Rivista "IBC" XVIII, 2010, 2
biblioteche e archivi / convegni e seminari, storie e personaggi
Bella, perversa e così letale da indurre Buffalo Bill a chiamare come lei la sua infallibile carabina: Lucrezia Borgia. I suoi detrattori (Guicciardini in primis) non hanno mai avuto dubbi: corrotta, orgiastica, luciferina, maestra d'intrighi e instancabile avvelenatrice. Nessuna prova, ovviamente, ma il sillogismo basta: se sei figlia di Rodrigo e sorella di Cesare, non puoi che praticare le stesse bassezze. E l'iconografia dei Borgia è così carica d'infamia da eliminare persino il beneficio del dubbio. Buon per Lucrezia, allora, che esistano ancora gli atti d'archivio. Lo studio delle carte conferma non solo quei tratti di "beltà, virtù e fama onesta" cantati dall'Ariosto, ma rivela una donna colta e pratica, saggia amministratrice e imprenditrice ante litteram. Comparto agroalimentare, per lo più, con singolare filiera nel settore caseario: come la suocera Isabella d'Aragona, allevava bufale e produceva mozzarelle.
L'Archivio di Stato di Modena conserva tutti i documenti relativi alla Corte estense, giunti qui con il Duca Cesare quando Ferrara passò al Papato nel 1598 (www.archivi.beniculturali.it/ASMO). L'8 marzo 2010, inaugurando nella sede dell'Archivio il ciclo di conferenze "L'altra metà della storia estense", Diane Yvonne Ghirardo, docente al Politecnico di Torino, ha riportato le sue analisi sui libri contabili di Lucrezia, da cui emergono lati nuovi e fortemente anticipatori di questa sovrana: una donna autonoma e responsabile, amata governatrice, tutta votata al bene della famiglia e dello stato estense. Devota madre di otto figli, in assenza del marito Alfonso I, prendeva le redini del governo e partecipava all'Esame delle Suppliche.
I documenti ci consegnano dunque una Lucrezia capitana d'impresa, bonificatrice di terreni, allevatrice di bestiame e accorta amministratrice di un ingente patrimonio costituito da poderi produttivi (frumento e cereali), cavalli per trebbiatura, soccide di pecore e bovini (tra cui bufale), cascine per la produzione di latticini, affitto di prati e pascoli, redditi derivanti dal noleggio di imbarcazioni e diverse altre fonti di entrata. La stessa gestione di una numerosa corte di artigiani (nobili, maggiordomi, fattori, contabili, tiraoro, ricamatori, gioiellieri, sarti e calzolai, oltre a musici, guardarobieri e credenzieri) conferma le sue indubbie capacità manageriali.
Lucrezia sposa Alfonso I d'Este nel 1502 portando in dote duecentomila ducati in oro più altri centomila in abiti, gioielli e stoffe. Non sappiamo quanto lasciò al momento della morte, avvenuta nel 1519 a soli 39 anni: il suo testamento non fu mai rinvenuto, forse distrutto dai duchi per acquisirne i beni. Quel che è certo è che gli atti danno conto di rendite esponenziali, soprattutto dagli allevamenti. I fondi archivistici conservano non solo i suoi carteggi, rivelatori della personalità, ma anche numerosi libri contabili che ne registrano attività e spese. Nel 1513 inizia la bonifica della Diamantina, cui seguiranno quelle delle tenute di Brancole, Donegate, Conselice e Argenta. Lucrezia compra per due soldi terreni paludosi e incolti, dove fa erigere argini, scavare canali e scolare acque, costruire fienili, case per contadini, cascine, fornaci e fabbricati rurali. Terminate le bonifiche, li coltiva a frumento, canna, lino (che le contadine filano per il suo guardaroba) e produce merci per il mercato urbano, oltre a cera, olio, sale e mattoni. Una vera e propria protocapitalista.
Tutte queste capacità, però, non hanno mai toccato né gli storici né i notabili del suo tempo, più inclini a dar credito a leggende di veleni e tradimenti del tutto inventate, che a tramandare i meriti oggettivi di una donna che ha precorso i tempi. Gli atti conservati all'Archivio di Stato di Modena restituiscono oggi dignità a un personaggio colpevole solo d'essere nato in una famiglia controversa. La conferma definitiva sembra venire da un ritratto del 1518 esposto alla National Gallery di Victoria, in Australia, di cui fino al novembre 2008 era ignoto sia il soggetto che l'autore. Dopo annose ricerche, gli esperti hanno concluso che la persona effigiata sia proprio Lucrezia Borgia e l'artista il geniale Dosso Dossi, pittore di corte a Ferrara. Il dipinto è l'unico ritratto formale di Lucrezia giunto fino a noi. La rappresenta castamente vestita di nero, lo sguardo fermo, i capelli raccolti, seduta davanti a una pianta di mirto, simbolo di purezza così come il pugnale che stringe tra le mani. A coronamento di una rappresentazione che sfiora l'apoteosi, Dosso appone un cartiglio in latino: "La virtù che vi regna è più splendida di quella del corpo".
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