Rivista "IBC" XVII, 2009, 2

territorio e beni architettonici-ambientali / convegni e seminari, mostre e rassegne

Cos'è che fa di un insieme di edifici una città? Al "Città Territorio Festival" di Ferrara l'IBC ha invitato a riflettere sul valore pubblico degli spazi dedicati alla cultura.
I luoghi della comunità

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Dopo il grande interesse suscitato dalla scorsa edizione, anche nel 2009 Ferrara ha ospitato il festival dedicato alla Città e al Territorio nei suoi aspetti non solo urbanistici o architettonici, ma sociali, antropologici, culturali in senso ampio (www.cittaterritoriofestival.com). Quest'anno, dal 16 al 19 aprile, attraverso i moltissimi momenti di incontro e racconto, è stato dibattuto il tema dei processi di trasformazione dei centri urbani e dell'evoluzione della stessa concezione di città a partire dagli spazi della comunità, ovverosia tutti quei luoghi pubblici senza i quali non esiste la città nel senso pieno del termine, ma solo un agglomerato di costruzioni e non esiste comunità, ma mera aggregazione di individui.

La città si costruisce, si riaggrega, si ridefinisce, insomma, attorno e negli spazi pubblici che ne diventano elemento costitutivo essenziale. Eppure questi spazi, soprattutto in Italia, sono sempre più spesso messi in discussione, ristretti, snaturati da fenomeni quali speculazione edilizia e sprawl urbano, pressione turistica, come anche quel complesso di azioni ispirate dall'ossessione securitaria che pervade questi tempi faticosi e oscuri.

Fra gli spazi pubblici, quelli della cultura interpretano una funzione del tutto specifica e privilegiata, tanto da affermare che, per quanto riguarda l'Italia, il paese del museo diffuso e delle mille città, essi siano, in molti casi, la stessa struttura costitutiva della città: così come accade per gli altri luoghi pubblici, gli spazi della cultura stanno subendo a loro volta un processo di evoluzione/trasformazione che ha condotto, in ormai molte esperienze soprattutto al di fuori dell'Italia, a un loro ripensamento funzionale, istituzionale, sociale.

I processi di riconversione urbana, spesso imponenti, che hanno caratterizzato questi fenomeni, contrassegnando, dagli anni Ottanta, la fase di mutazione postindustriale di moltissime città europee (ma non solo), hanno interessato specialmente gli spazi culturali. Su questi ultimi, per esempio, si è concentrata la competizione fra medie e piccole città, che si esprime nell'invenzione di sempre nuovi elementi di attrazione urbana: dalle mostre ai mille eventi culturali, alle architetture e riqualificazioni di aree urbane. Vero obiettivo di questo marketing territoriale sempre più spinto, però, non sono più i cittadini, ma i turisti, o meglio i turisti consumatori, sintomo, a livello territoriale, di quel passaggio da homo politicus a homo consumens analizzato, fra gli altri, da Zygmunt Bauman.

I turisti, nuovi nomadi, si sono appropriati in molti casi di intere zone della città, anche se il loro senso di appartenenza ai luoghi è del tutto provvisorio, e l'hanno trasformata da luogo da vivere in luogo da consumare. Assistiamo quindi a una sorta di progressivo snaturamento delle vocazioni e delle funzioni dei nostri luoghi della cultura, dai centri storici trasformati in parchi a tema, ai musei costretti a inventarsi sempre nuove iniziative espositive. La perdita dell'anima sociale della città è il prezzo pagato dall'equiparazione della cultura e della bellezza a qualsiasi altra merce.

Per riflettere su questi fenomeni, e ragionare su possibili soluzioni, il 19 aprile, all'interno del Festival, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) ha organizzato un forum su "Il bene culturale come spazio pubblico".1 L'assunto di partenza che ha ispirato l'iniziativa è che gli spazi culturali abbiano svolto una funzione "urbanistica" in senso ampio per il passato, soprattutto per quanto riguarda l'Italia, e con risultati spesso straordinari; ripensando agli attuali fenomeni di trasformazione, non solo architettonica ma semantica, a cui sono sottoposti, nel forum è stata a più voci ribadita la convinzione che gli spazi culturali siano tuttora indispensabili, non solo per la loro intrinseca importanza sul piano culturale, ma anche perché sono capaci di garantire una migliore qualità urbana e il diritto che gli spazi della comunità rimangano vitali.

Tali affermazioni si riconnettono d'altronde alla stessa idea fondativa dell'IBC, istituito proprio per contribuire alla salvaguardia e alla valorizzazione degli spazi della cultura al servizio della comunità (dai musei alle biblioteche, dalle aree archeologiche ai complessi monumentali). In questa visione è proprio la comunità che si riappropria del patrimonio culturale e ne diventa, per questo, lo strumento di tutela primario e il più efficace.


I centri storici

Non è un caso, quindi, che fra i primi filoni di indagine, proprio all'origine dell'attività dell'Istituto, oltre trent'anni fa, ci siano le ricerche e i censimenti sui centri e nuclei storici, ispirati a un'idea di città come spazio culturale pubblico nel suo insieme. Sull'importanza dei centri storici nella costituzione del concetto di città e della città moderna, l'urbanistica italiana ha forse speso le migliori energie culturali, a partire dalla Carta di Gubbio del 1960: a quei risultati si riallacciarono le attività di inventario, riconoscimento, analisi dei centri storici regionali che segnano gli esordi della vicenda IBC.

A tale lucida utopia, come è stata definita questa prima fase di attività dell'Istituto, si riconnettono anche le ultime iniziative in questo ambito, quali le campagne fotografiche sui paesaggi dissonanti, a testimonianza, registrazione e prima analisi della mutazione in atto che interessa i nostri territori e, in primis, quelli dei nostri centri storici, trasformati in quinte di lusso per gli spettatori-turisti, cartoline da esibire e vendere, sottoposti da anni a fenomeni di svuotamento delle primitive funzioni residenziali, artigiane, commerciali in senso ampio e diversificato.


Le aree archeologiche

Il nostro Paese, come e più di altri nel bacino del Mediterraneo, deve molto, quanto a forme storiche del territorio e della città, all'archeologia. La presenza del passato nei contesti abitativi della contemporaneità è fatto assai rilevante, che pone parecchie sfide urbanistiche e culturali. Nell'età moderna si è giunti, il più delle volte, alla conservazione di singole unità come fuochi prospettici di pregio, e alla loro musealizzazione: oggi è necessario il superamento dell'attenzione alla singola unità monumentale, a favore della salvaguardia di un contesto coerente o pluristratificato, anche se l'archeologia nelle nostre città è spesso vissuta come un fossile fastidioso, un ingombro per lo svolgersi delle attività della città moderna (il traffico, sopra le altre).

Eppure esperienze anche molto recenti dimostrano che l'archeologia e i suoi monumenti non solo possono convivere benissimo all'interno delle nostre città, ma addirittura costituire occasioni di riqualificazione urbana straordinarie: operazione che sta riuscendo, per esempio, ad Atene, dove la sistemazione dell'area circostante l'acropoli ha creato una passeggiata fra le più suggestive al mondo, che riesce a convivere perfettamente con le infrastrutture moderne, come la metropolitana, ed è il vero motore della rinascita del quadrante sudoccidentale della città.

A Roma, al contrario, quest'idea di ripensare il cuore della città in funzione della sua storia e dell'archeologia è purtroppo fallita. Il progetto, né passatista né musealizzante di Antonio Cederna e del sindaco Petroselli, del grande parco urbano che dall'area archeologica centrale (Fori, Colosseo) si doveva allargare verso Porta San Sebastiano, fino a comprendere l'Appia Antica e il suo comprensorio. Questa sintesi perfetta di natura e cultura regalata alla comunità dei cittadini è stata uno dei momenti più alti dell'urbanistica romana, ma è vissuta per pochi anni, sul finire degli Ottanta, presto sepolta, alla morte di Petroselli, dai mille veti incrociati delle pigrizie culturali e delle convenienze politiche. Uno degli ultimi elementi che hanno resistito era rappresentato dall'esperimento fortemente voluto dall'allora soprintendente archeologo Adriano La Regina: l'apertura libera, gratuita, del foro romano, perché divenisse il luogo di passeggio dei cittadini romani, che si riappropriavano, anche in questo modo, del loro passato. Da circa un anno, l'area archeologica del foro regolamentata a pagamento è tornata a essere come un qualsiasi altro recinto per turisti.


I grandi contenitori monumentali

Oltre che dall'archeologia, i nostri centri storici sono caratterizzati da presenze monumentali di grande rilievo architettonico, urbanisticamente rilevanti, in quanto connotano spesso intere porzioni di città: grandi palazzi di governo ed edifici in origine a valenza ecclesiastica, prodotti sia dal fenomeno della secolare frammentazione politica italiana, sia dall'incidenza politica e quindi architettonica della Chiesa.

Nei secoli, pur mutando proprietà e funzioni, questi contenitori hanno mantenuto un carattere pubblico preminente, che li ha resi elementi costitutivi irrinunciabili della città, non solo sul piano culturale ma su quello sociale: vere e proprie icone urbane, che hanno ospitato scuole, tribunali, uffici pubblici di vario tipo. Eppure, in questi ultimi anni, il processo della privatizzazione provocata dalla (s)vendita del demanio pubblico rischia di annullarne la funzione collettiva prevista dalla Costituzione e quindi, spesso, tali edifici monumentali sono divenuti oggetto di speculazione edilizia. In tal modo, a essere continuamente insidiato, è il loro status di luoghi pubblici.


I musei

I fenomeni di riqualificazione urbana che interessano gli spazi pubblici e che, come ricordavamo, a partire dagli anni Ottanta hanno investito i centri urbani con forme di spettacolarizzazione architettonica e modernizzazione delle città ottenute attraverso opere straordinarie, in Europa e negli Stati Uniti si sono concentrati soprattutto sulla forma museo. Sono nate, così, architetture attrattive, pensate come landmarks, da Bilbao a Valencia, a Londra, a Copenaghen, ma che caratterizzano anche piccoli centri come Graz, o piccolissimi come Weil am Rhein o Rovereto. I risultati sono indubitabilmente di grandissimo successo mediatico e turistico, ma per quanto riguarda la funzionalità dell'istituzione museale sono stati spesso contestati, soprattutto perché causano un rovesciamento distorsivo dell'attenzione progettuale, dal contenuto al contenitore.

Accanto a questi casi, vi sono però quelli "virtuosi", rappresentati, per esempio, dall'esperienza berlinese della Museumsinsel, in cui si è puntato innanzitutto a una riflessione sugli allestimenti, sulla storia delle istituzioni (Bode, Altes Museum), tanto che nel recentissimo caso del Neues Museum di Chipperfield i cittadini berlinesi sono stati invitati a visionare i lavori in corso per verificare il percorso intrapreso: è stato indetto un vero e proprio referendum sul gradimento del museo, attraverso il libero accesso ai cantieri, a dimostrazione dell'assunto che il museo è pensato innanzitutto come uno spazio per i cittadini.

Negli ultimi lustri, al di là degli involucri, l'istituzione museo ha goduto, quanto a numeri, di grande successo, costituendo un tassello importante dell'industria del turismo culturale; in Italia, nell'ultimo anno, è stato oggetto di grandi attenzioni e aspettative da parte dell'amministrazione centrale: a partire dalla nuova figura del direttore generale alla valorizzazione, che dovrebbe concentrarsi sulla rivitalizzazione dei nostri musei nell'intento di scalare la top-ten dei musei mondiali. Quest'ansia da primato, ispirata a una connotazione mercantile che consiste, per esempio, nell'obiettivo esplicitamente dichiarato di trasformare i musei e i siti archeologici da centri di costo in centri di profitto, appare orientata esclusivamente al pubblico usa e getta del turismo. A questo spostamento di attenzione dal cittadino al turista, che abbiamo già sottolineato per gli altri luoghi della cultura, è riferibile anche il fenomeno delle mostre, che si succedono ormai con una frequenza non giustificata, molte volte, dal livello culturale che le ispira.

Tra contraddizioni laceranti, grandi successi di pubblico da un lato e crisi di identità e di funzione dall'altro, siamo passati quindi dal pubblico colto e selezionato al turismo di massa, senza intermediazioni e senza la capacità o possibilità di costruire e consolidare un pubblico più allargato, capace di legarsi a un'istituzione e di concepirla come un luogo in cui si ritorna, non solo una o due volte nella vita, ma come un'esperienza ricorrente, come un luogo privilegiato per sperimentare anche pratiche di inclusione.

È quest'ultima innovativa area di sperimentazione l'oggetto del progetto europeo "MAP for ID - Museums as Places for Intercultural Dialogue", a cui partecipa l'IBC (www.mapforid.it). L'azione dell'Istituto e quella del progetto europeo, finalizzato allo studio e allo sfruttamento del potenziale dei musei come luoghi di dialogo interculturale, parte dall'idea che le collezioni museali consentano di esplorare la complessità e la dinamicità del concetto di "cultura", e possano diventare uno strumento per abbattere idee preconcette di appartenenza e di esclusione. Dei luoghi, insomma, in cui si creano occasioni di incontro, di comprensione e di rispetto delle identità culturali.


Il nostro patrimonio culturale si identifica con il tessuto stesso delle nostre città, costituendo quell'idea di "paesaggio identitario" che per non essere ideologica o antiquaria deve riguardare ogni luogo della città, e che per poter emergere ha bisogno di una pianificazione allargata che veda fra i protagonisti non solo urbanisti o amministratori, ma anche archeologi, storici dell'arte e dell'architettura. Proprio nelle capacità di commistione e di incidenza di questi ultimi è confinata una delle possibilità residue di trasformazione della serie superficiale, mediocre e speculativa degli spazi urbani odierni.

Non si tratta quindi di essere dei laudatores temporis acti, un po' snob, e di pensare con nostalgia a quando alcuni nostri musei erano molto meno affollati e c'erano meno gruppi vocianti ad accalcarsi per le vie e le calli di Venezia o di Firenze. Il fenomeno del turismo, già adesso prima industria mondiale, non è destinato a essere rimesso in discussione dalle recessioni economiche, come non lo è stato dai problemi derivati dal terrorismo internazionale; è altrettanto vero, però, che si tratta di un'industria non leggera, ma fortemente "inquinante" e dissipatrice, che vampirizza le risorse dalle quali trae origine e che quindi va governata con grandissima attenzione.

I luoghi della cultura si sono trasformati e sono diventati altra cosa da quel che erano: è una mutazione tuttora in corso, che varrebbe la pena di pianificare con più attenzione perché è vitale per il destino delle nostre città. La direzione, anche in questo caso, si trova già delineata nel testo costitutivo della nostra democrazia, come ci è stato ricordato, prima di tutti, dal presidente Ciampi. In un discorso ai benemeriti della nazione del 2003, richiamandone l'articolo 9, ci ricordava che la Costituzione non dice che l'Italia è un museo, ma afferma che il patrimonio paesaggistico e culturale dell'Italia va difeso in funzione dei cittadini. Ovvero, come elemento vivo e attivo del diritto di cittadinanza.


Nota

(1) Al forum, coordinato da chi scrive, hanno partecipato: Vezio De Lucia, Andrea Emiliani, Luigi Ficacci, Ezio Raimondi. Si veda, sull'evento e sul tema, l'approfondimento pubblicato dal sito web dell'IBC: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/wcm/ibc/menu/dx/07parliamo/storico/cittafutura.htm.

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