Rivista "IBC" XVII, 2009, 3
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"Tanto la verità non si saprà mai". Quante volte, Massimo Scarani, nel corso della sua più che trentennale investigazione sulla strage di Sarsina del settembre '44, l'ha sentita pronunciare una frase come questa. "Alcuni mi consigliarono di non continuare la ricerca e che era meglio non ricordare più quanto era accaduto". Perché rinnovare il dolore dei parenti delle vittime? Perché riaccendere risentimenti oramai sopiti e dimenticati? Ma poi Scarani, che all'inizio della sua indagine era ancora giovane studente, quale verità avrebbe potuto mai rivelare? Cos'altro si doveva sapere, sulla strage di Sorbano e su ciò che era avvenuto a Sarsina tra il 27 e il 28 settembre, che già non fosse a conoscenza di tutti? Cos'altro, oltre al fatto che non s'erano trovati i colpevoli del massacro e che impuniti erano rimasti i nazisti aguzzini di tanti inermi cittadini sarsinati?
Questi, in breve, i fatti com'erano stati tramandati: il 24 settembre, le truppe tedesche abbandonano Sarsina dopo aver distrutto i ponti della strada nazionale e danneggiato la diga di Quarto; all'imbrunire del 26 settembre, 6 cittadini sarsinati vengono uccisi e 7 feriti da colpi di mortaio tedeschi mentre si adoperano in lavori di riassetto stradale per favorire l'arrivo delle truppe alleate; la mattina del 27 settembre, una formazione partigiana entra a Sarsina installando il proprio comando operativo nell'ex casa del fascio, prende contatto con il locale comitato di liberazione e predispone misure di difesa del paese; nella stessa mattinata, una pattuglia tedesca, composta da 5 uomini e comandata da un sergente, giunge senza alcun ostacolo nella piazza di Sarsina e si scontra con alcuni partigiani; nel conflitto a fuoco si contano 2 feriti sia tra i tedeschi che tra i partigiani; durante la notte successiva, alla formazione partigiana giunge l'ordine di evacuazione della zona e Sarsina rimane così indifesa.
La mattina del 28, un reparto di militari tedeschi entra nel paese, mentre altre pattuglie si attestano sulle colline circostanti; inizia la rappresaglia sulla popolazione, la gente vien fatta affluire nella piazza; sono uccisi sul posto gli infermi e altri che si ribellano; c'è chi viene colpito o cade mentre tenta di scappare sui tetti delle case incendiate; donne e bambini sono ammassati dentro la cattedrale; agli uomini validi si dà l'ordine di procedere a piedi in direzione della vicina località di Sorbano; lungo il percorso qualcuno, troppo vecchio o ancor fanciullo, viene rilasciato, mentre viene giustiziato sulla strada un giovane che era stato ferito nello scontro a fuoco del giorno prima; in fila, sul ciglio di una scarpata, sono disposti 16 uomini; all'ordine di sparo del capitano tedesco, 6 di loro hanno la prontezza di gettarsi nel vuoto. Gli altri 10 vengono colpiti a morte.
Come è noto, sulla "strage di Sarsina" aprì un'inchiesta la Special Investigations Branch. Nei giorni successivi all'eccidio, furono condotti accertamenti e si raccolsero testimonianze. Tra le tante deposizioni, non mancarono le notizie utili all'identificazione del capitano e degli ufficiali carnefici. Nel 1946 l'intero fascicolo sarsinate, assieme a quelli riguardanti altre stragi naziste, venne trasmesso dagli inglesi al governo italiano e da questo alla Procura generale militare, che insabbiò tutto. Le carte furono "archiviate" nel Tribunale militare di Roma, per meglio dire nascoste in quello che al momento del loro ritrovamento (nell'estate di 15 anni fa) divenne famoso come l'"armadio della vergogna". Sulle cause dell'occultamento dei fascicoli relativi ai crimini nazifascisti ha indagato una commissione parlamentare istituita nel 2003. Nel 2006, su interessamento del senatore Walter Vitali, il fascicolo sarsinate, nel frattempo trasferito alla Procura militare di La Spezia e qui archiviato come "declassificato", è stato trasmesso all'Istituto per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea di Forlì-Cesena, dove attualmente si conserva.
Figurano ora insieme - in un libro che si raccomanda vivamente al lettore: Sarsina 28 settembre 1944 - i risultati della lunga, faticosa e appassionata ricostruzione di Massimo Scarani e i documenti della Special Investigations Branch presentati da Vladimiro Flamigni, al quale si deve anche un inquadramento storico sulle vicende belliche e sulla lotta partigiana in Val di Savio. Un libro che, tra resoconti, cronache, documenti, immagini d'epoca, si può considerare superbo atto d'inchiesta e di denuncia, con la vera storia dell'"eccidio di Sarsina" narrata con infinita umanità da Scarani e giustamente collocata, da Flamigni, nella sfera di quella giustizia mancata che ha così drammaticamente segnato anche tanti altri momenti del nostro tempo.
Massimo Scarani ha dunque avuto ragione: valeva la pena insistere nel cercare il "perché di quella strage così crudele e assurda", di andare oltre gli enunciati del micidiale manifesto di Kesserling del 17 giugno '44 secondo cui "ogni paese dove si possa provare che vi sono banditi, o dove sono stati commessi attentati contro soldati tedeschi o italiani, oppure atti di sabotaggio diretti a danneggiare o distruggere materiale, sarà interamente bruciato" e "gli abitanti maschi del paese, aventi un minimo di 18 anni, saranno tutti fucilati". Adesso, nel succedersi dei tragici eventi sarsinati, tanti interrogativi possono avere una più certa e forse definitiva risposta.
V. Flamigni, M. Scarani, Sarsina 28 settembre 1944. La rappresaglia tedesca nei documenti dello Special Investigation Branch, Cesena, Società Editrice "Il Ponte Vecchio", 2009, 224 pagine, 13,00 euro.
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