Rivista "IBC" XV, 2007, 2

musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / immagini, mostre e rassegne

Due mostre romane ripropongono il valore della visione fotografica nella lettura del paesaggio.
Il viaggio continua

Isabella Fabbri
[IBC]

"Ereditare il paesaggio" è il titolo impegnativo e stimolante della mostra allestita al Museo dell'Ara Pacis nell'ambito della sesta edizione di "FotoGrafia. Festival internazionale di Roma" diretto da Marco Delogu (www.fotografiafestival.it). Un festival dedicato quest'anno alla fotografia italiana e in particolare alla declinazione del rapporto fotografia/paesaggio. Il punto di partenza della mostra, curata da Giovanna Calvenzi e Maddalena D'Alfonso, si situa agli inizi degli anni Ottanta, all'ormai famoso "Viaggio in Italia", progetto collettivo di esplorazione del nuovo paesaggio italiano che ha unito intorno a Luigi Ghirri un folto gruppo di fotografi: venti per l'esattezza, fra cui Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Vincenzo Castella, Giovanni Chiaramonte, Guido Guidi, Mimmo Jodice, Gianni Leone, Mario Cresci, Vittore Fossati.1

Si trattava allora, come ricorda il ventunesimo viaggiatore, lo scrittore Gianni Celati, di "evadere dalle vedute prescritte". Le vedute prescritte erano quelle ereditate dalla retorica fascista che aveva modellato una iconografia ufficiale delle "belle contrade" italiane a metà strada tra il monumentale e il bucolico, un repertorio che alternava panorami incontaminati, chiese gotiche, piazza San Marco con i piccioni, montagne da scalare, spiagge famose. Era stato il cinema a ribellarsi per primo a una visione decisamente scollata dalla realtà: così Visconti sceglie di ambientare "Ossessione" nel delta del Po e tra i suoi argini nebbiosi, in un paesaggio apparentemente insignificante e dimesso. A una Italia codificata e da cartolina, i fotografi di "Viaggio in Italia" contrapponevano la ricerca di un altro paese e un approccio - ricorda ancora Celati - "non più per vedute totali, ma per osservazioni di sparsi dettagli, residuati di cose che sono semplicemente lì, senza valore si direbbe [...]. Così venivano alla luce altre atmosfere, precisamente nei luoghi dove 'non c'è niente da vedere' come dice la gente. Ma in realtà quelli sono i posti dove c'era più da vedere, con mille aspetti che nessuno guarda, con infinite tracce di vita, di gente passata lì come noi. Sono i luoghi dove si capisce che ogni paesaggio è innanzitutto il luogo del passare la vita, nel limite del pagus, nella forma del pays".2

"Viaggio in Italia" ha rappresentato l'esercizio di uno sguardo nuovo sul paesaggio e insieme la dimostrazione che era possibile utilizzare la fotografia per raccontare la complessità del mondo esterno e le molte storie che lo hanno costruito così come è e come noi lo percepiamo. Una scommessa basata sulla consapevolezza che anche la rappresentazione è un modo di edificare il paesaggio. Tema, questo, decisamente attuale, perché la nozione di paesaggio si è oggi arricchita di una pluralità di dimensioni che, in uno scambio continuo tra elementi oggettivi e soggettivi, chiamano in causa, accanto ai processi naturali, la storia, l'economia, la cultura e la percezione che di un determinato territorio ha la comunità che lo abita.3 A distanza di vent'anni le due curatrici della mostra "Ereditare il paesaggio" hanno chiesto a sette fotografi della generazione di "Viaggio in Italia" (i citati Barbieri, Basilico, Castella, Chiaramonte, Guidi, Jodice e Massimo Vitali) di indicare ciascuno due giovani fotografi che apprezzano e che sentono vicini, e di presentare il loro lavoro in una sorta di simbolico passaggio di testimone.

Il risultato è un puzzle di scelte espressive individuali molto diverse, tanto denso di suggestioni quanto problematico: la trascrizione del paesaggio contemporaneo si risolve in operazioni spesso dichiaratamente concettuali, in cui una visione volutamente documentaria si carica di significati e valenze che attengono sempre di più al mondo dell'arte. È come se il paesaggio non fosse più leggibile e conoscibile nelle forme in qualche modo classiche della generazione precedente, ma solo come frammento, reperto, episodio, metafora del reale, proiezione di un progetto personale.

Così Marco Campanini ritrae mappe e carte geografiche tratte da vecchi libri viste da angolazioni eccentriche, che rendono i segni rarefatti e i colori incerti; la coppia Marco Trinca Colonel e Cosimo Pichierri legge il paesaggio come luogo dei misfatti dell'uomo e propone a grandezza naturale il quadrato d'erba in cui è stato commesso un delitto; Tancredi Mangano esplora gli spazi urbani alla ricerca di superstiti e fragili elementi naturali: rami spezzati, il verde minimo e interstiziale che cresce tra le pietre e sui balconi; Alessandro Cimmino ritrae una Napoli notturna e criminosa, con le luci alle finestre volutamente oscurate; Stefano Snaidero indaga la realtà sociale delle città e dei luoghi raggelando nello scatto composizioni effimere e casuali di persone, oggetti e architetture.

Più rassicurante sulla possibilità di conoscere/dialogare con il paesaggio è la mostra curata da Marco Delogu e allestita negli spazi recuperati del bel palazzo ex GIL progettato da Luigi Moretti, un'esposizione che sotto il titolo "Non tutte le strade portano a Roma" propone una serie di percorsi fotografici nel Lazio. Anche in questo caso a sette fotografi, già coinvolti nelle edizioni precedenti del Festival, è stato chiesto di esplorare alcuni paesaggi laziali sulla base di un lavoro preliminare che ha individuato affinità e corrispondenze.

Lontano dallo strapotere iconico della città capitale, si compone così un repertorio originale di luoghi e atmosfere: i luoghi di confino delle isole pontine, strette dal mare che funge da frontiera invalicabile, nelle immagini di un potente e drammatico biancoenero di Luca Campigotto; la riserva naturale Tevere-Farfa e il corso del fiume fotografato da Giuliano Matteucci all'alba, in un'atmosfera sospesa che traduce il senso di isolamento e di integrità di quei luoghi; l'antica Sabina attraversata da Guy Tillim sulle orme del cammino di San Francesco, in un susseguirsi di borghi, ciottoli, case rurali; le visioni notturne e silenti dell'Abbazia di Farfa, e del monaco solitario che la abita, di Angelo Antolino; la commistione di antico e moderno, di aree archeologiche e paesaggio industriale, di Luca Nostri; il litorale laziale di Raphael Dallaporta in cui la presenza dell'uomo è appena accennata, ma forte e centrale.

Il risultato complica in modo positivo la nostra idea del paesaggio laziale, apre la possibilità di nuove letture e visioni. Come dice a commento delle sue immagini Guy Tillim: "La loro funzione, a mio avviso, non è di essere reali, ma di offrire una via di uscita dai pregiudizi che determinano il nostro modo di vedere la realtà".4 Il lavoro del fotografo può quindi ancora essere "utile" in questo senso anche per quanti operano sul paesaggio (per governarne le trasformazioni, per la sua tutela e valorizzazione) e non a caso la mostra e il progetto che la sostiene sono stati promossi e finanziati dalla Regione Lazio. È un ambito di lavoro questo in cui la committenza pubblica può giocare un ruolo importante. Mi riferisco soprattutto alle Regioni e alle amministrazioni e istituzioni locali, proprio perché il paesaggio, per le sue stesse caratteristiche, richiede una lettura che, per risultare efficace, deve essere necessariamente circoscritta, elaborata "palmo a palmo".

Qualche anno fa, su questa rivista, Roberta Valtorta auspicava progetti in cui "convivano più discipline e più esperti e in cui il fotografo viene chiamato a interpretare un tema o a trarne spunto come osservatore libero per la sua ricerca".5 L'opportunità di questa collaborazione è oggi particolarmente evidente: da una parte la fotografia è svincolata da ruoli subalterni e libera di seguire la sua ricerca; dall'altra il paesaggio, inteso come costruzione sociale, sempre più necessita di forme originali di lettura e rappresentazione. A maggior ragione quando la sua integrità e la sua identità sono minacciate dalla grande speculazione edilizia, ma anche da quelli che gli economisti chiamano i piccoli comportamenti opportunistici, e in generale dall'ignoranza e dall'indifferenza che caratterizzano le nostre precarie relazioni con i beni collettivi, siano essi il versante di una collina o uno spazio cittadino.

Gli esempi in questo senso non mancano: Gianni Berengo Gardin ha realizzato per la Comunità montana del Giovo una campagna fotografica che si è tradotta in una mostra allestita tra marzo e maggio 2007 a Genova. Il progetto che sta alla base del lavoro fotografico è appunto la valorizzazione e la riqualificazione di quei paesaggi e di quei territori. Anche la Regione Emilia-Romagna vanta esperienze significative: a partire dal progetto pionieristico di rilettura del paesaggio padano che negli anni Ottanta ha coinvolto molti dei protagonisti di "Viaggio in Italia" (Ghirri e Celati in primis) in una ricerca a doppio binario tra scrittori e fotografi, progetto promosso dall'allora Assessorato alla programmazione; fino all'incarico affidato a Gabriele Basilico per la documentazione fotografica del paesaggio delle aree dismesse regionali nel 2001.6 E non va dimenticato che l'archivio di Luigi Ghirri, ottimamente gestito dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia in stretta collaborazione con gli eredi, è stato a suo tempo acquisito dalla Regione.

Sul versante più strettamente culturale, anche l'Istituto regionale per i beni culturali, in modo costante nel tempo, ha fatto la sua parte: l'archivio fotografico dell'IBC è oggi un prezioso deposito della memoria recente dei territori e dei paesaggi regionali, e nello stesso tempo delle politiche e degli orientamenti che hanno sostenuto nel tempo letture e interpretazioni. Molto lavoro resta ancora da fare, rivolto a conoscere e valorizzare ciò che già esiste (dal censimento degli archivi fotografici pubblici e privati, alla rivalutazione del ruolo dei "fotografi di paese") ma anche per aggiornare il repertorio condiviso delle immagini e delle rappresentazioni che ci legano al paesaggio.

 

Note

(1) www.fotografiafestival.it/2007/IT/esposizioni/dett_1499.htm. Il progetto collettivo del 1984 si era concretizzato in una grande mostra e in uno splendido libro fotografico: Viaggio in Italia, a cura di L. Ghirri, G. Leone, E. Velati, Alessandria, Il Quadrante, 1984.

(2) L'intervento di Gianni Celati da cui sono tratte le citazioni è contenuto negli atti del convegno "Il paesaggio come capitale", promosso dalla Provincia di Reggio Emilia nel dicembre 2006 (www.biennaledelpaesaggio.it/files/doc/eventi1_34.doc).

(3) Si veda il testo della "Convenzione europea del paesaggio", Firenze, 20 ottobre 2000 (www.bap.beniculturali.it/attivita/tutela_paes/convenzione.html).

(4) Si veda il catalogo della mostra: Non tutte le strade portano a Roma. Sette fotografi in viaggio nel Lazio, a cura di M. Delogu, Roma, Zoneattive edizioni, 2007 (www.fotografiafestival.it/2007/IT/esposizioni/dett_1494.htm).

(5) I. Fabbri, Fotografia e committenza pubblica, "IBC", X, 2002, 1, pp. 44-47.

(6) Anche in questo caso la campagna fotografica - promossa dall'Assessorato alla programmazione territoriale, politiche abitative, riqualificazione della Regione Emilia-Romagna e dall'Istituto regionale per i beni culturali - si è tradotta in una mostra e in un catalogo: L.R. 19/98. La riqualificazione delle aree urbane in Emilia-Romagna. Fotografie di Gabriele Basilico, a cura di P. Orlandi, Bologna, IBC - Editrice Compositori, 2002.

 

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