Rivista "IBC" XVIII, 2010, 2

Dossier: Che il viaggio non sia stato inutile - Il Novecento: storie, memorie e luoghi

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Resistenza e arte: per un 'parco' virtuale

Orlando Piraccini
[IBC]

Tre lustri fa, per le celebrazioni del cinquantesimo della Liberazione, rivelammo l'esistenza "diffusa", nella nostra regione, di un'arte di impegno civile, o per così dire militante, che ci piacque allora titolare "premiata Resistenza". Scoprimmo, infatti, che quell'arte era stata largamente prodotta nell'immediato dopoguerra, in occasione di concorsi di pittura ispirati all'epopea resistenziale e alla lotta partigiana.

Furono così ricordati, tra i luoghi e le date: Ferrara, 1955; Bologna, 1956; Marzabotto, 1960 e 1961; Portomaggiore, 1964; Novellara, 1965. E dalle più diverse dimore, dai depositi museali, dalle sedi dell'ANPI (l'Associazione nazionale partigiani d'Italia), venne portato alla diretta conoscenza degli studiosi e del grande pubblico un sorprendente complesso di testimonianze figurative e di composizioni iconografiche. Tutte risalenti, appunto, a quella lontana stagione, così costellata da premi e rassegne d'arte "che" - ha scritto Ezio Raimondi - "vide protagonisti, accomunati da uno stesso pathos di ricerca e di rinnovamento, enti pubblici, associazioni culturali, critici e artisti non solo della terra emiliana, in una prospettiva di lavoro che Guttuso voleva anche di lotta postulando una nuova coscienza morale della realtà".

Da quella "premiata Resistenza" sono filtrati, in effetti, nuovi coni di luce sulla vicenda figurativa italiana del Novecento di mezzo, quando la pittura così generosamente si compromise con la realtà difficile della ricostruzione postbellica; ma anche si sono tratti tanti nuovi stimoli per provare, ancora e sempre, a convertire in un giudizio critico la memoria del secondo Risorgimento.

Va per questo ricordato il momento di "Morire per amore" - la grande mostra allestita nell'ex chiesa di San Mattia, a Bologna, tra il 2003 e il 2004 - con la più antiretorica celebrazione della lotta di liberazione, scandita da memorie pittoriche e plastiche pervenute fino a noi da una generazioni di giovani creativi che operarono, cinquanta-sessanta anni fa, nel segno peculiare di un rinascente umanesimo.

Di Bologna, e del suo fronte delle arti, quei quadri e quelle sculture hanno rievocato e rigenerato una stagione che è stata cruciale per gli andamenti successivi della vicenda figurativa cittadina. Passioni, illusioni ideologiche, contrasti, antagonismi: in quella scenografica e sacrale cornice si sono avute prove autentiche di un ardimentoso sperimentalismo bolognese di avanguardia, capace di coinvolgere anche certi territori della pittura romagnola, nel dilemma dialettico di quel tempo tra realismo e astrattismo.


Ma quale destino prevedere per questa arte così avventurosamente ritrovata, poi giustamente rivalutata in un crescendo sempre più ampio di interessi e di opinioni? Come poter garantire tutela, salvaguardia, visibilità e fruizione a un patrimonio tanto "diffuso" nel territorio regionale, diviso tra molteplici proprietà e pertinenze, quasi interamente privo di un'ordinaria dignità museale? E quale "raccoglitore" assegnare alle più varie memorie che rimandano al copioso capitolo della cosiddetta stagione dei premi di pittura?

Questioni come queste - non lo si può nascondere - sono ancora oggi in parte irrisolte. Non possono dirsi generalmente soddisfacenti, per esempio, ubicazioni e stati conservativi di singoli nuclei, cominciando da quello numericamente più consistente e qualitativamente più interessante, che rimanda alle due edizioni del "Premio Marzabotto" dei primi anni Sessanta. Qui, nella sala consigliare del municipio della città martire, sono riuniti pezzi pregiati di una "premiata Resistenza" che vide in campo un manipolo di giovani promettenti pittori, come i cesenati Giovanni Cappelli, Alberto Sughi, Osvaldo Piraccini, i bolognesi Dino Boschi, Ilario Rossi, Aldo Borgonzoni, oltre a Xavier Bueno, Giuseppe Guerreschi, Giacomo Soffiantino.

Separati da tanti altri che compongono la notevole raccolta di Marzabotto, questi quadri andrebbero accostati a quelli che pochi anni prima avevano vinto a Ferrara e a Bologna, oggi però dispersi un po' qua e un po' là: in certi depositi, come nel ferrarese Museo del Risorgimento per le pitture di Cappelli, di Eugenio Barbieri, o di Giulio Ruffini; al Museo d'arte moderna di Bologna, dove giacciono gli "eccidi" di Ervardo Fioravanti o di Alberto Sughi e, superbo, il bozzetto in gesso di Francesco Coccia per il monumento delle Fosse Ardeatine; passando poi da una residenza comunale (quella di Vigarano Mainarda per l'Ultima lettera di un condannato di Carlo Rambaldi), a un palazzo della Provincia (a Ferrara per il Massacro a Cervarolo di Nello Leonardi), da una sede dell'ANPI a Ferrara (ed ecco, di Piraccini e di Borgonzoni, i partigiani nella salina di Cervia e quelli del basso Ferrarese) al distretto ANPI di Bologna (con i suoi Sughi, Pizzinato, Grazzini, Bellandi, Chessa, Romagnoni, Ilario Rossi: tanto per citare solo alcuni degli artisti più noti presenti nella raccolta e senza trascurare la grande rappresentazione dell'Eccidio dei Fratelli Cervi della pittrice veneta Anna Coccoli).

E così scompaginate risultano anche le serie pittoriche di altri concorsi, da Reggio Emilia a Novellara, da Berra a Portomaggiore, forse di portata organizzativa minore, ma non per questo meno ricchi di memoria.


Sulla carta la percezione è chiara: tutti insieme, questi quadri - quelli della "premiata Resistenza" e quelli che si sono aggregati spontaneamente dal dopoguerra in poi in certi luoghi della memoria resistenziale (come nel caso della Casa Museo della Famiglia Cervi a Gattatico, nel Reggiano) - sembrano potere dare vita e anima al più bel segmento museale che si possa immaginare se se ne volesse davvero dedicare uno all'arte sociale e dell'impegno civile realizzata nel corso del Novecento italiano.

Perché, dunque, non provarci a mettere insieme i "pezzi", a collegare fra loro patrimoni e luoghi, a comporre per l'arte l'intreccio degli stili e delle tendenze, a connettere con la storia i valori iconografici e i significati documentari delle invenzioni figurative? Perché non creare uno spazio entro cui la memoria possa continuare nella sua elaborazione grazie alla capacità evocativa di un'arte scaturita ieri da un originale concetto di Resistenza civile, tutto da rileggere e da rivedere nel segno peculiare e nella luce viva della nostra più stretta attualità?

Davanti a queste "immagini plurime del secondo Risorgimento" potrà forse accadere, come Ezio Raimondi andava auspicando fin dalle prime indagini esplorative, che "ognuno di noi si interroghi su ciò che gli resta nell'animo di quella storia e sul suo senso, vivo e concreto, che si iscriva nel presente come valore condiviso di una solida, operosa entità nazionale". Così, virtuoso nei propositi, virtuale nella forma, un grande "parco" si va immaginando per l'iconografia resistenziale: uno spazio aperto, un territorio dell'arte e della memoria da visitare dentro il sito dell'Istituto regionale per i beni culturali e dunque accessibile al pubblico attraverso il Web.

I luoghi e i fatti, le verità storiche e le rappresentazioni: accanto alle icone ereditate dalla lontana stagione dei premi si potranno vedere grandi cicli pittorici (come gli stupefacenti "quadroni" di Remo Brindisi sulla "storia del fascismo", dipinti attorno al 1960 e oggi conservati nei depositi della Casa Museo del maestro a Lido di Spina) e serie grafiche d'autore (a cominciare dai fogli satirici disegnati e incisi da Tono Zancanaro, incentrati sulla mussoliniana figura del "Gibbo"); e, ancora, veri e propri "manifesti" contro guerra e violenza (come il Morire per amore, capolavoro di Sebastian Matta, all'ANPI di Bologna); fino ai memoriali monumentali creati fin dall'immediato dopoguerra dalla periodica onoranza della memoria resistenziale, insieme alla condanna della barbarie nazifascista.

Si può credere che proprio sulle immagini celebri del partigiano e della partigiana di Luciano Minguzzi nella piazza di Porta Lame a Bologna, risalenti al 1953, o sulle forme dinamicamente neofuturiste messe in opera vent'anni dopo da Elio Morri nel Parco Cervi a Rimini, o sul bianciniano Trionfo della Resistenza nella piazza Gramsci di Alfonsine, anch'esso del 1973, non mancheranno certamente gli spunti per riflettere, anche in vista delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell'Unità italiana. E per ripensare al fenomeno della monumentalistica e della sua ritualità, capitolo di una più ampia religione civile tra passato e presente.

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