, è ormai diventato l'elemento principale della percezione, annullando ogni altra presenza: sembrano non esistere più le superfici murarie, le modanature, gli ordini architettonici, le cornici delle finestre, i portali e le colonne dei portici, cancellati dagli imbrattamenti di spray, vernici e pennarelli, spesso tra loro sovrapposti in più strati; l'effetto è disorientante.

Per di più questi imbrattamenti si innestano su ulteriori forme di involgarimento di strade, vie, piazze e portici, con cartelli, manifesti strappati, superfici sconnesse, sporche e maltrattate da tinteggi errati, affreschi negletti, insegne, pali, fili e impiantistica, e tanti incongrui segni di una modernità che si inserisce senza alcuna programmazione e senza alcuna gentilezza nel fragile contesto storicizzato. L'osservazione disincantata di una strada del centro bolognese fa venire il dubbio se sia davvero il graffitismo, o piuttosto la pletora di sovrapposti e volgari arredi, insieme alle tante trascuratezze, il vero fenomeno da combattere; ma appare evidente che l'uno è strettamente connesso all'altro, in un decadimento assoluto di quel concetto di decoro che fino alle soglie dei nostri tempi si era conservato attuale e vivo attraverso la pratica della periodica manutenzione degli spazi urbani cittadini, pubblici e privati; e che, purtroppo, è oggi smarrito.

"Se si intende, allora, salvare una città, non ci vogliono esitazioni: occorre rispettare integralmente l'aspetto esteriore delle strade così come è arrivato a noi; qualsiasi casuccia fa parte di quel tessuto connettivo, irriproducibile e insostituibile proprio come in un organismo umano, perché, dove anche non c'è grande architettura, quel che è venuto su fra il Trecento e l'Ottocento, non si straniava dalla civiltà corrente, non innovava anche se semplificava o impoveriva, e in compenso conservava il tono della città".3 Così Cesare Brandi a proposito di Bologna nel 1956, in un momento in cui la frenesia della ricostruzione postbellica colpiva anche i centri antichi. Brandi si è fatto voce autorevole del dibattito sul senso e sul destino dei centri storici, reclamando per questa importante parte del patrimonio italiano, più che un'astratta integrale tutela, la comprensione e il rispetto delle caratteristiche fondamentali, in quanto generate dalla storia e dalla vita politica, sociale, religiosa della comunità nei secoli.

Anche il piccolo edificio, la casa di abitazione modesta è parte sostanziale di una città, contribuisce a formare quel tessuto che le conferisce il tono, ovvero l'atmosfera; questa affermazione, ai tempi di Brandi, era un monito contro demolizioni e manomissioni, contro sventramenti che sconvolgevano le antiche e stratificate strutture urbane d'Italia, anche a Bologna. Oggi non può non tornarci alla mente proprio quando si parla di graffiti, per una riflessione ulteriore e più profonda: un centro storico, come ogni architettura, è fatto di volumi edilizi, ma a loro volta essi sono realizzati fisicamente con materiali e colore, che sono parte determinante di quel tono di cui parla Brandi. Rispettare integralmente l'aspetto esteriore delle strade, così come è arrivato a noi, significa valutare correttamente anche la qualità cromatica delle superfici dell'architettura, aspetto tutt'altro che secondario nella percezione della città; e se i tempi in cui Brandi scriveva non erano maturi in questo senso, oggi ci sono d'aiuto esperienze di restauri e studi compiuti soprattutto negli ultimi decenni, incentrati sulla materia e sulle tecniche di cantiere, insieme all'apporto delle scienze applicate ai materiali della tradizione.

Da questo punto di vista, dunque, abbiamo affrontato l'eliminazione dei segni del vandalismo grafico, proponendoci di testare e divulgare corretti strumenti di intervento, rapportati alle specifiche problematiche proposte dalla situazione bolognese. Nell'ambito del rapporto di collaborazione tra le strutture periferiche del Ministero per i beni e le attività culturali e il Comune di Bologna,4 la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna si è assunta in primo luogo il compito di guidare una sperimentazione finalizzata a emanare delle linee guida per il trattamento delle superfici di edifici situati nel contesto storico; ha quindi iniziato un'intensa azione divulgativa presso diversi strati della società perché il tema sia affrontato secondo il principio del rispetto delle superfici storiche.

Sono state ricercate soluzioni differenti da quella comunemente e uniformemente adottata in presenza di vandalismi grafici, che consiste nel coprire la scritta con uno strato di vernice per poi ripetere l'operazione quando ne compaiono di nuovi, e così via, finché i muri si riducono a un insieme di strati di "toppe": così l'architettura scompare, sostituita da superfici "arlecchino", mentre il ritorno alle stesure di colori originali diventa sempre più difficile. Al contrario, anche un piccolo e parziale intervento antigraffiti non è un'operazione "semplice", non bastano un barattolo di vernice, un pennello e un operaio: occorrono qualità tecnica, metodologie appropriate e capacità di interpretazione dei valori architettonici.

Il lavoro, svolto prima su un campione ristretto di edifici, poi esteso ad alcune strade, ha applicato per la prima volta alla scala urbana, estensiva, principi metodologici e tecniche messi a punto e sperimentati per le opere d'arte e per le superfici decorate; ma li ha adattati all'infinita varietà dei materiali costitutivi della tradizione costruttiva bolognese (intonaci in malta di calce aerea, o idraulica, o bastarda, o cementizia, e diverse combinazioni di esse; arenarie; pietre calcaree; sagramature di fattura diversificata; mattoni a vista; cortine laterizie) e alle numerose casistiche delle sostanze di imbrattamento: prodotti spray, vernici, pennarelli (i più insidiosi per la loro forte penetrabilità). Per ciascun imbrattante è necessario applicare un trattamento specifico: "adattarli" significa trovare, sperimentalmente, la giusta mediazione tra materiali costitutivi, imbrattamenti, e metodi di pulitura. Il tutto tenendo presenti anche gli ulteriori requisiti necessari affinché il metodo possa considerarsi effettivamente applicabile a larga scala: semplicità dell'intervento, facilità di ripetizione su superfici più volte colpite da vandalismo, riduzione dei costi.

Le linee-guida scaturite dalla sperimentazione sul campo contengono le indicazioni dirette agli operatori: come orientarsi per riconoscere il vandalismo; come operare sulle superfici sane e su quelle che invece presentano una o più forme di degrado precedente al fatto vandalico; in che modo e con quali materiali effettuare un intervento di protezione successivo alla rimozione, necessario per rimediare con facilità a un nuovo imbrattamento. È inteso, ed enunciato fin dall'inizio, che, per quanto semplice, l'intervento si presenta sempre come specialistico, e quindi deve essere eseguito con la presenza di personale qualificato.

Al volume e ai siti della Direzione regionale e del Comune di Bologna si rimanda per i dettagli delle indicazioni e per gli approfondimenti di metodo.5 È utile qui ribadire che per la rimozione del deturpamento è necessario avere una conoscenza della materia su cui si lavora, delle sostanze con cui è fatto il graffito, dei prodotti in commercio e delle loro diverse categorie di appartenenza, delle strumentazioni che conviene utilizzare e di quelle che invece non sono efficaci: un patrimonio di sapere che non è di tutti, ma appartiene al restauratore di beni culturali, un operatore specializzato nell'intervento sulle superfici dell'architettura, che, anche se non esegue direttamente l'intervento, deve almeno essere presente per indirizzarlo. Giova ricordare che la sperimentazione è stata portata a termine proprio da restauratori e che il costo medio di intervento è equivalente a quello di una manutenzione.

I principi delle linee guida sono oggi applicati nelle aree significative del centro di Bologna individuate nel protocollo con il Comune. Ma il successo di questo lavoro è nella diffusione capillare, che sola potrà evitare quegli interventi "toppa" che negano qualità alle superfici architettoniche. Proprio a questo scopo la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna ha curato la pubblicazione di Giek e Salvatore: salviamo Bologna dagli imbrattamenti, un fumetto distribuito nelle scuole ma rivolto a tutte le età.

Si segnala, infine, in tema con l'anniversario dei 150 anni, che con un finanziamento inserito nei fondi ordinari del Ministero per i beni e le attività culturali sono stati rimossi i graffiti da cinque monumenti simbolo dell'Unità d'Italia (Giuseppe Garibaldi, Vittorio Emanuele II, il Popolano, Marco Minghetti, Ugo Bassi). Inoltre per realizzare cantieri-scuola e corsi di formazione teorica e operativa sono state attivate collaborazioni con la Provincia di Bologna, l'Ufficio scolastico regionale per l'Emilia-Romagna, l'Istituto per l'istruzione professionale dei lavoratori edili, il Tribunale di sorveglianza e la Casa circondariale di Bologna.

Un insieme di azioni che, agendo su più livelli della compagine sociale, propongono di ricostituire una coscienza civile, e di avvicinare a un sapere tecnico non complesso ma specialistico, necessario per affrontare con i giusti strumenti culturali questo tema specifico; magari pensando, più in generale, che la formazione di sensibilità e di abilità tecniche può portare al ripristino delle semplici e secolari abitudini manutentive di prospetti e portici che le passate generazioni ci avevano trasmesso.


Note

(1) Il collegamento tra vissuti e luoghi della vita quotidiana è stato esplorato da decenni dalle scienze sociali e umane, trascurando però le relazioni emotive che si stabiliscono giorno dopo giorno tra gli individui e i luoghi della loro vita: un progetto bolognese tenta di colmare questo vuoto mettendo a disposizione di tutti un geoblog: www.percorsi-emotivi.com.

(2) I musei come luoghi di dialogo interculturale: esperienze dall'Europa, a cura di S. Bodo, K. Gibbs, M. Sani, [senza luogo di edizione], Partner di "MAP for ID", 2009.

(3) Cesare Brandi: Bologna 1956, in Il patrimonio insidiato. Scritti sulla tutela del paesaggio e dell'arte, a cura di M. Capati, Editori Riuniti, Roma, 2001.

(4) Protocollo d'intesa del 6 ottobre 2009. L'accordo, che si muove in ambito esclusivamente tecnico, è finalizzato a far sì che gli interventi di eliminazione del vandalismo grafico dal centro di Bologna possiedano dei requisiti minimi di correttezza operativa e standard di qualità uniformi, ovunque eseguiti: su tutti i prospetti degli edifici rivolti verso la pubblica via, quali, chiese, palazzi, case, che siano classificati di interesse monumentale (e quindi sottoposti a speciale regime autorizzatorio, ai sensi del Decreto legislativo 42-2004, "Codice Urbani") oppure no; l'intesa è stata confermata e ampliata con il protocollo del 20 settembre 2010.

(5) Contro il vandalismo grafico. Il centro storico di Bologna: sperimentazione e linee guida, pubblicato nel giugno 2010 dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia-Romagna: www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/221/linee-guida. Una sintesi e ulteriori considerazioni in: Ricerche per lo studio e la valorizzazione dei beni culturali. Sperimentazioni in Emilia-Romagna, atti del convegno, Ferrara 26 marzo 2010, a cura di P. Monari, Argelato (Bologna), Minerva Edizioni, 2010, pp. 127-133.

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