Rivista "IBC" XVI, 2008, 1

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La Biblioteca comunale Passerini-Landi di Piacenza presenta il restauro di un prezioso manoscritto del Decameron, rimasto nascosto per secoli nella legatura di un incunabolo.
Novelle rivelate

Carla Casetti Brach
[direttrice del Laboratorio per la conservazione e il restauro dell'Istituto centrale di patologia del libro]
Maria Luisa Riccardi
[restauratrice del Laboratorio per la conservazione e il restauro dell'Istituto centrale di patologia del libro]

Il 25 gennaio 2008 la Biblioteca comunale Passerini-Landi di Piacenza ha presentato il restauro del manoscritto Vitali 26, che tramanda una parte consistente del Decameron di Giovanni Boccaccio. Nascoste nella legatura di un incunabolo e scoperte alla fine dell'Ottocento dal proprietario, l'avvocato Fabio Vitali, le 35 carte - per la datazione assai antica (1360-1370), per le caratteristiche grafiche che avevano indotto a supporre un autografo del Boccaccio, e per la rilevanza della lezione - costituiscono un "pezzo" molto significativo nella tradizione testuale del Decameron. Per la sua importanza, il restauro è stato eseguito dall'Istituto centrale per la patologia del libro, con la collaborazione della Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, e grazie al finanziamento dell'associazione "Cavalieri Ordini Dinastici della Reale e Ducale Casa di Borbone Parma". Pubblichiamo gli interventi di Carla Casetti Brach e Maria Luisa Riccardi, rispettivamente direttrice e restauratrice del Laboratorio per la conservazione e il restauro dell'Istituto centrale per la patologia del libro.

Sono lieta di trovarmi oggi qui a Piacenza per la presentazione del lavoro di restauro eseguito sui fogli cartacei che costituiscono il manoscritto Vitali 26. L'inizio della storia di questo restauro risale in realtà a diversi anni fa e precisamente al 1999, quando l'allora direttore della Biblioteca comunale, Carlo Emanuele Manfredi, scrisse a Carlo Federici, all'epoca direttore dell'Istituto centrale per la patologia del libro, una lettera datata 27 gennaio, chiedendo l'intervento dell'Istituto per il restauro dei 35 fogli che compongono il codice. La storia del codice è piuttosto nota, ma mi preme sottolineare come in questo caso una perdita, quella della legatura dell'incunabolo, abbia costituito poi una scoperta: una parte di un manoscritto coevo al Boccaccio e contenente il Decameron.

All'Istituto è stato affidato il restauro dei 35 fogli ritrovati e il progetto è stato elaborato in collaborazione con Valeria Buscaroli (funzionaria della Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna) e Massimo Baucia (conservatore del Fondo antico della Biblioteca comunale Passerini-Landi). La restauratrice che ha lavorato al progetto insieme alla sottoscritta è Maria Luisa Riccardi. Anche in questo caso - come ogni volta, se possibile, deve accadere - le decisioni sono state discusse e poi prese con coloro che sono responsabili della conservazione del bene. Il giorno in cui è stato fatto il sopralluogo, nell'aprile del 2007, ci si è subito resi conto dell'importanza che avrebbe avuto questo restauro e che sarebbe stato uno di quegli interventi che avrebbero offerto spunti di riflessioni e occasioni, come questa, per illustrare e anche eventualmente discutere le scelte fatte. Questa è stata una felice circostanza, sia per l'eccezionalità del manoscritto, che anche se non autografo del Boccaccio ne è coevo e vicino a lui, sia per l'occasione che veniva offerta di eseguire un intervento che uscisse fuori da quella che possiamo definire la normale attività di restauro.

L'avvocato Fabio Vitali possedeva un incunabolo contenente i Sermones quadragesimales di Leonardo da Udine, stampati a Ulm dal tipografo Giovanni Zainer: di questo incunabolo esistono altri esemplari, tre in tutto, due conservati presso la Biblioteca nazionale di Napoli, uno presso la Biblioteca diocesana di Bressanone (Bolzano). Gli incunaboli conservati a Napoli non hanno oggi la legatura originale (un esemplare ha una semplice coperta in pergamena probabilmente eseguita a Napoli tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, l'altro ha una legatura in carta marmorizzata che rinvia alla collezione libraria di Pio VI), mentre l'incunabolo di Bressanone ha una legatura quasi sicuramente coeva al testo (si ringraziano in questa occasione la bibliotecaria della Biblioteca di Bressanone, Paulina Moser, e la bibliotecaria della Biblioteca nazionale di Napoli, Serena Lucianelli, che mi hanno dato tutte le informazioni necessarie). La legatura in assi lignee ricoperte di cuoio è stata eseguita a Bressanone o nei dintorni, perché è visibile lo stemma del vescovado di Bressanone (l'agnello pasquale) a cui si affiancano i simboli dei quattro evangelisti: leone (Marco), aquila (Giovanni), angelo (Matteo) e toro (Luca), caratteri gotici si trovano sia sulla coperta che sulle chiusure. Quindi una coperta coeva al testo.

Non sappiamo se la legatura dell'incunabolo di Vitali, con quadranti in cartone, fosse quella primaria, ma alcuni segni riscontrati sui fogli oggi restaurati potrebbero far pensare a una legatura affine a una in assi lignee. Anche in questo caso, come è evidente, l'osservazione e lo studio di ciò che viene sottoposto a restauro ci permettono di approfondire il nostro sapere e le nostre conoscenze.

[Carla Casetti Brach]

Carla Casetti Brach ha tenuto a precisare che l'avvocato Fabio Vitali non esitò a smontare (e, di fatto, a perdere) la legatura dell'incunabolo, certamente già compromessa, per vedere quale manoscritto fosse stato riusato per formare i cartoni del volume. L'aver scoperto 35 carte del Decameron ha giustificato la decisione presa a suo tempo dal Vitali, ma resta una certa curiosità a proposito della legatura perduta. Osservando con cura le carte in questione è stato possibile rispondere, seppure parzialmente, alle domande che restavano sospese sulla tipologia di legatura dell'incunabolo.

Innanzitutto, le cinque finestrelle rettangolari, di dimensioni e distanze regolari, corrispondono senz'altro ai nervi di cucitura dell'incunabolo: ovvero 5 doppi nervi, probabilmente di pelle allumata, deduzione tratta dalla forma rettangolare delle lacune, alloggiati in apposite scanalature nei cartoni. I cartoni, a loro volta, dovevano essere piuttosto spessi se si valuta la consistenza che si ricava collando e pressando uno sull'altro 17-18 fogli di grammatura considerevole, come sono quelli della carta in questione. Sulle carte sono anche visibili dei forellini corrispondenti ai fermagli di chiusura dell'incunabolo: cinque fori per ciascun fermaglio posti in testa, in piede e due sul taglio davanti del volume. I chiodi che tenevano ferma la bindella corrispondente erano, con buona probabilità, di ottone e non di ferro, poiché non è stato trovato alcun segno di ruggine intorno al foro. La coperta della legatura era senz'altro di cuoio color marrone tendente al rossiccio, del quale restano tracce piuttosto consistenti sulle carte 2, 3 e 9.

Tuttavia, più in generale, viene spontaneo domandarsi come mai per garantire la migliore chiusura di un volume cartaceo, seppure di formato in folio e composto certamente di un gran numero di pagine, fossero stati previsti quattro fermagli su quadranti di cartone e non su assi lignee, come era in uso ancora in quel periodo. Altre deduzioni che chiariscano la tipologia della legatura perduta non sono al momento possibili. Si tenga a mente, però, che nessuna traccia della passata utilizzazione delle carte come quadranti è stata eliminata, così che si potrà sempre ricostruirne il singolare percorso.

Veniamo ora allo studio del manufatto e all'intervento sulle carte. Le analisi condotte nei laboratori scientifici dell'Istituto, eseguite prima dell'intervento di restauro, hanno consentito di conoscere la composizione fibrosa della carta, ovvero lino, di ottenere indicazioni sul grado di alterazione e sull'aspetto superficiale della carta (mediante il microscopio a scansione elettronica SEM-VP), sulla composizione degli inchiostri neri, di tipo ferro-gallico con presenza di nerofumo (esaminati con la tecnica della spettroscopia Raman), e di quelli rossi, di cinabro. Inoltre, al fine di valutare le conseguenze dell'applicazione degli enzimi proteolitici scelti per la rimozione della gelatina animale usata per incollare fra loro le carte del Decameron, si è provveduto ad analizzare dei campioni appositamente preparati, in modo da stabilire l'effettiva efficacia degli enzimi o, al contrario, i suoi effetti secondari, mediante l'uso del SEM-VP e del microscopio stereoscopico multifocus. L'uso degli enzimi per la pulitura è stato preso in considerazione per la loro nota capacità di agire selettivamente senza coinvolgere altri materiali, tranne quelli con essi compatibili, e per il rischio limitato di effetti collaterali che essi producono sull'originale. Dopo analisi condotte su campioni preparati espressamente, la scelta è caduta su una miscela di collagenasi e proteasi (1/1), risultata la più efficace e veloce nella rimozione della gelatina animale adoperata per formare i cartoni.

Fra le operazioni di restauro, quella della pulitura delle superfici risulta sempre complessa e delicata perché avviene a diretto contatto con il supporto e i media grafici dell'opera ed è inoltre un'operazione irreversibile. Il più delle volte essa viene eseguita con solventi organici, anche tossici, efficaci ma scarsamente selettivi, con possibili conseguenze sull'opera stessa. Negli ultimi anni è aumentato l'interesse per metodi alternativi all'uso dei solventi: tensioattivi, chelanti e preparazioni enzimatiche. In particolare, come si diceva, l'azione idrolitica, di scissione, che gli enzimi sono in grado di catalizzare, è svolta selettivamente su determinati materiali, siano essi polisaccaridi, lipìdi, o proteine, tanto che, se l'enzima non "riconosce" il substrato, questo resta inalterato, non si trasforma, così che le molecole non interessate al ciclo catalitico non saranno soggette ad azioni di alcun tipo.

Le prime operazioni sono state quindi la pulitura della superficie delle carte, per via enzimatica, dai cospicui residui di gelatina animale e dai resti del cuoio della coperta dell'incunabolo e il distacco delle sovrapposizioni di carta provenienti dal foglio adiacente incollato e derivanti da una frettolosa e poco accurata separazione dei fogli del manoscritto, operata dal Vitali. In altri casi tale separazione aveva prodotto asportazioni superficiali. Tuttavia, durante la pulitura con gli enzimi si rischiava di sciogliere non solo la gelatina animale usata dal legatore dell'incunabolo, ma anche quella applicata nella cartiera durante la fabbricazione delle carte del Decameron per rendere idrofobi i fogli in vista della scrittura. La rimozione della gelatina doveva dunque arrestarsi allo strato superiore e non passare a quello inferiore, se non si voleva asportare la parte manoscritta che poggiava su di esso. L'uso di lenti d'ingrandimento durante la rimozione della gelatina adoperata nella seconda metà del XV secolo ha consentito di svolgere con maggiore sicurezza questa delicata operazione. Nel complesso, l'aver rimosso la colla animale, i residui del cuoio e le sovrapposizioni di porzioni di carte differenti, ha incrementato sensibilmente la leggibilità delle aree di testo che erano rimaste nascoste sotto quegli strati, che definirei "incongrui". È inoltre stata recuperata l'immagine originaria di quelle carte "sconvolte" dalle manovre frettolose del Vitali, che avevano lasciato tracce più o meno cospicue di pezzi di fogli su altri fogli.

In seguito si è provveduto al lavaggio in acqua delle carte manoscritte, l'unica procedura che garantiva la rimozione completa dei residui enzimatici, rinunciando al trattamento di deacidificazione, considerato non necessario, poiché né sugli inchiostri né sulla carta comparivano segni di ossidazione o acidità. Gli inchiostri, come già osservato, erano di tipo ferro-gallico con parti di nerofumo e non presentavano alcuna alterazione chimica. Dopo il lavaggio e una nuova pulitura superficiale realizzata con il bisturi sulle carte ancora umide, bisognava intervenire con il risarcimento delle numerose lacune e degli strappi.

Consapevoli che nessun restauro è la replica esatta di altri restauri perché tiene conto delle specificità dell'oggetto, delle sue vicissitudini e delle informazioni delle quali è portatore, è stato scelto di applicare un ragionamento simile a quello proposto per il restauro realizzato in Istituto nel 2006 su un volume del 1293-1294 appartenente all'archivio notarile di La Spezia, e di lasciare, come in quel caso, che le carte incomplete rimanessero tali, evitando la ricostruzione puntuale del rettangolo, ma seguendo piuttosto il contorno delle lacune. A questo proposito può essere interessante ricordare quanto affermava già nel Settecento lo scultore e restauratore Bartolomeo Cavaceppi: "Le commessure (ovvero i risarcimenti) delle restaurazioni, anziché farsi piane e diritte dovranno definirsi in maniera che appariscano casuali ed irregolari, come appunto casuali e irregolari sono le rotture dell'antico". E più che mai Cavaceppi deplorava le ricostruzioni arbitrarie eseguite a partire dai frammenti, salvo poi agire, in molti casi, contravvenendo a questo principio, come imponeva il gusto dell'epoca.

A restauro ultimato si può affermare che del Decameron sia stato conservato l'aspetto "vissuto" e imperfetto che avevano assunto le carte riutilizzate, frutto di un ritrovamento fortuito e di un recupero troppo affrettato. Sarebbe stato in ogni caso complesso e applicabile solo parzialmente il risarcimento canonico del contorno dei fogli, poiché le loro dimensioni erano oramai profondamente alterate e differenti fra loro. L'istanza estetica ne avrebbe, inoltre, molto sofferto. Con questa scelta, presa in accordo con Massimo Baucia e Valeria Buscaroli, l'impatto visivo esercitato dal restauro resta molto basso, grazie anche all'adeguamento di colore realizzato su ciascun risarcimento di carta giapponese applicato sulle lacune. Si tratta, a ben vedere, di un restauro discreto, che lascia al documento la sua originalità e l'immagine della sua particolare storia e che non lo sovrasta esteticamente. Va inoltre precisato che le carte hanno mantenuto anche al tatto la loro naturalezza non avendo subìto alcun trattamento traumatico, né pressature, né collature di rinforzo dopo il lavaggio, poiché il loro spessore originario era tale da garantire una manipolazione sicura e la quantità di colla animale usata per formare i cartoni non era totalmente scomparsa, risultando ancora sufficiente.

L'ultima operazione prevista è stata la protezione dei singoli fogli manoscritti in cartelline di carta a lunga conservazione spessa e sagomata, impilate poi in un contenitore confezionato con un cartone privo di lignina, a pH 7,5 e con presenza di riserva alcalina. Le sovrapposizioni di carta appartenente al foglio adiacente, rimosse durante la lavorazione, e i frammenti recuperati, sono stati inseriti in buste di poliestere chimicamente neutre, molto trasparenti e resistenti all'uso, sulle quali è indicato il numero della carta relativa.

Emerge così, ancora una volta, che il restauro può rappresentare un mezzo attraverso il quale si riannoda una storia spezzatasi accidentalmente o intenzionalmente. Non è consentito, infatti, intervenire travisando il significato che il documento custodisce, si può solo renderlo nuovamente comprensibile, attuando le azioni necessarie e mirate a tale scopo. È essenziale, dunque, agire solo dopo aver compreso la pluralità dei messaggi presenti sul documento, per trasmetterli correttamente ai posteri. "Non per altro si restaura", affermava ancora il Cavaceppi, "se non per apprendervi!".

[Maria Luisa Riccardi]

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