Rivista "IBC" XV, 2007, 3

mostre e rassegne, pubblicazioni

"Le ceramiche che non si vedono. Capolavori rinascimentali del Museo civico medievale di Bologna", Bologna, Musei civici d'arte antica, 9 maggio - 23 settembre 2007.
Smalti invisibili

Elisabetta Landi
[IBC]

Sono oggetti d'uso, cose di pregio e da esibizione, ma seguono sempre il corso della storia; la storia, anzi, ce la raccontano: con il maggiore o minore grado di raffinatezza, con la fattura, la decorazione, con l'impasto. Le ceramiche testimoniano la civiltà dei popoli che le hanno prodotte, e così assolvono a una molteplice funzione: pratica, quotidiana, molto spesso estetica e anche di documentazione. Attraverso l'evolversi di questa arte si potrebbero raccontare le vicende di ogni giorno; si sarebbe tentati di immaginare lo sfarzo o la semplicità dei banchetti, e di interrogarsi sul lavoro di schiere di artigiani oscuri e silenziosi. Ma soprattutto la terra, una materia di per sé umilissima, nobilitata dall'artificio e trasformata dall'abilità del ceramista, attirò nel tempo i collezionisti, e nel nostro caso Ferdinando Cospi. Non per niente, nella brulicante immagine del suo museo tramandata dall'incisione del Mitelli, si scorgono, tra le rarità rappresentate, trionfi di vasi e di stoviglie, piatti, recipienti preziosi. Quegli oggetti confluiti, con il lascito al senato, nelle raccolte civiche bolognesi. Capolavori dell'arte occidentale, riproposti dal Museo medievale in una mostra che dalle sue raccolte, tra le più prestigiose in Europa, ha presentato una selezione.

Sono "Le ceramiche che non si vedono", perché i manufatti rinascimentali protagonisti dell'esposizione dal 9 maggio al 23 settembre 2007 giacciono normalmente nei depositi. Il nucleo di smalti e piatti "istoriati" comprende, come segnalava già agli inizi dell'Ottocento il canonico Filippo Schiassi nella sua Guida, autentici capolavori: il celeberrimo Boccale con busto femminile del 1499 o la fiasca con il mito di Ciparisso, senza contare i pregevoli vasi "fittili aurati" dal guardaroba bentivolesco di Ginevra Sforza. Nell'Ottocento ai manufatti si aggiunsero altre donazioni, dalle raccolte Pepoli e Rusconi, mentre le collezioni crescevano con ritrovamenti a sorpresa, come il boccale apodo scovato sotto San Francesco nei cantieri di Alfonso Rubbiani. Circa 300 sono i pezzi che si conservano al Museo: una storia della ceramica dal XIII al XIX secolo, intrecciata alle vicende dei maggiori centri di produzione. Ma è agli inizi del Cinquecento che l'avvento del genere figurativo mette in contatto ceramista e pittore, superando il filone araldico e i bestiari del Medioevo. Già nel secolo precedente si era stabilizzato in quel settore un alto grado qualitativo, con la lucentezza degli smalti e dei colori suggerita dall'esperienza robbiana e dagli influssi degli artefici moreschi delle officine spagnole. Ora il rapporto con le grandi arti si stringe e si veicolano i soggetti letterari. Fiorisce un universo di storie rappresentate dagli artisti presso le manifatture più importanti, dai poemi epici alle Metamorfosi, fino ai giardini magici del Polifilo. Le stampe ispirarono gli artigiani, soprattutto la bottega dei Fontana, mentre l'imagerie raffaellesca divulgata dagli incisori si trasformava nelle citazioni fantasiose della produzione marchigiana. In mostra, oggetti destinati a un collezionismo illustre: dai complessi a tutto tondo di Faenza, ai manufatti decorati a grottesca, alle opere pesaresi molto vicine alle decorazioni della Villa Imperiale, ai piatti di Casteldurante e di Urbino, con le vivacissime cromie. Una rassegna di capolavori, esaminati nel 1985, in un testo attualissimo tuttora, da Carmen Ravanelli Guidotti.

 

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