Rivista "IBC" XVIII, 2010, 2
Dossier: Che il viaggio non sia stato inutile - Il Novecento: storie, memorie e luoghi
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, dossier /
L'impianto originario del Campo di Fossoli, poco distante da Carpi (Modena), si presenta al visitatore ancora ben riconoscibile e una parte delle strutture che componevano il vasto sito - circa 15 ettari di terreno compresi tra via Remesina a est e via Grilli a nord - sono visibili e visitabili: infatti, mentre l'area che si affacciava su via dei Grilli, la più estesa (circa 9 ettari, conosciuta come "Campo vecchio"), venne demolita nell'immediato dopoguerra, le strutture del cosiddetto Campo nuovo su via Remesina hanno resistito, e resistono, anche se in condizioni di sempre maggiore precarietà, all'aggressione del tempo e della vegetazione. Il fatto che quella parte del Campo sia stata utilizzata con diverse destinazioni fino in anni recenti ha paradossalmente evitato che ne venissero cancellate le tracce e, con esse, le storie che testimoniano, come purtroppo si è verificato per luoghi analoghi.
La lunga storia del Campo inizia nel 1942, in pieno conflitto mondiale, e termina nel 1970, quando il boom economico ha ormai trasformato il volto dell'Italia. Esso viene istituito dalle autorità italiane come campo per prigionieri militari dell'esercito nemico (PG 73) e già dal luglio del '42 cominciano ad arrivare i primi prigionieri; le baracche in muratura non sono ancora ultimate e nell'area che affaccia su via Remesina viene predisposto un campo attendato che raccoglie fino a 3000 militari, in prevalenza soldati e sottufficiali inglesi, neozelandesi, africani, australiani. Quando la struttura sarà completata (93 baracche nel "Campo vecchio" su via Grilli, e 15 nel "Campo nuovo" su via Remesina) il numero dei prigionieri arriverà a 5000.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre '43 l'esercito tedesco occupa con tempestività il Campo, disarma il presidio italiano e trasferisce i prigionieri nei campi in Germania. Tuttavia il sito non resta inutilizzato: l'inasprimento della politica razzista, attuata da lì a breve dalla Repubblica sociale italiana, ne determina un nuovo utilizzo e il Campo viene ad assumere un ruolo centrale nella politica della deportazione dall'Italia. Infatti, nei primi giorni di dicembre, è riattivato come Campo speciale di internamento per gli ebrei catturati in Italia, in ottemperanza all'ordinanza di polizia n. 5 (30 novembre 1943) emanata dalla RSI, che, nel dichiarare gli ebrei appartenenti a nazionalità nemica, predispone campi provinciali per il loro internamento. Fossoli diventa il Campo nazionale per la deportazione dall'Italia: 12 i convogli partiti, 2844 gli ebrei internati e circa 3000 i prigionieri politici. Nel marzo del 1944 le competenze e l'amministrazione sono nel complesso definite e vengono spartite tra autorità fasciste e naziste.
Il Campo vecchio assume la denominazione di "Campo di concentramento per internati civili", diretto dalla Questura di Modena. In esso vengono rinchiusi, anche per un breve periodo, antifascisti, partigiani, genitori di renitenti alla leva, cittadini di nazionalità nemiche, detenuti comuni. Poco si conosce su come era gestita dalle autorità italiane quest'area sbrigativamente demolita nel 1946, come poco si sa di quanti vi furono rinchiusi, maltrattati o uccisi. Il Campo nuovo, invece, diventa Polizei und Durchgangslager (Dulag 152), campo di polizia e di transito per oppositori politici ed ebrei gestito dal Comando di polizia di sicurezza nazista con sede a Verona; le autorità tedesche, in realtà, erano presenti nella gestione del campo già dagli inizi di febbraio del '44. Fossoli diventa un anello ben funzionante del meccanismo della deportazione: ogniqualvolta nel Campo si raggiungeva il numero "adeguato" (circa 600 persone), veniva organizzato un trasporto verso i lager, anche attingendo dal Campo vecchio con la collaborazione delle autorità italiane.
Alla fine di luglio del '44 i comandi nazisti non ritengono più sicura la struttura di Fossoli e ne decidono la chiusura, trasferendo gli ultimi internati nel lager di Gries, un sobborgo di Bolzano. Ma il Campo resta ancora sotto l'autorità tedesca, che lo utilizza fino a novembre come luogo di transito per lavoratori coatti: Fossoli diventa uno dei principali centri di transito per la manodopera e si ipotizza che, tra agosto e novembre 1944, vi siano passate dalle 10000 alle 15000 persone destinate al lavoro forzato nel Reich.
La fine del conflitto non determina la chiusura del sito: mutano naturalmente le destinazioni d'uso, le autorità e in parte anche le strutture; l'intervento più evidente è l'abbattimento del Campo vecchio, la cui area è destinata a uso agricolo e i cui materiali edili vengono riutilizzati per nuove costruzioni. Il periodo di funzionamento meno conosciuto nel dopoguerra è quello in cui Fossoli diventa Centro raccolta profughi (1945-1947): scarsi sono i documenti relativi a quella gestione e molto lacunose le testimonianze. Sappiamo che una parte delle strutture fu usata dalle forze di liberazione e di pubblica sicurezza come prigione per soldati nazisti, collaborazionisti e fascisti; successivamente le autorità alleate iniziarono a inviarvi gli "stranieri indesiderabili", una moltitudine di profughi con destini e storie individuali diverse e distanti, che le ragioni della guerra aveva costretto a vagare per l'Europa.
Quando il Centro fu sgomberato, nelle strutture lasciate libere don Zeno Saltini trasferì la sua "Opera Piccoli Apostoli" di Nomadelfia, una comunità che sperimenta nuove forme di sostegno e tutela per i tanti orfani, sostenuta dall'aiuto delle "mamme di vocazione", che accettano come missione di accudire e crescere i bambini. In questa fase sono demoliti i segni più evidenti della reclusione che il Campo di Fossoli aveva mostrato per tutti quegli anni: muri, filo spinato, torrette di guardia e reticolati cadono sotto la spinta dei giovani guidati da don Zeno. Nella "città dove giustizia è legge", come il suo fondatore ha definito Nomadelfia, possono trovare casa oltre 1000 persone.
L'esperienza si conclude nel 1953. L'anno successivo, l'Opera assistenza profughi giuliano-dalmati prende in affitto l'area per destinarla ai profughi italiani provenienti dall'Istria: nasce il "Villaggio San Marco", la cui vicenda rappresenta la fase più duratura di occupazione del campo, rimasta a lungo in un cono d'ombra, rimossa insieme al fenomeno dell'esodo giuliano-dalmata, uno dei momenti più travagliati della storia contemporanea del nostro Paese. Le famiglie, che giungono a Carpi e trovano alloggio nelle strutture di un ex campo di concentramento dopo aver lasciato affetti e cose, incontrano la diffidenza e la chiusura della popolazione locale. Nonostante le difficoltà, all'interno del Campo si ricostituisce una particolare forma di vita comunitaria, un microcosmo autosufficiente: del "campo" si mantiene tuttavia la struttura chiusa, che rimarca la separazione, ma all'interno vi sono spazi verdi pubblici e privati, strutture ricreative, una scuola, esercizi commerciali; le baracche prendono l'aspetto di abitazioni accettabili.
Nel 1970 le ultime famiglie giuliane lasciano il Villaggio San Marco e il campo resta in totale abbandonofino al 1984, quando il Comune di Carpi ne diviene proprietario. Anche se delineata in modo sommario e schematico, la lunga vicenda di Fossoli ci permette di sperimentare la complessità della storia di quel periodo, una storia che travalica la dimensione locale, diventa nazionale e internazionale, e permette anche di affrontare da una prospettiva particolare, interna e concreta, i nodi storiografici forti del secolo scorso. In essa, infatti, troviamo espressi molti dei fenomeni che hanno agito in Italia e in Europa nel corso del Novecento: la guerra, le deportazioni, i movimenti di popolazione, la difficile ricostruzione del dopoguerra. Per questo, molto ancora deve essere detto sulla storia del Campo, sui suoi meccanismi di funzionamento, sulle diverse autorità coinvolte e sulle loro relazioni, sulle biografie di chi vi fu internato o vi trascorse una parte della propria esistenza.
La Fondazione ex Campo Fossoli è impegnata da due anni in una ricerca che mira a ricostruire le vicende del periodo bellico e, contestualmente, di compilare l'anagrafe degli internati, facendo luce sui loro percorsi di vita; ma è anche indispensabile preoccuparsi delle strutture del campo, che ancora resistono, tenacemente, all'azione del tempo: con la loro concretezza testimoniano di un passato e gettano un ponte fondamentale tra "l'allora e l'adesso". Le numerose attività svolte ogni anno, le visite guidate, i laboratori didattici, gli incontri coi testimoni, ci danno una conferma: nei luoghi che furono teatro di eventi tragici è più facile sentire che la storia non è lontana o fuori da noi, ma è qui vicino e ha lasciato tracce ancora visibili.
Negli anni Sessanta la presenza del Campo ha ispirato la realizzazione, nel centro di Carpi, del Museo Monumento al deportato, un memoriale unico nel panorama italiano ed europeo di quegli anni, ma direi anche di oggi: frutto della progettazione comune di intellettuali, artisti che avevano vissuto in prima persona gli orrori della guerra che si proponevano di rendere comunicabile quelle vicende. Ma già nel 1955, in occasione del decennale della Liberazione, un comitato promotore guidato dall'amministrazione comunale, proprio riferendosi alla presenza del Campo (allora abitato dalle famiglie giuliano-dalmate), aveva allestito a Carpi la prima mostra nazionale dei lager nazisti. E se inevitabilmente, in quegli anni, le vicende del Campo di Fossoli sono inscritte nel discorso egemone della Resistenza, è innegabile la forza che il luogo sa esercitare inserendovi un tema allora ancora poco frequentato quale quello della deportazione, in particolare della deportazione razziale.
Per questo, di fronte all'inarrestabile e preoccupante deterioramento delle strutture, è necessario riprendere con urgenza la riflessione sul destino del Campo nel suo complesso, una riflessione che ha visto un intenso momento di attività negli anni Ottanta, quando il Comune di Carpi acquisì dal demanio la proprietà dell'area e indisse il "Concorso internazionale per il recupero dell'ex Campo di concentramento di Fossoli", attività che poi si è affievolita per le numerose difficoltà decisionali e di prospettiva (non ultime quelle economiche).
Oggi il problema si presenta ancora complesso, ma mi sembra che alcune consapevolezze siano maturate: è diventato chiaro, innanzitutto, che si sta parlando di un sito storico, archeologico, con tutto ciò che ne consegue per le future scelte e gli eventuali interventi; che questo sito è il risultato della stratificazione di ristrutturazioni successive e quindi va riconosciuta una pluralità di memorie; che oggi il Campo è in stretta relazione con altri luoghi (il Museo Monumento, ma anche la Fondazione ex Campo Fossoli per tutta l'attività di documentazione e ricerca che sta svolgendo); che questo sistema territoriale della memoria ricolloca con maggiore rigore le specifiche funzioni; che il Campo è riconosciuto e vissuto come luogo di memoria e come tale deve poter rispondere a quanti lo visitano.
Qualunque discorso che si cimenti con i non semplici problemi della tutela e della valorizzazione non può prescindere da questa complessità, che però non deve diventare un alibi per l'immobilismo: le baracche di Fossoli ancora ci parlano di persone, raccontano i loro diversi destini, ci obbligano a ricordare quanto è stato, a non accontentarci di risposte accomodanti. Non possiamo lasciare che sia il tempo a decidere.
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