Rivista "IBC" XIV, 2006, 4
musei e beni culturali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni
Il 15 settembre 2006, a Bologna, nell'ambito di "Artelibro. Festival del Libro d'arte" (www.artelibro.it), è stato presentato al pubblico Il filo della storia. Tessuti antichi in Emilia-Romagna, il volume edito dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) e curato da Marta Cuoghi Costantini e Iolanda Silvestri per i tipi della casa editrice CLUEB. Pubblichiamo l'intervento introduttivo di Maria Giuseppina Muzzarelli, docente di Storia del costume e della moda all'Università di Bologna, e membro del Consiglio direttivo dell'IBC.
In questo libro c'è la storia dell'homo faber e dell'homo decorans, dove "homo" sta per uomini e donne, si intende. C'è la maestria dei tiraloro che ricavavano da barre d'oro lamine sottili e poi fili d'oro da intessere per fabbricare preziosi panni, e quella dei tintori la cui opera serviva, nelle parole del trattatista cinquecentesco Tommaso Garzoni, "alla vaghezza e ornamento di questo mondo". C'è l'opera dei tessitori che nel primo Cinquecento dispiegarono il massimo del virtuosismo tecnico nel realizzare velluti broccati d'oro che univano due diverse lavorazioni, quella del velluto, con l'operazione del taglio eseguito sulla stoffa lavorata sul dritto, e quella del broccato, tradizionalmente eseguita sul rovescio. Le lavorazioni, entrambe specialistiche, erano di complessità tale che si riuscivano a realizzare solo pochi centimetri al giorno.
C'è l'ingegno dei disegnatori che concepirono e adattarono motivi decorativi (melagrane, palmette, vasi fioriti) e dal finire del Cinquecento imposero nuovi modelli decorativi per velluti, lampassi, damaschi ("a mazzeo", "a tronchetti"), sia per tessuti preziosissimi, destinati a pochi, sia per prodotti offerti a pubblici più vasti. Sempre sul finire del Cinquecento la produzione dei tessuti prese a diversificarsi a seconda dell'uso, per l'abbigliamento o per l'arredamento, con motivi più nuovi nel primo caso e più classici nel secondo, per non parlare delle vesti liturgiche. C'è anche questa storia nel libro di cui stiamo parlando: quella delle pianete e dei paliotti, dei colori e dei bagliori degli arredi ecclesiastici.
C'è poi la parte avuta dai tessutai che dovevano smerciare le stoffe prodotte vendendo nelle loro botteghe, o trabacche, ora molte braccia (un braccio corrisponde a 58 centimetri, e per confezionare una veste ci volevano molte braccia, mentre per un paio di pianelle ne servivano da mezzo a due, a seconda dell'altezza), ora scampoletti destinati a rattoppi o a confezionare borse o scarpini che, quando di pregio, erano infatti realizzati con tessuto.
C'è la storia dei sarti che da quei tessuti dovevano ricavare cioppe, pellande, giornee o mantelli, dribblando con maestria fra i gusti dei clienti, che spesso amavano vestirsi al di là del loro status, e la rigidità delle norme che imponeva ai sarti di farsi indagatori della condizione sociale di chi entrava nelle loro botteghe per farsi confezionare una bella veste. C'è la passione di uomini e donne per "i più gentigli" panni che si potessero avere (e sono parole di Bernardino da Siena, critico nei confronti di chi indulgeva al piacere tattile fornito da una morbida seta).
C'è la vicenda delle élites artigianali e delle masse di lavoratori poco specializzati: quella dei lavoratori della seta che vennero attratti da Lucca a Bologna con politiche avvedute e contribuirono enormemente al benessere della città, e quella degli operai dell'arte della lana che si sono guadagnati la menzione nei manuali per aver tentato di partecipare anch'essi al potere. C'è la fortuna di alcuni grandi centri quali Lucca, Firenze, Genova, Milano, Venezia, Bologna che dal basso Medioevo fino al XVII secolo hanno prosperato grazie alla produzione tessile per poi essere colpiti dalla grave depressione che si abbatté su quasi tutti i paesi d'Europa, fatta eccezione per l'Inghilterra e i Paesi Bassi. C'è il lavoro di merciai e merchandes des modes che producevano, smerciavano e applicavano fettucce e galloni trasformando, con pochi e sapienti tocchi, vesti e complementi, e ponendosi così alle origini della creatività sartoriale.
E si potrebbe continuare ancora a lungo, distinguendo funzioni e vicende, tutte avviluppate intorno a quel filo. È una storia che pone tutti i problemi, come avrebbe detto Fernand Braudel, da quello delle materie prime e dei procedimenti di lavorazione alle questioni legate alle mode e alle gerarchie sociali. Di tutto questo si parla, nel volume pubblicato dall'IBC, per quanto attiene alla vastità e alla generalità della storia dei tessuti, ma anche riservando particolare attenzione alla peculiarità del caso emiliano-romagnolo.1 Il libro è il frutto di una ricostruzione e di una ricognizione relative a questa precisa area, che è stato territorio di complesse diversità politiche nel corso dei secoli ma anche di unità da quando esistono le distrettuazioni regionali e da quando l'Emilia-Romagna si è dotata, con l'Istituto per i beni culturali, di uno strumento per la cura e la valorizzazione del proprio patrimonio.
Dagli anni Ottanta del secolo scorso la catalogazione, la conservazione e il restauro dei tessuti sono stati alcuni dei compiti dell'Istituto, che si è preso cura di arazzi e pianete riconoscendo a questi oggetti quell'alto valore testimoniale di conoscenze e di gusti, di maestrie e di gerarchie, di conquiste e di sconfitte che rendono preziosi gli oggetti amorevolmente e competentemente studiati da Marta Cuoghi Costantini e da Iolanda Silvestri assieme ai molti autori che hanno collaborato alla realizzazione di questo volume, bello e sapiente (ricordo Beatrice Orsini, Patrizia von Eles, Carlotta Bendi, Annemmarie Stauffer, Lise Raeder Knudsen, Nicoletta Giordani, Paolo Peri, Donata Devoti, Giulia Meucci, Luciana Martini, Francesca Piccinini, Carla Bernardini, Elisabetta Farioli, Stefano Zironi, Francesca Ghiggini, Lorenzo Lorenzini, Vincenza Maugeri, Ilaria Pulini).
L'Emilia-Romagna può vantare alcune importanti raccolte tessili, la più rilevante è la Collezione "Gandini" del Museo civico di Modena. Raccolte tessili sono conservate anche nei Musei civici reggiani ma paramenti, arredi e fondi riconducibili al tema si trovano a Piacenza come a Bologna, tanto a Parma come a Carpi. Si è trattato di compiere un lungo percorso ricognitivo che è stato anche conservativo. In trent'anni, dal 1976 a oggi, l'Istituto ha ideato e sostenuto molti progetti nel settore, promuovendo restauri di frammenti di stoffe, pizzi o passamanerie ma anche il recupero di grandiosi manufatti: basti pensare al restauro dell'arazzo fiammingo di inizio Cinquecento del Collegio "Alberoni" di Piacenza.
Sono operazioni che dimostrano, anche in Italia, e segnatamente nella nostra regione, l'ormai pieno riconoscimento dell'importanza della storia materiale e delle sue testimonianze, e che dimostrano anche la scelta di contare sui protagonisti secondari: una scelta non sempre facile ma credo felicissima. Un esempio per capirci: chi non metterebbe mano al portafoglio per restaurare, se ne avesse bisogno, lo splendido quadro del 1550 di Agnolo Bronzino che ritrae Eleonora di Toledo vestita magnificamente con un abito di un tessuto sontuoso che propone il motivo della melagrana staccata con volute ornamentali nere su fondo bianco, orgoglio dei tessutai fiorentini? Ebbene è segno di grande sensibilità e di sottile cultura prendersi cura anche di un piccolo lacerto di un tessuto del genere, giunto fino a noi quasi miracolosamente a testimoniarci l'abilità degli artigiani che lo produssero, la qualità dei filati utilizzati, la composizione dell'insieme, insomma la materialità dell'oggetto rappresentato dal Bronzino o da Tiziano nelle loro grandi opere. Prendersi cura di un frammento di tessuto è come rendere omaggio a una storia apparentemente minore fatta di piccole e grandi conquiste (il telaio meccanico, tanto per esemplificare), fatta del lavoro di solisti del ricamo contesi dalle corti e di centinaia di donne che, negli interstizi fra una maternità e l'altra, ricamavano le palmette di contorno al grande motivo ornamentale eseguito dai ricamatori professionisti.
Per secoli non ci si è occupati dei tessuti (in Italia solo dagli anni Settanta-Ottanta del Novecento) ma ora il clima è cambiato e la Regione Emilia-Romagna, con l'IBC, può rivendicare il fatto di essere stata fra le prime a intraprendere una politica di interesse e di cura. Un primato del genere va sottolineato riguardando un settore nel quale non era facile ottenere riconoscimenti e fare accorrere le masse. Esporre tessuti - non dico pianete o pizzi, che effettivamente hanno un certo appeal, ma frammenti di velluti o di veli - richiedeva pazienza, competenza e passione, spesso senza immediato riscontro.
Il libro muove dai rinvenimenti archeologici che hanno portato alla luce tessuti risalenti al Paleolitico, visibili al Museo della preistoria di San Lazzaro di Savena (Bologna). Da corredi funerari femminili della necropoli villanoviana sono venuti alla luce strumenti per filare: un'attività squisitamente femminile che è stata per secoli un impegno e insieme una condanna (più che filare la donna non poteva fare, nemmeno alla fine del lungo periodo medievale). Dai rinvenimenti di tessuti e di strumenti nelle necropoli villanoviane di Verucchio (Rimini), e dai filati dell'antica Roma, si arriva a elementi di tessuto in fili d'oro rinvenuti in una necropoli longobarda di Spilamberto (Modena) e risalenti tra la fine del VI e la metà del VII secolo. Dunque è certo: i rozzi longobardi ricorrevano al filo d'oro e incredibilmente esistevano bottoncini d'ambra secoli e secoli prima dell'invenzione dei bottoni, che risale indicativamente al XIII-XIV secolo.
Dal filo d'oro si può passare al filo di seta che dalla Cina, dove era in uso da tempo, raggiunge Bisanzio all'epoca di Giustiniano. A Ravenna, al Museo archeologico, sono esposti tessuti operati in seta con leoni incorniciati entro ruote poderose e suggestive. Nel 2002, a Nonantola (Modena), sono stati ritrovati tessuti risalenti all'VIII-IX secolo, realizzati a Costantinopoli: sciamiti ricamati con leoni, cervi e lepri che costituiscono parti di discorsi complessi fatti attraverso colori e immagini che simboleggiano speranza di salvezza ma anche fecondità: significati per noi difficili da cogliere, ma forse nitidi agli uomini di quei secoli, capaci di leggere quelle pagine non scritte.
I secoli dell'ultimo Medioevo e della prima modernità ci hanno consegnato pianete e paliotti, oggetti propri della liturgia ma anche abiti maschili e femminili, oggi visibili alla Galleria "Anna e Luigi Parmeggiani" di Reggio Emilia alla quale indirizzo i miei studenti di Storia del costume e della moda per vedere da vicino gipponi e andrienne, scarpette e piccole borse miracolosamente scampate all'incuria e al rosicchiamento dei ratti. Questi oggetti oggi sono in grado di suscitare qualche emozione e un po' di sorpresa là dove, da parte di disegnatori attuali, si registra una palese copiatura di modelli del Sei o del Settecento: a riprova dell'utilità della storia anche come grande contenitore di idee da ripescare e a dimostrazione di come molto di quello che oggi ci appare nuovo e moderno è tale solo agli occhi di chi non conosce gli antecedenti.
Il volume dà conto delle importanti collezioni della regione, quella di antichi tessuti del Museo nazionale di Ravenna, la già citata "Gandini" del Museo civico d'arte di Modena, le raccolte dei Musei civici d'arte antica di Bologna, la Galleria "Parmeggiani" di Reggio Emilia di cui s'è detto, la raccolta bolognese del Museo della tappezzeria del cavalier Vittorio Zironi, per menzionarne solo alcune fra le principali (delle minori si dà conto in una serie di utilissime schede compilate città per città). Il discorso - che interessa quanti di noi si occupano di tessuti, di arredi o di abiti, di vesti per la liturgia o di tessili della cultura ebraica - rimbalza da una sede all'altra, cresce grazie a confronti resi possibili da quanti hanno saputo trovare e conservare, schedare e analizzare, restaurare ed esporre piccoli frammenti o immensi arazzi (Marta Cuoghi Costantini dedica uno specifico saggio alla grande stagione dell'arazzo): capolavori che troppo spesso sono stati considerati sfondo o contorno o frutti di un'arte minore.
Anche se, in realtà, gli arazzi godettero di grande considerazione nei secoli dell'età moderna, oggi, come si diceva, c'è più attenzione anche per i protagonisti secondari: per i copriporta rapidamente scansati quando l'illustre personaggio entrava in scena e non menzionati nei libri d'arte, per le coperture di sedie ricamate con vedute di marine, per gli abiti dai lunghi strascichi o per le madonne vestite. E se all'occhio che oggi appare più attento è consentito il godimento di addobbi di colonne, di rivestimenti e di cofani-scrittoi che consentono di immaginare meno astrattamente la vita degli uomini e delle donne che li vollero e li realizzarono, è perché molti hanno lavorato e lavorano per individuare e salvare questi oggetti: non necessariamente grandi capolavori ma sempre importanti testimoni.
L'IBC con questo libro ha voluto ricordare a tutti che il tessuto della grande storia è fatto di tanti fili sottili intrecciati fra loro, esattamente come il più umile pezzetto di stoffa d'epoca etrusca riemerso dopo una campagna di scavo, o come una delle lucenti pianete conservate nelle chiese di Modena o di Reggio Emilia. Si può ricostruire la storia anche seguendo il filo dei fili di tessuto. Oggi la strada è accessibile a tutti, non resta che percorrerla.
Nota
(1) Si veda in proposito: M. Cuoghi Costantini, I. Silvestri, L'ordito dei secoli, "IBC", XIV, 2006, 1, pp. 26-29.
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