Rivista "IBC" XII, 2004, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne

"Morire per amore. Arte e Resistenza a Bologna", Bologna, ex Chiesa di San Mattia, dal 20 dicembre 2003 al 28 febbraio 2004.
Creare per resistere

Anna Maria Aldrovandi Baldi
[giornalista]

A distanza di sessant'anni in molti di noi ha suscitato un'emozione forte imbattersi per le vie di Bologna in manifesti e striscioni rosso sangue, su cui campeggiava la scritta "Morire per amore. Arte e Resistenza a Bologna", la mostra allestita fino al 28 febbraio 2004 dall'ANPI - Associazione nazionale partigiani d'Italia e dal Comune, in collaborazione con l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Per chi a quel tempo c'era, è scattato irrefrenabile l'impulso di vedere e ricordare.

Nell'ex Chiesa di San Mattia la musica, una voce recitante e la riproduzione a grandezza naturale dei due partigiani di Luciano Minguzzi introducono alla mostra. Un salto all'indietro, ed è subito guerra, paura, angoscia: quasi una via crucis il percorso fra le opere esposte, realizzate dagli artisti bolognesi dall'immediato dopoguerra agli anni Sessanta. Oltrepassata l'opera di Minguzzi - due partigiani, un ragazzo e una ragazza che la guerra ha rubato ai campi e all'officina - l'esposizione si snoda contrassegnata da scritti di Don Dossetti, Renata Viganò, Natalia Ginzburg e Italo Calvino. Rappresentanze emblematiche di varie classi sociali, a conferma che gli ideali difesi dalla Resistenza erano sentiti e condivisi dalla gente del popolo, dalla borghesia, dagli intellettuali e anche da preti.

La rassegna ha proposto i lavori vincitori dei concorsi di quegli anni per opere pubbliche e i cartoni preparatori di pittura murale, firmati da Alberto Sughi, Giovanni Cappelli, Aldo Borgonzoni, Bepi Romagnoni, Armando Pizzinato, Xavier Bueno, Ilario Rossi e Remo Brindisi. Intensa, di duro impatto è la grande tela di Sebastian Matta, Morire per amore, che dà il titolo alla rassegna, ispirata all'uccisione di Che Guevara e donata all'ANPI di Bologna dall'autore. A seguire Il Comizio di Renato Guttuso, dedicata a Di Vittorio, il travolgente Corteo di Franco Angeli, i disegni dalla prigionia in Germania di Leone Pancaldi.

Uno spazio a sé se lo ritagliavano alcune opere particolari. Il bozzetto per la scultura di Francesco Coccia destinata al Monumento alle Fosse Ardeatine: un gruppo a tutto tondo di tre uomini anziani, prigionieri, legati fra loro per i polsi, che da qualsiasi punto di vista rivelano lo sgomento e lo stupore passivo dei morituri. La Crocefissione di Mario Nanni che, già in ambito informale, ripropone con la materia e l'aggressiva violenza del colore una propria interpretazione della Cristianità, per la quale la Croce non è solo il trionfo del male, ma il principio della glorificazione del sacrificio. Un sacrificio che a Casalecchio di Reno costò la vita a quattordici partigiani - di cui sei rimasti anonimi: probabilmente prigionieri russi - atrocemente impiccati sul filo spinato ai cancelli dei giardini sulla piazza, e lasciati morire dissanguati, dopo immani sofferenze: alla loro memoria Nanni ha dedicato la sua opera.

Una mostra sconvolgente al primo impatto. Lo shock iniziale si trasformava tuttavia in turbamento nel realizzare che tutto quell'orrore non è un "passato", ma una realtà presente, una tragedia oramai cronicizzata e sparsa in tante parti del mondo: dal Vietnam ai Balcani, dalla pulizia etnica nel Kosovo all'integralismo religioso in Afghanistan, dalle Torri di New York alla guerra in Iraq.

Le musiche di Nono e Shostakovic e le canzoni partigiane facevano da sottofondo alla voce recitante, che leggeva brani della Ginzburg, della Viganò, di Dossetti e di Calvino. E a mostra finita sono le parole di quest'ultimo a rimanere nell'aria, come una nitida eco: "L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà: se ce n'è uno, è quello che è già qui - l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrire. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continuo: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all'inferno, non è un inferno, e farlo durare e dargli spazio".

 

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