Rivista "IBC" XIV, 2006, 2
musei e beni culturali / pubblicazioni
Correva l'anno 1511. Dall'alto della sedia gestatoria, Giulio II visitava con solenne processione la Collegiata di Pieve di Cento, situata ai confini del territorio sul quale, cacciati i Bentivoglio, spaziava incontrastato il dominio della Santa Sede. "Li preti della Pieve" gli si facevano incontro innalzando, "cun la sua croce", la più antica testimonianza del patrimonio plastico locale giunta sino a noi.
Comincia qui la vicenda della scultura dell'ambito centese, con il Crocefisso di Santa Maria di Pieve eseguito da un ignoto intagliatore padano che si esprimeva, tra XIV e XV secolo, nei modi tipici del vernacolo popolare. Una vicenda spesso all'insegna della policromia e che comunque ricordava, ripetendole talvolta fino al Settecento, le espressioni umanissime e colorate di un'epoca al tramonto, sopravvissuta nel realismo "patetico" delle "Marie sterminatamente piangenti" di Niccolò dell'Arca o dei gruppi veristici di Guido Mazzoni: il naturalismo di forte impatto "viscerale" rafforzato in Emilia come altrove dall'iconografia riformata del cardinal Paleotti, e tradotto in scultura con segni violenti.
Come accadeva, del resto, nell'intaglio oltralpino e nello stucco, fino a epoche inoltrate. Lo stesso capitava a Cento, dove l'esperienza del sacro passava attraverso Santi policromi e Addolorate in vesti sontuose. Opere ingenue e da sembrare in cartapesta, finalizzate ad apparati d'occasione ma nondimeno di qualità elevata e di profonda suggestione religiosa. Lo stesso Angelo Piò, protagonista del barocchetto bolognese e autore di candidi olimpi in stucco per gli scaloni nobiliari, modellava per San Lorenzo a Casumaro una Madonna del Rosario variopinta, destinata a funzioni processionali, mentre un toccante patetismo esprimevano le statue colorate, in legno e creta, con le quali il centese Filicori estendeva alla metà dell'Ottocento le cromìe tradizionali, in questo preceduto, tra Sei e Settecento, da Filippo Porri, Giulio Giuliani, Cesare Tiazzi e dal Collici napoletano.
Presenza "straniera" quest'ultima, in ambito padano, dove peraltro già dal Cinquecento si alternavano maestranze veneziane e ticinesi. Da artisti tedeschi, inoltre, erano stati eseguiti ancor prima per le confraternite centesi celebri manufatti, confluiti nel patrimonio civico locale: la Madonna col Bambino di provenienza renana (Pieve di Cento, Pinacoteca civica), e il Vesperbild tedesco (secolo XV) della Pinacoteca di Cento, opere realizzate da maestranze sconosciute, cui si affidava la devozione del contado subito tradotta in un'immaginazione plastica popolare.
Con ciò, non fu esclusa dal territorio la produzione più aulica e aristocratica della scultura monocroma. Già dal XV secolo, quando a Cento si venerava il Presepe del padovano Bartolomeo Bellano (Cento, chiesa dei Santissimi Sebastiano e Rocco), ispirato a uno stucco di ambito donatelliano oggi al Museo Bardini di Firenze, e da metà Seicento, con il celebre Autoritratto di Marcello Provenzali (Cento, Collegiata di San Biagio, 1639), romaneggiante e memore dei "moti d'animo" berniniani ammirati dal mosaicista centese quando collaborava con Alessandro Algardi nella capitale. Di scena poi, nel Settecento, i bolognesi: Giuseppe Mazza, Angelo e Domenico Piò, i due Toselli, sino alle Muse di Giacomo Rossi, nello scalone di palazzo Tavecchi, per arrivare ai gruppi plastici ottocenteschi di Stefano Galletti, nella Pinacoteca di Cento e nel Cimitero comunale.
Da questa vicenda artistica peculiare, negletta, prima d'ora, dalla storiografia locale - complice, nel caso, la grande ombra proiettata sulle altre arti dall'autorevole figura di Guercino - prende le mosse la pubblicazione Sculture a Cento e a Pieve tra XV e XIX secolo. Promosso dal Centro studi "Girolamo Baruffaldi" e dall'Associazione imprenditori centesi per la cultura, il volume si avvale del contributo di studiosi e di esperti di settore impegnati a raccontare, attraverso un excursus riccamente illustrato, il percorso delle arti plastiche nel territorio. Una ricerca completa ma anche un censimento, che ha portato a scoperte nuove e interessanti, svelando un patrimonio non ancora debitamente conosciuto. Curato da Lorenzo Lorenzini, e introdotto da Timothy Verdon, noto esperto d'arte sacra, il libro ripercorre la storia della scultura nell'ambito locale, riletta, nel più ampio inquadramento nell'area padana, da Alessandra Sarchi e da Stefano Tumidei, specialista di scultura secentesca, da Tiziana Contri, per quanto riguarda il serrato dialogo tra plasticazione e architettura nell'età barocca, e da Luciano Rivi, cui si deve la puntualizzazione della presenza centese alle Esposizioni universali.
Sculture a Cento e a Pieve tra XV e XIX secolo, a cura di L. Lorenzini, Cento (Ferrara), Associazione imprenditori centesi per la cultura, 2005, 207 p., s.i.p.
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