Rivista "IBC" XIV, 2006, 4
musei e beni culturali / convegni e seminari, progetti e realizzazioni
Inaugurato all'inizio del 2004, l'Ospedale "Morgagni-Pierantoni" a Forlì rappresenta un interessante esempio di addizione di un nuovo edificio ospedaliero (l'attuale padiglione "Morgagni") a un complesso già esistente (il Centro sanatoriale "IX Maggio", realizzato nel 1932). Entrando per la prima volta in ospedale ci si trova immersi in uno spazio insolito per l'architettura sanitaria e assai vicino all'ambito museale: ampio ma non dispersivo, luminoso ma non abbacinante, vivace ma non chiassoso. È la cosiddetta piazza coperta, posta al piano terra del nuovo padiglione "Morgagni" e destinata a distribuire i flussi esterni verso l'area accoglienza, l'accettazione sanitaria, il Centro unificato di prenotazione (CUP), il bar e i servizi commerciali.
Qui sono state da poco sistemate tre importanti opere d'arte contemporanea che nulla hanno da invidiare a quelle esposte nelle gallerie pubbliche della regione: Il dono della vista di Guido Baldini, un bassorilievo costituito da 39 formelle in gesso patinato; La storia della chirurgia di Carlo Zauli, due pannelli ad altorilievo in gres bianco; Le stagioni di Vittorio D'Augusta, un pannello murale formato da 200 piastrelle policrome. Si tratta di tre imponenti lavori, originariamente cementati sulle pareti dei padiglioni "Raffaele Rivalta" e Ortopedico-Traumatologico dall'ex ospedale "Giovan Battista Morgagni", divenuto Campus universitario.1
La necessità di salvaguardare queste opere ha agito da volano per un vasto progetto di valorizzazione del patrimonio culturale dell'Azienda sanitaria forlivese. Tale progetto, coordinato da un gruppo di lavoro composto da Andrea Emiliani, Paola Barzanti, Graziano Campanini, Mariacristina Gori, Gabriella Lippi, Maurizio Patone e Luciana Prati, ha preso le mosse dalla consistente attività di studio già confluita nel volume I beni della salute,2 e ha comportato la realizzazione di un vero e proprio itinerario di arte e storia sanitarie all'interno del nuovo ospedale. L'iniziativa è stata presentata il 9 ottobre 2006 nel corso del convegno "Il recupero delle opere d'arte contemporanea dal vecchio Ospedale 'Morgagni' al nuovo Ospedale 'Morgagni-Pierantoni'. Un itinerario culturale sul filo della memoria per pazienti e cittadini", che ha avuto luogo nella sala "Pieratelli" dell'ospedale di Forlì, con la partecipazione dell'Assessore regionale alle politiche per la salute, Giovanni Bissoni.
Il primo nucleo dell'itinerario espositivo ha sede nel padiglione "Allende", cuore dell'intero complesso: il corridoio di accesso all'antica cappella del Centro sanatoriale, nella quale già si trovavano le opere restaurate di Giovanni Marchini, è stato trasformato da semplice locale di servizio in vera e propria sala museale.3 Mediante ritratti e pannelli illustrativi viene qui raccontata la storia delle istituzioni sanitarie forlivesi dal Settecento a oggi. L'esposizione si sviluppa poi nell'atrio dell'ospedale, presso il padiglione "Morgagni", con le opere ricollocate di Zauli, Baldini e D'Augusta, e nel parco, dove sono state posizionate le sculture di Morri, Cinciarini, Neri e Pompili. Il percorso, inteso già nella sua progettazione come non definitivo e in itinere, prevede un ulteriore sviluppo nel settore delle attrezzature medico-scientifiche di rilevanza storica e dell'antico patrimonio librario.
Legando fra loro i vari padiglioni e il parco tramite l'esposizione permanente di beni culturali, l'itinerario sottolinea la specificità della storia ospedaliera di Forlì e testimonia la profonda correlazione fra i temi sanitari e quelli più tipicamente sociali e urbani. Ancora più forte risulta questo legame con la città se si pensa che molte delle opere presenti (Baldini, Zauli, D'Augusta, Morri, Cinciarini) sono state realizzate ricorrendo alla cosiddetta legge "del due per cento" (la n. 717 del 1949), che all'articolo 1 recita: "Le amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, nonché le regioni, le province, i comuni e tutti gli altri enti pubblici, che provvedano all'esecuzione di nuove costruzioni di edifici pubblici e alla ricostruzione di edifici pubblici distrutti per cause di guerra, devono destinare all'abbellimento di essi mediante opere d'arte una quota non inferiore al due per cento della spesa totale prevista nel progetto".
Questa normativa, che di primo acchito sembra rappresentare un riconoscimento concreto dell'arte contemporanea nell'Italia della neonata Repubblica, dietro le apparenze innovative nasconde concezioni tutt'altro che fresche. La legge 717 deve infatti molto al contributo di Giuseppe Bottai, ministro dell'Educazione nazionale sotto il governo fascista, principale legislatore delle normative italiane in tema di beni culturali,4 e promotore di un Ufficio per l'arte contemporanea. Forse anche a causa di questa nascita "spuria", la legge ha poi avuto, nel mezzo secolo successivo, vicende travagliate e ambiguità d'uso: più volte accantonata, ha anche subìto nel corso degli anni diversi rimaneggiamenti nel tentativo di metterne meglio a punto i criteri economici e i meccanismi di scelta (Legge n. 237/1960; Legge n. 352/1997).
Nella sua concezione originaria, tuttavia, quella che impone alle amministrazioni di fare delle scelte culturali e politiche sull'arte, ma che prevede soprattutto un nuovo ruolo per l'arte pubblica, la legge "del due per cento" risulta opera di grande portata. Se necessario, una conferma in tal senso può venire dal fatto che il testo originario della legge è stato frutto di un intenso dibattito culturale, svolto da Bottai su diverse pubblicazioni alle quali partecipavano attivamente numerosi intellettuali del calibro di Argan, Brandi, Longhi, Buzzati, Antonioni, Gadda, Longanesi, Montale, Quasimodo, Ungaretti, Montanelli. Sottolineando l'importanza del legame che unisce lo spazio pubblico all'arte, la normativa rappresenta un riconoscimento concreto della funzione attiva che l'arte contemporanea deve assumere nella costruzione dell'identità dei luoghi comunitari o, meglio, "umanitari", come li chiama Andrea Emiliani, forte sostenitore del rilancio di questa legge.
Poiché sempre più l'arte contemporanea, fuori da gallerie o musei, sceglie come terreno d'azione il tessuto urbano, collettore di energie e di potenziale espressivo, la proposta di una norma rinnovata, che definisca il contributo dell'arte nella realizzazione di opere pubbliche, si dovrebbe porre come principio inderogabile l'esigenza di guardare con competenza e profondità al rapporto tra gli spazi pubblici e chi li abita. Nell'Ospedale "Morgagni-Pierantoni" di Forlì questa disposizione a sentire lo spazio comune come un insieme di relazioni - capace di attivare con le persone (personale sanitario, pazienti, parenti) un rapporto di reciprocità, "fatto di momenti di deviazione, di contraddizione di destabilizzazione"5 - è oggi straordinariamente tangibile.
Le opere qui ricollocate, negli spazi sia interni che esterni, travalicano ampiamente i confini e gli intenti di oggetti di semplice arredo urbano e guadagnano, piuttosto, la pregnanza di veri interventi artistici, capaci di sollecitare una qualità della vita fatta di contatto diretto e confronto immediato con l'arte. La scelta di risistemare, in luoghi più meditati e progettati, opere a rischio di dispersione non solo, dunque, risponde a esigenze fondamentali di tutela, ma porta anche un accrescimento in termini di valorizzazione, riuscendo a configurare nuove possibilità attraverso le quali il concetto abusato di "arte pubblica" può conoscere una rinnovata vitalità.
Per questi motivi il percorso d'arte realizzato a Forlì costituisce un modello "esportabile" in altre strutture ospedaliere interessanti dal punto di vista storico. Da un lato c'è l'idea di attrezzare un corridoio, una sala o anche solo una parete seguendo criteri espositivi e museali, per creare un punto di riferimento della memoria, dando il senso del recupero di un patrimonio ricco e diversificato, significativo per la storia della sanità come per quella della civiltà. Dall'altro c'è il trattamento esemplare delle opere d'arte contemporanea, la cui storia, dall'acquisizione attraverso la legge "del due per cento" all'attuale sistemazione, trova perfetta conclusione, lasciando che il confine tra arte e architettura si muova verso orizzonti inediti.
"Le cose non sono solo costruite da qualcuno, ma sono construendae, capaci di attuare loro stesse delle trasformazioni".6 Poche frasi, come questa, sono in grado di sintetizzare le possibilità che si offrono al linguaggio dell'arte perché possa farsi lessico dello spazio pubblico che nasce o che si trasforma. Se questa concezione di arte pubblica è sensata, per realizzarla sarà allora necessario dotarsi di nuovi alfabeti estetici, capaci di coniugare le ragioni dei luoghi e le esigenze delle comunità che li vivono. E riconciliare il sistema sanitario nazionale con le storie e le comunità locali è un impegno che con grande sensibilità l'Assessorato alla sanità della Regione Emilia-Romagna ha da tempo sposato, invitando e sostenendo la valorizzazione del cospicuo e multiforme patrimonio storico-artistico sanitario.
Note
(1) I lavori di recupero e restauro di queste opere sono stati seguiti da Isabella Cervetti.
(2) I beni della salute. Il patrimonio dell'Azienda sanitaria di Forlì, a cura di M. Gori, U. Tramonti, Milano, Motta Editore, 2004. Si veda anche: E. Landi, I beni? Tutti in salute, "IBC", XII, 2004, 1, pp. 93-94.
(3) Il progetto di allestimento è stato curato dalla PANSTUDIO architetti associati di Bologna, sotto la direzione e la gestione tecnica dell'architetto Vittorio Laghi dell'Azienda USL di Forlì.
(4) Si pensi per esempio alle leggi n. 1039 e n. 1497 del 1939, in vigore fino a pochi anni fa.
(5) J. Baudrillard, J. Nouvel, Architettura e nulla: oggetti singolari, Milano, Electa, 2003, p. 39.
(6) J. Hillman, L'anima dei luoghi, Milano, Rizzoli, 2004, p. 128.
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