Rivista "IBC" XIV, 2006, 4
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / pubblicazioni
Filippo Tommaso Marinetti, nel Manifesto tecnico della pittura futurista, definiva l'arte "questo prolungamento della foresta delle vostre vene, che si effonde, fuori dal corpo, nell'infinito dello spazio e del tempo": una definizione che lo studioso Hugues de Varine, ex presidente dell'ICOM - International Council of Museums (1965-1976) deve ben conoscere. Attenzione, però: quest'ultimo, tra i fondatori degli ecomusei insieme a Georges-Henri Rivière, non anela certo come i futuristi a distruggere i musei, ma vede comunque il patrimonio culturale come disponibile (proprio "nell'infinito dello spazio e del tempo" insomma), una risorsa viva più che un tesoro da "museificare". Queste considerazioni si traggono leggendo proprio l'ultimo volume di de Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, pubblicato nel 2005 dalla CLUEB di Bologna per la cura di Daniele Jalla, attuale presidente di ICOM Italia.
Il messaggio centrale del libro - lo ricorda lo stesso curatore - è piuttosto semplice, anche se per metterlo a fuoco vengono spese molte pagine che trasudano la passione e la meticolosità di un pensiero ramificato: il "patrimonio" culturale e ambientale è parte "essenziale per lo sviluppo locale durevole e sostenibile". Operando sul concetto, il volume è impostato su capitoli che si rivolgono agli attori principali sul palcoscenico del patrimonio, da quelli del campo politico (i veri decisori), agli operatori, alle forze imprenditoriali.
A ognuna di queste categorie il teorico francese rivolge le sue considerazioni (chiare, senza allocuzioni troppo complesse): ai politici chiede di considerare il patrimonio culturale come una risorsa e di non distruggerlo (come sovente è purtroppo capitato); a quanti se ne occupano professionalmente, di non dimenticare mai che è limitativo considerarlo solo in termini di conservazione e non anche in chiave di sviluppo locale e sostenibile; a tutti ricorda che il "patrimonio culturale rappresenta le radici visibili della comunità nel territorio [e perciò il suo] sviluppo non può essere coltivato 'fuori campo', come un'insalata o una pianta di rose" (p. 24).
Questioni condivisibili, anche se poi la conseguenza è che "il patrimonio culturale non è né intoccabile, né inalienabile. Lo si può consumare, distruggere, ma soltanto per ragioni di sviluppo". Conseguenza pericolosissima, e non perché si dubiti delle intenzioni dell'autore francese, che ha un'esperienza pluridecennale in materia, ma perché potrebbe essere facilmente strumentalizzata. Quanti casi di ribaltamento del senso di queste considerazioni si conoscono? Proprio la tensione verso lo sviluppo è stata spesso utilizzata per violentare la nostra storia, la nostra identità. E invece de Varine spinge a usare il patrimonio, e in ultima istanza la museologia, come strumento politico, "punto di forza per la realizzazione di politiche locali" (Jalla), senza dimenticare che "ciò che conta è che il patrimonio culturale sia riconosciuto dalla comunità come proprio" (p. 25).
Non si tratta quindi di abbattere i musei ma di avere ben presente che se si vuole mettere in relazione il patrimonio con i suoi fruitori (noi tutti) occorre anche puntare alla passione, al coinvolgimento, appunto allo sviluppo, e non solo alla salvaguardia. E vale soprattutto per l'Italia, dove, al di là dei molti errori commessi, l'attenzione quasi esclusiva alla conservazione ha comunque salvaguardato la nostra straordinaria stratificazione storica.
H. de Varine, Le radici del futuro. Il patrimonio culturale al servizio dello sviluppo locale, Bologna, CLUEB, 2005, 314 p., euro 25,00.
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