Rivista "IBC" XVII, 2009, 3
musei e beni culturali / immagini, pubblicazioni
Siamo tutti fotografi: grazie al digitale, assistiamo oggi alla moltiplicazione esponenziale degli scatti. Enrico Menduni, nel suo La Fotografia (Bologna, il Mulino, 2008) riporta un calcolo secondo cui, solo nel 2006, sono state realizzate duecentocinquanta miliardi di foto digitali. Che, grazie alle tante procedure di intervento ormai alla portata di tutti, possono essere facilmente modificate, ritoccate, in una parola "falsificate". Le immagini manipolate sono entrate a far parte del nostro quotidiano e nessuno si stupisce nel vedere su giornali e riviste, per esempio, "false" immagini di Berlusconi insieme alla D'Addario (vedi la copertina de "L'espresso" del 30 luglio 2009), oppure liposuzioni "virtuali" o addominali scolpiti, frutto di un uso sapiente del fotoritocco, che popolano i settimanali di gossip sfogliati sotto l'ombrellone. Non solo, ma grazie a un fotomontaggio più o meno "artigianale" anch'io posso dire di conoscere la più famosa escort dell'estate 2009, o, con l'aiuto di Photoshop, togliermi qualche anno...
Queste immagini "ingannevoli" non ci arrecano particolare fastidio, anzi spesso ci divertono, soprattutto se il gioco è dichiarato o è facilmente intuibile (chi si stupisce se in un rotocalco compare la foto di un'attrice in perfetta forma fisica grazie all'aiuto di un abile fotografo?). Ma, quando la maison Dior decide di impostare una campagna pubblicitaria su una vecchia foto di Alain Delon a cui è stata eliminata la sigaretta tra le dita, siamo pronti a gridare allo scandalo. Sul "Corriere" del 16 luglio scrive Pierluigi Battista: "La sigaretta sparisce, come quando nei regimi totalitari si cancella il volto di un dissidente caduto in disgrazia. Si riscrive la storia, come nel fosco Ministero della Verità descritto da George Orwell, pensando che sbiancando il passato si possa fare qualcosa di pedagogicamente utile". E conclude: "Ridarci Delon [...] non è il minimo per restituire un senso alla storia e alle immagini che l'hanno accompagnata? Senza fumare, ma in spirito di verità".
Annosa questione quella della veridicità delle fotografie, che coinvolge non solo l'era digitale ma tutta la storia della fotografia. Lo dichiarava già Edward Steichen agli inizi del Novecento: "Ogni fotografo è un falsario dall'inizio alla fine, essendo praticamente impossibile una fotografia puramente impersonale e non manipolata". Questa riflessione è tratta dalle prime pagine di un volume che Michele Smargiassi, giornalista di "Repubblica", ha dedicato ai limiti e alle virtù del potere testimoniale della fotografia, frutto di una serie di lezioni tenute di fronte a un pubblico di studenti, o semplici appassionati, in scuole, università, circoli culturali. Scrive Smargiassi: "Qualsiasi manipolazione resa oggi possibile dalle procedure di intervento numerico era già praticabile, e di fatto è stata praticata, nel corso di tutta la sua storia precedente, grazie a procedimenti chimico-meccanici forse più faticosi ma altrettanto efficaci", tuttavia "le distorsioni più sottili e più pericolose risiedono nelle caratteristiche dell'atto fotografico e nelle pratiche della sua messa in contesto, della sua trasmissione, della sua fruizione".
La fotografia può essere quindi "un'autentica bugia" (titolo del libro) ma non lo è nella sua essenza, bensì nella sua pratica. Vale per la fotografia l'insegnamento di Jacques Le Goff secondo cui "non esiste un documento-verità. Ogni documento è menzogna. Sta allo storico il non fare l'ingenuo". Smargiassi propone di "spostare l'ambito in cui si analizza il contenuto di verità del messaggio fotografico dall'ontologia del mezzo alle condizioni della sua produzione, trasmissione e ricezione". Tra l'immagine e il suo fruitore deve nascere oggi un nuovo e aggiornato "patto di veridicità". E questo è possibile solo se alziamo il nostro livello di capacità di lettura, entrando "nel sistema-fotografia da tutti gli ingressi possibili (tecnico, antropologico, iconologico) per smontarne la costruzione".
Conoscere gli inganni delle fotografie per salvaguardarne le verità: Smargiassi propone al lettore innumerevoli esempi di quando, come e perché la fotografia mente, in un viaggio affascinante tra il passato e il presente di questo linguaggio. Una lettura consigliabile a tutti, visto che ancora a metà degli anni Novanta una ricerca sul credito di massa verso le notizie menzognere, riportata nel volume, ha confermato che se tre lettori medi su quattro scoprono una bugia in un racconto orale, solo il 65% ne scopre una simile in un testo scritto, e appena la metà in una fotografia. Nell'ultima parte del volume, Smargiassi propone un "esalogo" per un uso non rischioso delle immagini. Si tratta di "riconoscere la possibilità della manipolazione, per meglio utilizzare ciò che resta di non manipolato", nella consapevolezza che "se la cautela generalizzata verso le immagini è una sana attrezzatura critica, la diffidenza generalizzata è un pregiudizio accecante". È inutile condannare o assolvere la fotografia. Ma stringere con lei un patto di veridicità "condizionata" è "un dovere la cui renitenza pagheremmo con l'emarginazione da un mondo intero di conoscenza".
M. Smargiassi, Un'autentica bugia. La fotografia, il vero, il falso, Roma, Contrasto Due, 2009, 320 pagine, 19,90 euro.
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