Rivista "IBC" IX, 2001, 1
musei e beni culturali, biblioteche e archivi / convegni e seminari, interventi
Una memoria comune
Le motivazioni di questo incontro sono più ampie e profonde di quanto possa a prima vista far pensare il tema della giornata: gli archivi, le voci d'autorità e la loro funzione nei sistemi descrittivi per i beni archivistici, librari e storicoartistici. Tali motivazioni vanno cercate in quella sensazione oggi sempre più diffusa che sia necessario mettere in discussione separatezze disciplinari che hanno fino adesso caratterizzato le diverse professionalità di chi opera, con specifiche competenze, nei diversi ambiti del mondo dei beni culturali.
Sempre più archivisti, bibliotecari, storici dell'arte, operatori in genere nel mondo dei beni culturali si rendono conto di quanto i confini fra saperi ed attività professionali che un tempo sembravano netti e definitivi siano diventati oggi permeabili ed incerti. Allo stesso tempo viene emergendo una insoddisfazione crescente nei confronti di chiusure settoriali a cui fa riscontro l'esigenza di mettere a confronto i differenti approcci e le diverse metodologie di lavoro, di verificare possibili elementi di incontro e di scambio fra discipline che si trovano ad operare su territori contigui e fra le quali tuttavia scarso è stato, fino al recente passato, il dialogo e il confronto.
Una possibile chiave di lettura di questo fenomeno sta negli imperativi dettati dalle tumultuose trasformazioni tecnologiche degli ultimi decenni e dall'avvento dell'informatica e della telematica, che hanno avuto un impatto profondo in ambiti professionali come i nostri, nei quali largo spazio rivestono da sempre la produzione e la comunicazione di descrizioni o rappresentazioni - tradizionalmente assai differenziate: schede catalografiche, strumenti di ricerca archivistici, descrizioni inventariali di opere ed oggetti d'arte, ecc. - di oggetti od entità delle quali siamo non solo i custodi, ma anche gli studiosi, i divulgatori, in una parola i mediatori nei confronti degli utenti e di tutta la società.
All'interno dell'ambiente elettronico e, a maggior ragione, nella spazio telematico, dove in futuro la stessa fisicità delle entità materiali sembra destinata a sfumare nell'immaterialità degli oggetti virtuali, già oggi le differenze specifiche che hanno caratterizzato gli strumenti descrittivi di libri, archivi e opere d'arte sembrano attenuarsi nella comune riduzione a produzione e comunicazione di pura, semplice e indifferenziata informazione. Una volta ridotte ad "informazione" le descrizioni sembrano disponibili ad essere manipolate e rese omogenee attraverso tecnologie informatiche che, minimizzando il rumore, contrastando il silenzio ed ottimizzando l'efficienza dei risultati delle ricerche, ne dovrebbero rendere possibile un recupero comune, indipendente dai caratteri fisici degli oggetti trattati e dalla natura delle diverse metodologie descrittive. Quella che emerge da questa prospettiva è una motivazione dell'esigenza di incontro e di lavoro comune, che appare totalmente segnata dagli imperativi della tecnologia e della logica - elementare - delle macchine.
Ma c'è una seconda chiave di lettura che ricerca invece le ragioni dell'attenuazione delle rigide barriere disciplinari in motivazioni culturali più profonde: ad esempio nei caratteri comuni dei beni culturali che sono oggetto delle cure di archivisti, bibliotecari e storici dell'arte; nel loro essere prodotti di una vicenda storica unitaria. Archivi, raccolte bibliografiche, collezioni artistiche che oggi si trovano ad essere conservate in istituzioni separate per la prevalenza, nel corso dei secoli più vicini a noi, di modalità di trattamento e di conservazione che fanno riferimento ai caratteri materiali più che alle modalità originarie di aggregazione e trasmissione, hanno infatti spesso avuto origine all'interno dei medesimi contesti. La sottolineatura di questi aspetti fonda proposte di collaborazione e di contaminazione metodologica sulla prospettiva di una valorizzazione unitaria dei beni culturali quali "commutatori di storia", cioè strumenti che portano il passato dentro il presente, rendono possibile costruire un rapporto fra le generazioni presenti e quelle passate, contribuiscono ad elaborare una "memoria culturale" (per riprendere il titolo del bel libro di Assmann), quella memoria complessa e a molte voci di cui ha bisogno la società contemporanea. Una prospettiva del genere punta alla ricomposizione oppure, alternativamente, all'intreccio dei contesti, alla restituzione delle stratificazioni storiche, che proprio un uso intelligente delle tecnologie informatiche e di Internet rendono oggi possibile.
I due punti di vista (quello che insiste su un uso efficiente delle tecnologie informatiche e telematiche e quello che sottolinea come tale uso debba essere comunque fondato su progetti culturali solidi e di ampio respiro) non sono necessariamente in conflitto fra loro. Al contrario: all'interno del mondo dei beni culturali soltanto la capacità di tenere uniti i due aspetti, come ha ben sottolineato in più occasioni Salvatore Settis, può portare a risultati non effimeri, ma capaci di durare nel tempo. È questo un punto su cui si tratta di insistere con forza di fronte a quanto accade oggi, quando l'utilizzo delle tecnologie diventa spesso fine a se stesso, e l'obbiettivo di "buttare" a tutti i costi "qualcosa su Internet", per dimostrare semplicemente di esserci, prevale talvolta sulla qualità dei contenuti. Il rapporto fra tecnologia e qualità dei contenuti dovrebbe invece essere sempre posto al centro del nostro lavoro. Infatti è indubbiamente vero che all'interno del mondo digitale (e nella rete in particolare) ogni conoscenza è ridotta necessariamente ad "informazione" e deve fare i conti con i problemi specifici delle modalità di produzione, di comunicazione, di organizzazione, di recupero efficiente, nonché di conservazione e di trasmissione nel tempo che sono imposti dalla logica della tecnologia utilizzata. Non è tuttavia altrettanto vero il contrario, cioè che "informazione" vuol necessariamente dire conoscenza e quindi arricchimento culturale, possibilità di produzione di nuove conoscenze. Così come non è vero che a maggior quantità d'informazione (sia nel senso della scienza dell'informazione, che in quello dell'ordinario senso comune) corrisponda necessariamente maggior quantità di conoscenza. È qui, ovviamente, che gli orizzonti delle nuove tecnologie e la rete in particolare pongono la sfida maggiore per professioni come le nostre, che da sempre hanno prodotto informazioni ad alto contenuto culturale, hanno "mediato" l'accesso al sapere accumulato nel passato ed hanno così reso possibile elaborare e diffondere nuove conoscenze, quando non lo hanno fatto esse stesse all'interno dei propri specifici campi.
Riproporre all'interno dei nuovi media il nostro ruolo di produttori e mediatori di conoscenza e di cultura è, nella sostanza, il problema che abbiamo oggi di fronte. Il che significa essere in grado di farsi carico dei linguaggi e delle specifiche modalità di comunicazione imposte dalle nuove tecnologie, e nello stesso tempo adeguare l'offerta di contenuti alle potenzialità implicite in esse. Ed allora una positiva risposta a queste sfide può davvero essere costituita dalla ricerca di terreni di incontro, dalla costruzione di strumenti che possano connettere universi informativi di provenienza diversa, finora posti in relazione e fatti interagire reciprocamente solo attraverso percorsi di ricerca e di creazione intellettuale totalmente esterni alle pratiche descrittive tradizionali.
Quale miglior terreno di quello del controllo dell'autorità può quindi verificare la percorribilità di questa ipotesi e porre le basi di una collaborazione costruttiva fra discipline e professionalità come le nostre? Nelle problematiche del controllo di autorità si condensano infatti molti dei punti che sono venuto rapidamente delineando.
L'esigenza, in primo luogo, di predisporre strumenti che permettano un'efficiente gestione e recupero dell'informazione all'interno dei sistemi di catalogazione e di descrizione. La possibilità, in secondo luogo, di fare di questi strumenti un ponte fra universi informativi contigui (biblioteche, archivi, musei, raccolte in genere). L'esigenza infine di qualificare ed arricchire di contenuti conoscitivi i nostri sistemi informativi, attraverso quella ricostruzione e intreccio di contesti di cui parlavo prima.
Quest'ultimo aspetto è indubbiamente presente in modo forte nell'uso che del controllo di autorità ci si propone di fare in ambito archivistico, dove agli authority file dei soggetti produttori non dovrebbe essere affidata solo la gestione delle forme del nome prescelte e delle informazioni necessarie a giustificarne l'adozione e a segnalare le forme non adottate, ma anche dati di carattere più complesso, ossia quelle quelle notizie "di contesto" che all'interno della descrizione archivistica danno conto del soggetto produttore della documentazione: della sua origine, struttura, organizzazione, delle sue funzioni, della sua storia ed evoluzione (nel caso si tratti di un ente); della sua biografia, attività pubblica o privata, della sua produzione intellettuale (nel caso si tratti di una persona).
Ovviamente, se il terreno del controllo di autorità appare fra i più pertinenti e proficui per avviare momenti di confronto e prospettive di lavoro unitario, una tale prospettiva è tutta da costruire ed è una prospettiva che sconta comunque punti di partenza, approcci al problema e punti di vista che conservano una loro specificità all'interno di ciascun ambito disciplinare e settore di lavoro.
Per quanto riguarda noi archivisti, in particolare, l'interesse per il controllo d'autorità è tutto sommato recente e risale all'elaborazione da parte di una Commissione ad hoc del Consiglio internazionale degli archivi, alla metà degli anni Novanta, dell'International Standard for Archival Authority Records (Corporate Bodies, Persons, Families), l'ISAAR (CPF), attraverso il quale sono state dettate regole per la creazione di file d'autorità per i soggetti produttori d'archivio. Occorre dire che fin dall'inizio da parte degli archivisti è stata ricercata ed incoraggiata a livello internazionale la collaborazione su questo terreno con i bibliotecari. Non solo un rappresentante dell'International Federation of Library Associations and Institutions (IFLA) è stato invitato alle riunioni del Committee on Descriptive Standards, ma lo stesso comitato ha contribuito al dibattito in seno all'IFLA sugli authority records, ponendo a suo tempo a confronto ISAAR (CPF) e il documento preparatorio dei Mandatory Data Elements for International Shared Resource Authority Control in corso di elaborazione da parte dell'IFLA.
L'esito di questo primo tentativo di collaborazione è rimasto, per il momento, allo stato di proposta, ma ciò non toglie che ulteriori passi possano essere compiuti in futuro, a cominciare dal processo di revisione di ISAAR (CPF), che è stato avviato alla fine del 2000 e al quale sono state invitate a prendere parte, a livello internazionale e nazionale, le organizzazioni dei bibliotecari e di altre professioni che possano essere interessate alla gestione di record di autorità di enti, persone e famiglie.
La mia speranza è che nel corso di questa giornata possano emergere dal nostro dibattito tematiche, terreni, proposte di lavoro che rendano possibile avviare una collaborazione di professioni e discipline fra le quali il confronto reciproco e fruttuoso è stato fino adesso troppo scarso ed episodico.
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