Rivista "IBC" XIII, 2005, 4

Dossier: 6000 caratteri per un museo - Luoghi d'incontro e nuove narrazioni nei musei dell'Emilia-Romagna

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L'incontro

Vanes Ferlini
[funzionario di banca e poeta, Imola (Bologna)]

Il tavolo di noce occupava quasi l'intera lunghezza della sala del maschio. I piedi intagliati a zampa di leone e le gambe tornite a guisa di spingarda rivelavano in modo esplicito l'indole del proprietario. Sul tavolo, mappe e cartine geografiche a comporre un bizzarro mosaico.

Cesare Borgia misurava la stanza a grandi passi, le dita si muovevano agili e decise sulle mappe: con rapidi balzi viaggiavano in un attimo da Forlì a Cesena, da Rimini a Pesaro, per tornare pur sempre a Imola, capitale dei suoi possessi da quando ne aveva scacciato, quasi tre anni prima, l'odiata Caterina Sforza.

Ambiziosissimo e spietato, Cesare Borgia aveva abbandonato la carriera ecclesiastica per dedicarsi all'avventura militare, dove le sue qualità di cinico calcolatore ed efferato avventuriero riuscivano assai meglio. Aveva sposato Carlotta d'Albret, cugina del re di Francia Luigi XII, assumendo il titolo di Duca di Valentinois, donde fu chiamato in Italia "il Valentino". Il suo titolo preferito era però quello di Duca di Romagna, conferitogli dal Papa un anno prima.

Cesare Borgia aveva riunito nella sala del maschio i suoi più fidati e valenti condottieri, per la prima volta tutti insieme: Vitellozzo Vitelli, Giampaolo Baglioni, Francesco e Paolo Orsini, Oliverotto Uffreducci. Da quell'incontro sarebbe scaturito un nuovo destino per tutti.

"Signori" - proclamò il Valentino spostandosi al centro della stanza e assumendo un tono di particolare gravità - "I recenti e gloriosi successi non ci devono indurre a ritenerci soddisfatti o ancor peggio ad abbassare le mire, tuttavia si avvicina il giorno che vedrà sorgere il regno dell'Italia centrale a tener testa all'arrogante Milano e insidiare la melliflua Firenze".

Cenni di consenso da parte dei condottieri, i quali sapevano di non dover interrompere il duca, finché questi non richiedesse il loro parere.

"Vi ho appena mostrato i piani per la conquista di Urbino e del Montefeltro, per l'occupazione di Perugia e Siena... Quanto ai Malatesta, non dobbiamo preoccuparcene: dopo la nostra occupazione di Rimini e Pesaro mi è giunta notizia che stanno girovagando per gli Appennini con le brache stracciate". 

Una grassa risata accomunò il gruppo: non c'è nulla di più divertente che sollazzarsi con le vicende degli avversari caduti in disgrazia.

"Qualcuno di lor signori ha da fare osservazioni?" fece il Borgia appena l'ilarità si spense. I condottieri ben sapevano che tra le migliori qualità del Duca non figurava la tolleranza verso le opinioni altrui, ragione per la quale l'eventuale dissenso doveva essere mascherato in forma di subdola proposizione tendente a insinuare il dubbio.

L'Uffreducci, noto per le maniere spicce e il parlar franco, guardò dritto negli occhi il Duca e sbottò: "La presa d'Urbino può dirsi cosa fatta, tra un paio di mesi tutto il Montefeltro sarà in mano nostra ma... Siena è tutt'altra faccenda... Servono armi, cannoni, uomini... non mercenari scalcagnati, ma gente di polso... I toscani sono molli, è vero, ma non ci lasceranno fare una scampagnata".

"Messer Vitellozzo è preposto alla leva" - il Borgia si rivolse al luogotenente che gli stava proprio di fianco: "Quali notizie ci date, messer Vitellozzo?".

"Ottime, signor Duca: millecinquecento uomini già assoldati, altrettanti nei prossimi sei mesi... armi in abbondanza e cavalli di buona razza, grazie alla magnificenza del nostro Duca" - gli rivolse un leggero inchino e continuò: "Se il Signore Iddio ci assiste, entro il Natale prossimo, o al massimo la primavera seguente, potremo calare in riva all'Arno e, nonché Siena, mettere il pepe in culo ai fiorentini".

Sonore risate echeggiarono nella sala, il Valentino più di tutti si sganasciò, abbracciò il Vitellozzo e quindi, con un imperioso cenno del braccio, invocò il silenzio: "Ricordate che il Signore Iddio è con noi, perché con noi è il nostro amatissimo Pontefice Alessandro, mio padre" e quanta enfasi mise in quel "mio padre"! Proseguì: "Il nostro veneratissimo Papa ci assiste e protegge, perché operiamo per la gloria del Signore e per proteggere gli Stati della Chiesa dai loro blasfemi nemici".

Si alzò il coro unanime: "Viva il Papa! Lunga vita a Papa Alessandro Sesto!".

Vi sarebbe da chiedersi se i forlivesi o i riminesi, che dovevano adesso sottostare al giogo dei Borgia, fossero dello stesso avviso.

Un servitore entrò nella sala senza tanti complimenti e annunciò: "è arrivato messer Leonardo da Vinci".

"Avanti, messer Leonardo, avanti!" - il Duca si mosse quasi correndo e abbracciò il genio fiorentino con un'affabilità che non gli era consueta. Leonardo avrebbe preferito ai salamelecchi un poco d'acqua fresca per ristorarsi: aveva cavalcato tutto il pomeriggio sotto il sole e aveva i vestiti ricoperti di polvere.

Il Duca lo tirò per un braccio al centro della sala e lo presentò con gran pompa:

"Signori, ecco il genio che darà lustro al mio regno, darà forti mura ai miei castelli e macchine ingegnose al mio esercito, sì da diventare il modello invidiato e temuto dai sovrani di tutta Europa". La modestia era un altro difetto sconosciuto al Valentino.

Trascinò quindi il genio fiorentino nell'appartamento ducale e gli mostrò alcuni disegni: "Guardate: questi progetti sono frutto della mia invenzione, ma il vostro ingegno saprà certo fare di meglio. In primo luogo dovete rendere inespugnabile questa rocca, caposaldo del mio regno: ispessire le mura, elevare i torrioni, allargare il fossato... cosa ne pensate?".

Leonardo pensava alla spina dorsale frantumata da ore di galoppo, non vedeva l'ora di sdraiarsi sopra un letto ma, non volendo essere scortese, rispose: "Interessante... Studierò con cura questi disegni".

Nel congedarlo, il Duca gli disse: "Vorrei fregiarmi del privilegio di considerarmi vostro amico".

Leonardo, avvezzo a trattare con principi e cardinali, papi e sovrani, guardò severo il piccolo tiranno e gli rispose: "In questa epoca gli amici sono come la mandragola: un poco è salutare... un poco di più è mortale".

 

Rocca Sforzesca

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