Rivista "IBC" XVIII, 2010, 2
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali, biblioteche e archivi / convegni e seminari, interventi
Figlio mio, presta attenzione a non aggiungere
e non omettere una sola yod nella Torah,
o l'intero mondo ne sarebbe distrutto.
(Talmud Babilonese, Erubim, 13a)
I testi hanno una memoria. Gerard Genette, nel suo Soglie. I dintorni del testo, parla del libro come di una porta, di uno spazio percorribile, attraversabile, in modo non condizionato o predeterminato.1 Il libro come orizzonte, il testo come scenario. Tra una riga e l'altra, nello spazio che intercorre tra le parole o tra le singole lettere, questa spazialità invisibile si apre all'estensione infinita dell'interpretazione, della libertà di interazione tra il testo e chi, leggendolo, lo riporta in vita. Il testo scritto, a prescindere dal fatto che sia stato prodotto meccanicamente o da mano di uomo, è dunque innanzitutto un universo da schiudere. Una lettura superficiale, che si fermi semplicemente alla lettura del testo intenzionalmente impresso sulla carta o sulla pergamena, è una lettura priva di profondità.
Una scultura non avrà il medesimo respiro, se ci si limiterà ad ammirarne il soggetto in una riproduzione fotografica. Non avviene nulla di diverso, per un testo scritto. Per coglierne la ricchezza, occorre ricercarne la profondità. Edgar Wind parla di vocazione formale della materia, e afferma che la medesima scultura darà origine a emozioni diverse, se prodotta con materiali diversi.2 Io vorrei andare oltre, per condurre la riflessione a una forzatura delle categorie, per rendere visibile ciò che, nell'ovvietà, è spesso trascurato. Vorrei invitarvi a mettervi di fronte a un testo, a considerarne la capacità di trasmissione di un ricordo o di un pensiero, e a riconoscerne la sottintesa vocazione formale alla memoria. La trasmissione di un contesto, di un ambiente culturale, di uno scenario storico, lascia impronte indelebili sul testo, assegna alla bicromia del nero su bianco lo splendore della varietà cromatica della memoria, del ricordo, dell'emozione conservata.
I testi hanno una memoria che si regge su due punti di equilibrio: un carattere materiale volontario, che è il prodotto di una scelta consapevole e di una selezione dei contenuti; un carattere materiale accidentale, condizionato dal corso della storia nel suo svolgersi, modificato dall'imprevedibilità degli eventi. Da una parte avremo la possibilità di riconoscere in più testi il medesimo contenuto, eventualmente il medesimo formato di produzione, a costituire un insieme omogeneo di esemplari. Dall'altra, invece, avremo la ricchezza delle storie individuali, delle storie sociali, della vitalità della storia umana. Due copie identiche del medesimo testo potranno riportare i segni di esperienze diverse, attraversare terre distanti e passare di mano in mano, in una sequenza di lettori sconosciuti. Certamente riporteranno sulla propria pelle impronte e cicatrici capaci di rappresentare le vicende che la storia, costantemente, imprime nelle singole storie di ciascuno. L'unicità di ogni esemplare, insomma, ci racconterà l'orizzonte aperto delle storie individuali.
L'indagine filologica, che muove i propri passi in cerca di un ideale modello iniziale dei testi, ripercorre a ritroso la storia dei singoli esemplari, ne individua le differenze e ne confronta le varianti. Cerca la sorgente originaria risalendo, controcorrente, ogni ramificazione e ogni ristagno. Memoria e tradizione hanno tuttavia significati distanti, legati a origini, prospettive, orizzonti radicalmente differenti. Narrano storie diverse, in lingue diverse. Di fronte al patrimonio fragile dell'ebraismo europeo, per esempio, non possono che risultare evidenti le tracce di una mobilità, i riflessi di un pensiero e di una società che vivono grazie alla capacità di adattamento. Pur in questa variabilità, in questo carattere cangiante che costruisce l'iconografia dell'ebreo errante, esistono tuttavia nodi di pensiero, valori originari, che non devono e non possono essere esposti al cambiamento.
La fragilità di un gruppo umano errante trova la propria solidità nella conservazione di un nucleo concettuale. Se la vita esteriore non trova uno spazio legittimo di esistenza, la persistenza invisibile della tradizione garantisce la speranza di sopravvivere. La concezione teologica della storia, in cui ogni evento è risignificato alla luce di un valore che non siamo necessariamente in grado di comprendere, offre la promessa di un tempo del riscatto, di un'epoca della redenzione. L'attesa non concede però una fase di dispersione, ma rende necessaria una vicinanza incrollabile alla voce delle origini, che è voce della tradizione e della pienezza di vita, pur in un'incomprensibile condizione di vita umiliata. La storia ha un significato invisibile di cui l'ebraismo è consapevole, e la necessità di proteggere questo pensiero essenziale trasmette al testo scritto il valore della custodia dell'identità.
La paleografia ebraica presenta una complessità connaturata alla concezione che l'ebraismo propone della scrittura e della lingua - dotate di capacità performativa - e alla santità del testo.3 Il Talmud definisce caratteristiche precise che lo scriba deve rispettare, stabilendo un modello scrittorio religiosamente legittimato. La tradizione e la letteratura arricchiscono lo scenario con l'introduzione di nuove forme di percezione, mentre la qabbalah attribuisce un valore mistico ai grafemi dell'alfabeto. Il paleografo ebraico si trova dunque a dover fronteggiare qualcosa di più ampio, rispetto a una semplice istanza grafica, e l'alfabeto scritto sottende un complesso di implicazioni religiose, spirituali, performative, teurgiche, il cui valore è imprescindibile nello studio delle origini e delle fasi di formazione e di produzione materiale di un testo.4 La necessità di riconoscere allo studio del manoscritto una valenza ulteriore rispetto al semplice approccio storico-filologico rende, così, il terreno cedevole, e infragilisce lo scenario.
In Emilia-Romagna, terra in cui l'ebraismo ha lasciato un'impronta fondamentale, questo orizzonte diviene territorio di crescita e sviluppo di una ricostruzione storica che va ben oltre la mera ricostruzione documentale.5 Certamente questa ricostruzione prende le mosse a partire dagli archivi, dalla riproduzione documentale dei percorsi di vita, individuale e sociale, che hanno caratterizzato in modo incisivo il territorio regionale. A partire da questa radice, procede oltre il limite imposto dall'articolazione prestrutturata della storia, e propone la ricchezza di un patrimonio culturale che non è solamente ricchezza materiale, ma che consente di individuare una vitalità pulsante. Archivi, biblioteche, manoscritti, fondi librari, beni mobili, edifici e tracce urbanistiche costituiscono la struttura che regge la storia dell'ebraismo emiliano-romagnolo, ne determinano la densità di contenuti e la fecondità.
Il pensiero, prodotto o discusso, rinnovato o innovativo, inviato oltre il mare o ricevuto da altri angoli dell'ebraismo diasporico dell'età moderna, è l'anima di una struttura di cui siamo in grado di conoscere i dettagli. Eppure non si tratta di una contrapposizione tra la sedimentazione scritta e la vibrazione invisibile del pensiero, ma di una compenetrazione, di una contaminazione, di una reciproca azione di condizionamento e di arricchimento che definisce la storia di un gruppo umano per restituire la pienezza di vita della storia degli uomini. L'integrazione degli archivi, civili ed ecclesiastici, consente di ricostruire una trama di vicende umane, di sfide dettate dalla quotidianità, di microstorie che si rimescolano a costituire la morfologia della macrostoria. La complessità della religione si nutre di questo, della mescolanza di memoria e Tradizione, di trasmissione di un sapere spirituale che orienta la quotidianità e tramanda nuclei emozionali.
La storia delle religioni trae la propria linfa vitale dall'approccio sinestetico e cross-sensoriale alle fonti e alle testimonianze. L'attestazione materiale lascia trapelare l'atto percettivo del divino da parte dell'umano, che blandisce la possibilità di narrare l'ineffabile e di materializzare l'immateriale. Ferrara, Bologna, Modena, Parma, dunque, non sono che vertici di filoni aurei della memoria e della tradizione ebraiche, riflesso dormiente di un patrimonio culturale che è patrimonio umano, che necessita di capacità interpretative plurime per ritrovare vita. Filologia e filosofia, paleografia e cultural studies, codicologia e scienze cognitive: coppie di opposti che si attraggono nella prospettiva di una ricostruzione che non è soltanto evenemenziale, ma antropologica. La ricchezza delle fonti può essere preservata soltanto con la finezza dell'osservazione, con l'essenzialità dell'interrogazione consapevole.
In un panorama in cui la ricerca si propone di offrire sempre e soltanto risposte, la Fondazione San Carlo di Modena e l'École Pratique des Hautes Études di Parigi hanno deciso di cambiare le regole del gioco e di invertire la prospettiva. Dinanzi a complessi di testimonianze tanto ricchi quanto problematici, la questione annosa non è più la ricerca della risposta, ma la costruzione della domanda. Di domande e di questioni aperte si parlerà, infatti, il 22 novembre 2010, all'Institut National d'Histoire de l'Art di Parigi, in occasione del congresso coorganizzato dalle due istituzioni. Anche in quel caso, il patrimonio regionale fornirà il punto di partenza per lo sviluppo di tre prospettive differenti. Elodie Attia condurrà una riflessione paleografica sulla permeabilità di modelli grafici tra manoscritti e libri a stampa ebraici nel XV secolo, a partire dalla collezione della Biblioteca Palatina di Parma. Sempre da radici parmensi si muoverà la mia riflessione, sviluppata in un costante lavoro di confronto con Davide Ruggerini, sulla figura di Beniamino Foà, a cogliere la trama e le strade poco note del commercio librario ebraico. Mauro Perani riporterà i più recenti risultati raggiunti dal progetto "Genizah italiana" in Emilia-Romagna, sottolineando l'unicità del patrimonio, su scala europea, e la sua potenziale fecondità per gli studi ebraici mondiali.
Infine, gli interventi di Jesus de Prado Plumed, Justine Isserles, Giulio Busi, Saverio Campanini e Alessandro Guetta amplieranno gli orizzonti, e collocheranno in uno scenario più ampio di storia del pensiero, di storia sociale e di storia della religione i risultati inediti di ricerche condotte sul campo. L'occasione rappresenterà un punto di snodo per il confronto di studiosi ed ebraisti di origine e formazione italiana ormai affermati a livello mondiale, e ricomporrà, nella prestigiosa sede parigina, uno scenario storico e un fenomeno culturale tanto ricco quanto complesso da analizzare. I relatori e il pubblico si interrogheranno a vicenda, e a partire da dati materiali affineranno i propri interrogativi di indagine. Come si troverà la strada per muovere i passi alla scoperta della sedimentazione, materiale e immateriale, del passato di una matrice culturale e religiosa? Condividendo gli strumenti, la passione e la curiosità per le zone d'ombra. Unendo prospettive lontane e intrecciandone le sensibilità in un'unica prospettiva vivificante. Semplicemente, collaborando.
Note
(1) G. Genette, Soglie. I dintorni del testo, Torino, Einaudi, 1989.
(2) E. Wind, Art and Anarchy, Introduction by J. Bailey, Evanston, Northwestern University Press, 1985, p. 23.
(3) B. Fraenkel, Actes écrits, actes oraux: la performativité à l'épreuve de l'écriture, "Études de communication", 2006, 29, pp. 69-93.
(4) M. Vârtejanu-Joubert, The Letter as Object. The Written Word between Reification and Hermeneutics in Rabbinic Judaism, "Cahiers 'Mondes anciens'", 2009, 1, mondesanciens.revues.org/index129.html.
(5) Cultura ebraica in Emilia Romagna, a cura di S. M. Bondoni e G. Busi, Rimini, Luisè editore, 1987.
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