Rivista "IBC" XIII, 2005, 4

biblioteche e archivi / convegni e seminari, didattica, interventi, pubblicazioni

Un'équipe di storici ha indagato sulla qualità dei siti web italiani dedicati alla storia del nostro tempo: il volume IBC che sintetizza i risultati della ricerca è lo spunto per nuove domande e nuovi confronti.
La storia ai tempi della rete / 1

Rolando Minuti
[docente di Storia moderna all'Università di Firenze]
Patrizia Vayola
[Laboratorio nazionale di didattica della storia, Bologna]
Isabella Zanni Rosiello
[già direttrice dell'Archivio di Stato di Bologna e membro del Consiglio direttivo dell'IBC]

Il 7 giugno 2005 il Dipartimento di discipline storiche dell'Università di Bologna ha ospitato una giornata di studio durante la quale è stato presentato il volume La storia a(l) tempo di Internet. Indagine sui siti italiani di storia contemporanea (2001-2003). La pubblicazione - curata da Antonino Criscione, Serge Noiret, Carlo Spagnolo e Stefano Vitali per l'edizione congiunta dell'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna e dell'editore bolognese Pàtron - è il frutto di una ricerca condotta da un affiatato gruppo di ricercatori con il sostegno della Soprintendenza regionale per i beni librari e documentari. Proponiamo qui l'intervento di tre dei partecipanti alla giornata seminariale: il contributo di Patrizia Vayola - autrice di uno dei saggi contenuti nel volume, insegnante e membro del consiglio direttivo del Laboratorio nazionale di didattica della storia - dedicato alla memoria di uno dei curatori, scomparso prima della pubblicazione; le considerazioni di due degli studiosi che hanno animato la discussione sul merito della ricerca: Rolando Minuti, docente di Storia moderna all'Università di Firenze, e Isabella Zanni Rosiello, già direttrice dell'Archivio di Stato di Bologna.

 

In ricordo di Antonino Criscione

Antonino Criscione, Nenè per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, era un insegnante delle scuole superiori. Un insegnante ricercatore di storia nella accezione che lui stesso aveva definito su Novecento.org, il sito di didattica dell'Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, di cui, tra le altre cose, si occupava ( www.insmli.it). Scrive Nenè nel saggio Per una comunità virtuale di docenti-ricercatori di storia pubblicato su quel sito:

 

Per definire chi siano i "docenti-ricercatori" di storia occorre chiarire che qui si fa riferimento alla ricerca didattica, che è cosa diversa dalla ricerca scientifica. Essa infatti ha come oggetto le attività di mediazione didattica che governano i rapporti tra tre entità distinte: l'insegnante di storia; le conoscenze e le concettualizzazioni prodotte dalla storiografia; i bisogni di conoscenza e di formazione presenti tra gli studenti. L'insegnante-ricercatore di storia è prima di tutto uno specialista dell'apprendimento; lo specifico del suo lavoro consiste nello sperimentare strategie efficaci per la promozione di conoscenze e competenze proprie del sapere storico. Più che la "didattica" della storia, e cioè che cosa e come insegnare, a questo tipo di insegnante interessa la "matetica" della storia, e cioè che cosa sia l'apprendimento di storia, quali operazioni lo possano favorire, quali strutture e quali regole della disciplina siano principalmente coinvolte in queste operazioni, ecc.

 

Nella sua analisi Nenè partiva dalla crisi del paradigma didattico tradizionale determinata dalle trasformazioni che aveva subìto il modo di pensare alla storia, di trasmetterla e di recepire il rapporto con il presente da parte dei suoi destinatari a scuola, gli studenti. Di fronte a questa crisi, la prospettiva che egli indicava era quella di accettare la sfida delle trasformazioni e di lavorare per adeguare l'offerta di storia che la scuola propone agli studenti al mutato clima sociale, culturale, politico il quale produce, nei giovani, la percezione che la storia, quella tradizionalmente trasmessa dalla scuola, non serva a capire il presente, la cui complessità rischia di lasciare disorientati e privi di strumenti di decifrazione.

Da questo punto di vista il doversi misurare con le nuove tecnologie diventava essenziale per il docente, perché da una parte gli consentiva di piegare a fini didattici le potenzialità cognitive che i nuovi media mettevano a disposizione, con particolare riferimento al nuovo approccio non sequenziale alla conoscenza offerto dall'ipermedialità, dall'altra gli poneva la necessità di prendere atto della progressiva perdita di centralità della scuola come agenzia formativa e lo induceva a confrontarsi con le nuove modalità del parlare di storia dei media e di Internet in particolare. Da qui i due filoni, tra loro comunque significativamente connessi, di riflessione e di ricerca, in relazione ai quali Nenè ha offerto, grazie alla sua lucidità e anche alla sua creatività, contributi davvero significativi.

Riguardo al rapporto tra storiografia e ipertesto Nenè segnalava come questa nuova modalità di organizzazione della conoscenza potesse essere percepita come apparentemente conflittuale con la storiografia, perché la perdita della sequenzialità faceva vacillare la tradizionale organizzazione della struttura argomentativa del testo storiografico.1 Il fatto, inoltre, di presentarsi come struttura aperta e potenzialmente onnicomprensiva, metteva in discussione i tradizionali criteri di selezione/esclusione/inclusione di temi e fonti. Ma, come ci dice Nenè, il problema è solo apparente e dipende dalla difficoltà di ristrutturare le modalità con cui si pensa al testo di storia.

Egli parte dalla considerazione che le tecnologie digitali potenziano le possibilità di azione dell'utente, e sulla scorta delle riflessioni di Berners Lee parla di intercreatività, e, conseguentemente, di ridefinizione del concetto di autorialità determinata dall'allargamento del margine di manovra dell'utente, che diventa autore del proprio percorso all'interno dell'architettura organizzata dall'emittente. Da ciò derivano due conseguenze molto importanti. Da una parte la storiografia ha in mano uno strumento che consente il passaggio dall'organizzazione del testo storiografico come narrazione a quella del testo inteso come problematizzazione, in grado di restituire con maggiore efficacia la complessità dell'organizzazione del discorso storico; dall'altra la costruzione del senso non è affidata soltanto al testo ma anche all'architettura che lo organizza, per cui il significato non risiede soltanto nei singoli nodi di contenuto ma si realizza pienamente nel movimento del fruitore attraverso i link.

Dunque il montaggio diventa il principio centrale dell'architettura perché fa convivere diversi livelli di profondità di navigazione e restituisce la multidimensionalità del testo storiografico nella complessità di spazi, tempi, interazioni tra soggetti, tra culture e così via, e quindi, potenzialmente, fornisce non solo la consequenzialità delle argomentazioni dello storico intorno alla sua tesi interpretativa, ma anche il suo metodo di ricerca, il suo lavoro preparatorio. E questo può avere significative implicazioni anche sul piano didattico.

Ma se tutto questo è vero, se effettivamente l'utilizzo di una organizzazione ipertestuale mette in gioco una ipercreatività che incentiva la partecipazione del fruitore e quindi, sul piano didattico, può avere effetti motivanti rispetto all'approccio degli studenti alla disciplina, perché li rende coautori di senso e non semplici ripetitori di una trasmissione manualistica e piatta della storia, cosa succede se gli ipertesti, e in modo particolare i siti di storia così consultati dagli studenti, non rispondono ai requisiti di scientificità che sono invece assodati per la storia-libro?

Da questa domanda parte la riflessione di Nenè sull'uso pubblico della storia nei nuovi media. Riflessione che, insieme al ragionamento sulla struttura comunicativa dei siti è stata il fuoco centrale della ricerca che abbiamo realizzato e della quale il volume La storia a(l) tempo di Internet restituisce i risultati. L'analisi parte dalla constatazione che c'è una grande diffusione di siti che in un modo o nell'altro parlano di storia e mette in relazione questo fenomeno da una parte con una ripresa di interesse per la storia - in una fase in cui fenomeni di grande portata, dalla caduta del muro di Berlino, all'11 settembre e alle guerre conseguenti, suscitano domande nuove di interpretazione del presente - e dall'altra con la diffusione dei nuovi media e con l'allargamento degli utenti reali di questi mezzi di comunicazione. Questo fa sì che Internet, e in particolare il web, divengano luogo di diffusione di nuove modalità di uso pubblico della storia.

Nella sua riflessione su questo tema, Nenè parte dalla definizione che di uso pubblico dà Habermas nel suo libro Storia e critica dell'opinione pubblica.2 Come si ricorderà, il filosofo tedesco contrappone alla sfera privata di ciascun individuo una sfera pubblica che, tra Settecento e Ottocento rappresenta il luogo del confronto tra le classi che si svolge anche attraverso i media di allora: libri e giornali. I media attuali, e Internet in particolare, ripropongono, in versione più virtuale e delocalizzata, lo stesso contesto di confronto. Quel contesto, la sfera pubblica, è il luogo in cui si realizza, allora come ora, l'uso pubblico della storia, inteso come riflessione sul rapporto tra passato, presente e futuro della comunità.

Dunque l'uso pubblico della storia è in qualche modo connaturato con la sfera pubblica ma il problema si pone quando, come dice Habermas, chi riflette, piuttosto che parlare di storia in terza persona, ne parla in prima persona, cioè spaccia come storia un punto di vista ideologico e non scientifico, senza che la rete e i suoi fruitori (si pensi agli studenti) abbiano in mano le avvertenze critiche e gli strumenti di decodifica necessari per cogliere le differenze tra uso pubblico onesto o disonesto della storia nel web.

Proprio da questo tipo di riflessione si è avviata la ricerca pubblicata ne La storia a(l) tempo di Internet, nata da uno scambio di messaggi sui siti negazionisti, svoltosi all'interno della lista di discussione del sito della Società italiana per lo studio della storia contemporanea ( www.sissco.it). A partire dall'idea di censire e di analizzare le modalità di approccio alla storia di questi siti si è buttata giù la prima bozza di progetto, che poi ha allargato il suo ambito di ricerca all'analisi del modo in cui è affrontata la storia del Novecento nei siti italiani. Naturalmente era impossibile sondare tutto l'universo dei siti e quindi sono stati utilizzati dei criteri di selezione incrociando alcune scelte tematiche (fascismo/antifascismo, olocausto, terrorismo, storia militare e storia delle donne) con altre che invece centravano l'attenzione sui soggetti produttori (partiti, riviste, istituzioni storiche, archivi, organi istituzionali, scuole).

Definito l'ambito si è trattato di costruire la scheda di analisi. Anche in questa fase l'apporto di Nenè è stato essenziale perché, con la generosità che sempre ha contraddistinto il suo modo di essere, ha messo a disposizione del gruppo di lavoro le sue riflessioni e le sue competenze sui valori semantici della struttura ipertestuale. Il suo apporto nel chiarire come si dovessero intendere e interpretare le metafore sottese all'organizzazione di un sito, le sue spiegazioni sul valore di significato che la struttura e l'organizzazione delle pagine comportava, sugli aspetti grafici dell'interfaccia, sugli strumenti di interazione con gli utenti, sono stati indispensabili per tutti noi.

Il suo schema sugli spazi logici, frutto del tentativo di chiarire le idee a chi nel gruppo aveva difficoltà a comprendere l'importanza che la struttura determinava nell'interazione coi contenuti, è rimasto per noi proverbiale. E la sua scomparsa ha colpito tutti noi profondamente, non solo me che lo conoscevo da anni e che avevo diviso con lui già altre esperienze di lavoro, ma anche quelli, nel gruppo, che lo avevano conosciuto di meno e per meno tempo, perché la sua modestia e la sua profondità, le sue qualità umane e la sua ironia, lo spessore del suo impegno umano e civile emergevano chiari per poco che si avesse a che fare con lui.

Rileggendo pochi giorni fa il saggio sull'insegnante ricercatore che citavo all'inizio, ho ritrovato anche la citazione che Nenè aveva tratto da L'uomo senza qualità di Robert Musil e che aveva dedicato a tutti gli insegnanti che si pongono il problema del come e del perché insegnare storia alle nuove generazioni. Rileggendola, mi è sembrato che parlasse proprio di lui ed è per questo che ora gliela dedico:

 

Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il fatto che gli stipiti sono duri: questa massima alla quale il vecchio professore si era sempre attenuto è semplicemente un postulato del senso della realtà. Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev'essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, a esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe, o dovrebbe accadere la tale o talaltra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com'è, egli pensa: be', probabilmente potrebbe anche essere diversa. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe ugualmente essere, e di non dare maggiore importanza a quello che è, che a quello che non è. [...] Un'esperienza possibile o una possibile verità non equivalgono a un'esperienza reale o a una verità reale meno la loro realtà, ma hanno, almeno secondo i loro devoti, qualcosa di divino in sé, un fuoco, uno slancio, una volontà di costruire, un consapevole utopismo che non si sgomenta della realtà bensì la tratta come un compito e un'invenzione.3

 

[Patrizia Vayola]

 

La Storia a(l) tempo di Internet: due voci dalla tavola rotonda

I motivi di interesse e le sollecitazioni di riflessione che produce la ricerca di cui siamo stati chiamati a discutere sono indubbiamente molteplici. Una prima considerazione di carattere generale credo che investa complessivamente il problema della dilatazione delle "risorse" fruibili in Internet nel corso degli ultimi anni e, in particolare, la molteplicità di informazioni di interesse variamente storico che è possibile reperire e che rende ormai il web, soprattutto per chi lo usa a fini di studio e di ricerca, uno strumento che possiamo legittimamente qualificare come insostituibile.

Il solo reperimento dell'informazione bibliografica, la possibilità di accesso a notizie sulle attività di ricerca in corso, la quantità crescente di documentazione digitalizzata presente in rete - per richiamare sommariamente solo alcuni aspetti di un panorama molto articolato - sono sufficienti a far considerare il web non solo un alleato efficace della ricerca condotta con metodi e strumenti tradizionali, ma oggettivamente un punto di riferimento primario. Il potenziamento della tecnologia dei motori di ricerca, e l'efficacia, per esempio, della pratica del "googling" per giungere immediatamente a qualche tipo di risposta ai più diversi interrogativi e per le più varie curiosità, hanno profondamente caratterizzato lo sviluppo recente della rete e ne hanno in certo modo consolidato quel volto di enciclopedia o biblioteca universale costantemente a portata di mouse, che sin dalle origini del web si era presentato come un suo carattere distintivo e per molti aspetti rivoluzionario.

Ciononostante, e al di là della soddisfazione con cui è consentito assistere al potenziamento progressivo della quantità di "risorse" che la rete offre e che investono direttamente il mestiere dello storico, permangono interrogativi ed esigenze che è opportuno vedere con chiarezza, non solo per non essere indotti a pensare che veramente la transizione dal mondo cartaceo all'universo digitale sia già compiuta in modo integrale e armonioso, ma soprattutto per offrire indicazioni operative, criticamente avvertite e responsabili, agli sviluppi di questa transizione, che è legittimo ritenere come un percorso non suscettibile di inversione.

L'estensione della quantità di informazione, in sintesi, non risolve i problemi che derivano dal suo controllo, e immediatamente dopo la constatazione della maggiore facilità con cui è possibile giungere a risposte, emergono, in un contesto proprio del mestiere di storico, esigenze di ordine, di autorevolezza, di stabilità, che non sempre, allo stato attuale, la rete consente di vedere soddisfatte. Per questo motivo indagini e monitoraggi come quelli che stanno alla base del volume di cui parliamo risultano importanti, così come i tentativi di giungere a una identificazione più chiara della natura delle "risorse" - termine assai scivoloso nella sua genericità - e del loro livello di affidabilità.

Intorno al concetto di "valutazione" delle risorse in rete - su cui si sofferma in particolare il contributo iniziale di Carlo Spagnolo e Stefano Vitali - si è sviluppato un fronte complesso di iniziative e un significativo livello di attenzione, che rivela sicuramente aspetti disomogenei e in parte ambigui. Poter offrire indicatori oggettivi della qualità e dell'interesse di un documento, presentato all'interno di un sito web, risulta pressoché impraticabile se svincolato dagli interessi specifici e dai problemi di una ricerca, ed è consuetudine corrente per chi usa la rete a fini di ricerca recuperare informazioni di grande utilità all'interno di siti di debole qualità complessiva. Ma l'indicazione di criteri uniformi di valutazione che riguardano i contenitori, e che investono non tanto i contenuti specifici quanto la forma e l'ordine della loro organizzazione, la loro identificabilità, le loro condizioni di permanenza, non è affatto inutile per stabilire quel circuito di affidabilità che mi pare rappresenti tuttora un'esigenza molto sentita, e che la quantità di informazione e la facilità del suo recupero non consente affatto di soddisfare, producendo spesso, al contrario, disorientamento e insofferenza. Ho avuto modo in altre occasioni di insistere sul fatto che proprio nei concetti di ordine, autorevolezza e stabilità sia da vedere un aspetto di grande importanza nello sviluppo dell'interazione armonica tra le esigenze della didattica e della ricerca storica e lo sviluppo dell'informazione in rete. Non si tratta, in altri termini, di costruire nel web delle griglie costrittive che eliminino la diversificazione delle voci e la molteplicità dei soggetti che partecipano alla crescita complessiva dell'informazione in rete, ma di cercare piuttosto strumenti utili all'individuazione di obiettivi, di metodi, di condizioni di fruibilità di "risorse", e a un loro possibile ordinamento.

Mi pare che soprattutto dal punto di vista didattico - su cui sollecita l'attenzione il contributo di Patrizia Vayola4 - questa esigenza assuma una rilevanza prioritaria. Se infatti l'esperienza e il metodo di lavoro propri di uno studioso esperto gli consentono di valutare autonomamente qualità e rilevanza dell'informazione utile all'approfondimento dei propri temi di indagine, diverso è oggettivamente il contesto che caratterizza l'uso di Internet da parte di studenti delle scuole secondarie e in parte di quelli universitari. La pratica del saccheggio di informazioni dal web, per la confezione di relazioni e tesine, sta divenendo infatti un costume che non mi pare riceva un'attenzione critica adeguata, e rispetto al quale ci si limita troppo spesso all'accettazione passiva dell'inevitabilità, che da un lato mette in luce la troppo debole percezione della rilevanza che il web sta assumendo nel contesto della cultura giovanile, dall'altro evidenzia limiti significativi della consapevolezza di quanto il web potrebbe essere utile per lo svolgimento di un'attività didattica conforme alle dinamiche culturali della contemporaneità.

Su un altro versante, il problema delle riviste elettroniche - che costituisce l'oggetto dell'interessante intervento di Carlo Spagnolo5 - offre motivi rilevanti di riflessione su come la comunicazione storica vada mutando con lo sviluppo della rete, e implica considerazioni non banali rispetto a uno dei temi di discussione che ci sono stati proposti, ossia al fine di valutare se l'uso di Internet abbia già determinato modalità di scrittura della storia e forme di comunicazione diverse rispetto alla tradizione. L'importanza della comunicazione dei risultati della ricerca attraverso la rete, e conseguentemente il rilievo delle riviste elettroniche - un termine mutuato dalla tradizione cartacea che risulta per molti aspetti limitativo delle potenzialità del web - sono un dato che ritengo incontestabile, nonostante la permanenza di ritardi importanti soprattutto dal punto di vista giuridico; ritardi che costituiscono la ragione fondamentale della ancora non piena equivalenza tra riviste cartacee e riviste elettroniche e di uno sviluppo di queste ultime ancora non pienamente conforme ai vantaggi considerevoli che la comunicazione telematica comporta. Tuttavia, come l'esperienza della direzione di una rivista come "Cromohs" ci ha consentito di verificare ( www.cromohs.unifi.it), non è nella trasformazione delle modalità di scrittura e di presentazione, e tanto meno nel mutamento dei metodi e dei criteri di produzione del contributo scientifico che possiamo individuare la ragione principale dell'affermazione e del consolidamento delle riviste elettroniche. Vale piuttosto il contrario, ossia la possibilità di vedere riprodotte nel web quelle stesse tecniche e metodologie di lavoro e di comunicazione proprie della tradizione storiografica, ed è questo che ci pare abbia determinato un progressivo riconoscimento di affidabilità e di qualità.

A mio parere questo non costituisce un limite, bensì la dimostrazione del fatto che una pratica storiografica consolidata da una tradizione culturale complessa non risulta agevolmente sostituibile in relazione a un orizzonte di possibilità tecnologiche in espansione. I termini del rigore filologico, del controllo delle fonti e della presentazione di tutti gli strumenti utili alla verifica per chi intenda valutare il contenuto di una determinata ricerca restano, in rapida sintesi, requisiti essenziali del rigore di una ricerca, e se il loro mantenimento determina un controllo, e anche una limitazione, delle possibilità consentite dalla rete, questo non mi pare che debba essere inteso come un ritardo o un difetto. Alla base della possibilità di un appannamento dell'autorità dello storico - conseguente a uno scivolamento acritico verso forme di scrittura continuamente in divenire, collettive, anonime, decontestualizzate - non sta in altri termini l'inevitabilità dello sviluppo della rete, quanto piuttosto una percezione inadeguata delle possibilità e delle condizioni di un suo controllo, finalizzato agli obiettivi che sono propri della comunicazione del discorso storico. Il fatto che nuove forme di scrittura costituiscano un aspetto importante della cultura e del deposito della memoria contemporanea è innegabile - il fenomeno dei blog rappresenta sicuramente, a questo proposito, un versante di particolare interesse -, ma mi pare del tutto improprio vedervi l'unico esito possibile dell'interazione tra cultura storica e sviluppo del web.

Un'interazione che - se valutata con la consapevolezza che deriva dalla chiarezza degli obiettivi - consente di potenziare e non di corrodere i termini di rigore, di verificabilità e di comunicabilità del discorso storico in tutte le sue forme e con tutta la straordinaria ricchezza di supporto documentario che la rete consente. Credo che sia questa la direzione operativa che dovrà guidare l'attenzione degli storici nei confronti del web nel prossimo futuro, inducendoli a prestare particolare attenzione tanto alla stabilità, alla conservazione, e alle modalità di interrogazione della documentazione storica disponibile in rete, quanto all'educazione a un suo uso consapevole da parte soprattutto delle generazioni più giovani, la cui maggiore dimestichezza con la strumentazione informatica risulta spesso drammaticamente distante dalla coscienza del significato del termine "documento", e dalla necessità di stabilire nei suoi confronti un rapporto critico.

[Rolando Minuti]

 

Nella lettera-invito a partecipare alla tavola rotonda della giornata di studi dedicata al volume La storia a(l) tempo di Internet erano indicati determinati punti su cui discutere. Mi sono sembrati interessanti; li terrò perciò in linea di massima presenti, nella consapevolezza che le mie osservazioni al riguardo saranno in alcuni casi appena abbozzate, in altri del tutto lacunose.

Si chiede innanzitutto un parere di carattere generale sul libro di recente pubblicato dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari. Premetto che so un po' di storia, ma poco di web. Sono quindi, tra gli invitati a partecipare alla tavola rotonda, la persona meno adatta a discuterne. Ma è anche vero che abbiamo tra le mani un libro cartaceo, un oggetto tutto sommato "tradizionale", che può quindi essere esaminato in modo altrettanto "tradizionale". A un primo sguardo, a partire dal titolo che è senz'altro molto felice, ma soprattutto dopo un'attenta lettura dei saggi che lo compongono, direi che il libro merita non pochi apprezzamenti. Soprattutto perché per quanto riguarda il mondo virtuale sono stati lasciati da parte sia irritanti esaltazioni, sia altrettanto irritanti scetticismi di maniera; vengono invece posti problemi concreti e avanzate meditate riflessioni sulla tipologia, sulla quantità e qualità dei materiali di vario tipo presenti in rete. Si è inoltre cercato di raggiungere gli obbiettivi che ci si proponeva di perseguire. E cioè - come si legge nell'introduzione - "saggiare alcuni aspetti dell'uso della rete come canale di trasmissione della memoria e di comunicazione della storia", nonché "proporre dei criteri orientativi per decostruire i siti di storia, leggerne criticamente l'impostazione metodologica, i codici comunicativi e i materiali offerti; in secondo luogo offrire una rassegna ragionata di una parte consistente dei siti italiani di storia contemporanea; e infine trarre dai materiali empirici accumulati anche una prima, seppur parziale, valutazione dello stato della storia contemporanea in Rete".6

Altro punto oggetto di possibile discussione è: "Internet, già strumento di rivendicazione di memorie e identità locali e/o specifiche, sta diventando anche uno dei canali di riscrittura della storia nazionale?". Come si vede il periodo è costituito da un'affermazione e da un interrogativo. Quanto all'affermazione è evidente che essa non è da intendere in modo apodittico. Sul web sono presenti non pochi siti che vedono protagoniste "identità resistenziali" come le definisce Manuel Castells e cioè identità di genere, movimenti no global, forme di nazionalismo etnico e anche una pluralità variopinta di soggetti produttori di documentazione di vario genere e di individui interessati a ricerche sulle proprie origini familiari, sulle memorie locali comunitarie, eccetera. Sembra esserci insomma una sorta di "protagonismo" da parte di chi protagonista non è stato o di chi - per una infinità di ragioni - non si è visto riconoscere un ruolo, un peso, un'importanza tali da essere in qualche modo "ricordato".

Ma sul termine-concetto di "identità", individuale o collettiva che sia, bisognerebbe fermarsi a riflettere. Ognuno di noi ha tante sfaccettature di identità, come annota per esempio Tomás Maldonado nel suo recente Memoria e conoscenza,7 la tecnologia informatica serve a recuperarle, ma diventa anche uno strumento di controllo sulla privacy, che a sua volta riguarda anche la sfera "pubblica". Direi che il concetto di "identità" può essere utile quando si affrontano determinate problematiche, purché non si dimentichino i suoi diversi significati, non scevri fra l'altro da ambiguità, e purché si tenga presente che nel parlare di "identità non si intende parlare di una 'unità-totalità indifferenziata'", ma la si concepisce come "la risultante di processi complessi".8 L'identità non è cioè una categoria statica, immobile, ma implica processi in continuo mutamento: con essa gli individui e i gruppi e le comunità si riconoscono, ma entrano anche in contraddizione e in conflitto; essi vivono cioè la ricerca delle loro rispettive radici identitarie come segno di appartenenza, ma anche come un tratto peculiare che occorre continuamente scrollarsi di dosso per confrontarsi con altre "identità".

Quanto all'interrogativo che ho sopra ricordato, mi verrebbe da rispondere con una sorta di battuta e cioè che un po' tutti ci provano, ma nessuno riesce davvero a far diventare Internet "uno dei canali di riscrittura della storia nazionale". Molti dei saggi contenuti nel volume mi sembrano confermarlo. Mi limito a gettare un rapido sguardo su due di essi. A un certo punto del saggio di Giovanni Focardi (Le istituzioni: organi costituzionali, amministrazioni e altri enti) si legge per esempio che "il web non è tuttora di grande aiuto a chi voglia studiare in una prospettiva diacronica [...le] istituzioni". Infatti "il tempo storico è quasi appiattito sulla cronaca di tipo giornalistico, mancando basi documentali di medio e lungo periodo". Pressoché nessun sito ha caratteristiche storiografiche: "Sono quasi tutti di divulgazione" e "rivolti spesso a un utente non specialistico". La documentazione che viene offerta manca "di riferimenti filologici, di rimandi, di spiegazioni", in generale di contestualizzazioni. In conclusione si ha "l'impressione che i responsabili dei siti, e i loro effettivi curatori, non si siano posti il problema della messa in rete di informazioni di natura storica".9

L'altro saggio che voglio ricordare è quello di Stefano Vitali sugli Archivi e istituti culturali di storia contemporanea. Dall'attento esame sui siti oggetto della sua ricognizione risulta un quadro complesso e disomogeneo a un tempo. La estesa disseminazione degli archivi contemporanei, già evidenziata da altre più tradizionali ricerche al riguardo, viene in questa sede confermata. È vero che Internet può proporsi come "uno strumento in grado di attenuare potenzialmente gli aspetti negativi di questa dispersione territoriale, attraverso la pubblicazione on line di strumenti di ricerca (e, in prospettiva, anche della riproduzione digitale di serie e fondi archivistici) e la possibile confluenza di descrizioni archivistiche all'interno di banche dati condivise", ma è anche vero che "le realizzazioni concrete messe in campo sono ancora limitate". Pertanto, conclude Vitali, si può dire che "lo spazio web italiano conta poche iniziative di descrizione di archivi contemporanei effettivamente di buon livello e in grado di risultare di utilità reale per il ricercatore" e che "Internet stenta [...] ad affermarsi a tutti gli effetti come strumento di comunicazione e produzione culturale ordinario e quotidiano delle istituzioni archivistiche".10

Insomma non mi sembra si possa affermare in tutta tranquillità che sia possibile, utilizzando i materiali presenti nei vari siti Internet, una "riscrittura" della storia, se la si intende fondata su ricerche di prima mano tese a rileggere e interpretare in modo nuovo questo o quello spaccato della realtà passata e ad arricchire la letteratura storiografica sin qui prodotta. Del resto anche Serge Noiret (Storia e memoria nella Rete) annota che "a tutt'oggi non si può dire che Internet abbia rivoluzionato le pratiche professionali degli storici dell'età contemporanea al di fuori della comunicazione di informazioni e [in parte] della sfera documentaria". "È come" - aggiunge - "se il web fosse usato come un nuovo strumento globale di reference, ma non avesse ancora conquistato uno statuto di tecnica ausiliaria della storia, alla pari di altre discipline affini".11

Se però, come risulta da altri saggi del volume, si intende riferirsi alla presenza nel web di un "nuovo" pubblico che mostra di avere "nuove" esigenze e che va alla ricerca di "altri" linguaggi rispetto a quelli più specialistici e tradizionali, allora si può dire che nel web ci siano esempi di nuovi modi di scrivere la storia, anche se essi rimangono quasi sempre al di sotto di prodotti culturali soddisfacenti. E poi di che tipo di pubblico si tratta? Da più parti si dice che non è facile identificarlo. Rimane per lo più anonimo (meno il pubblico dei siti degli istituti scolastici). Si sa peraltro che spesso è composto da cultori di storia "fai da te", da amateurs, da quanti sono alla ricerca delle proprie radici culturali, di determinate identità o di specifiche rivendicazioni politico-ideologiche, eccetera. È bene tenere presente questo tipo di pubblico per le esigenze che manifesta, per l'interesse a sperimentare nuovi modi di comunicare e a usare nuovi linguaggi (di cui fanno parte multimedialità, ipertesto, interazione/interattività, eccetera); è bene, anzi necessario, tener presente questa "nuova" domanda di storia. Non è detto però che "solo comprendendo e catturando almeno parte di queste nuove domande gli storici potranno salvaguardare una incidenza conoscitiva ed esplicativa della loro attività di ricerca".12 Quanto accade nel web, ed è parecchio, non sposta direi più di tanto i problemi connessi allo statuto della disciplina e ai modi di esercitare il mestiere di storico. Così non sarei del tutto d'accordo con chi afferma che "il passaggio a una società dell'informazione mette in questione lo statuto della storia come disciplina specialistica e le sue ambizioni generalizzanti" in quanto la sua "specializzazione crescente" porta necessariamente alla sua "marginalizzazione".13 Ma ovviamente su questo punto la discussione è tutt'altro che chiusa.

Se la presenza nel web di "storie senza storici" sia segno di una più generale crisi del ruolo sinora svolto da mediatori culturali tradizionali come gli storici di professione, è il terzo tema su cui siamo stati invitare a riflettere. Il tema è senz'altro interessante e per essere affrontato in modo serio si dovrebbe far ricorso a concrete esemplificazioni. Mi limito soltanto a osservare, sulla scorta di Antonino Criscione (Ragnatele di storie), che val la pena di ripensare al fatto che "la promessa e l'illusione di un rapporto non mediato con il passato", saltando "le mediazioni di vario genere [...] e le sue tracce costruite nel corso del tempo da archivisti, bibliotecari, ricercatori, studiosi, docenti di storia", finiscono paradossalmente per scontrarsi "con la realtà di un rapporto [...con il passato] necessariamente mediato da una macchina che produce senso attraverso collegamenti, testi, suoni, immagini".14 E poiché la rete offre a chiunque lo desideri la possibilità di mettere in circolazione materiali di vario genere "secondo la propria visione della storia", si stanno verificando alcune tendenze da non trascurare per le implicazioni che comportano: da una certa privatizzazione della storia, a un intreccio stretto e denso di equivoci tra storia e memoria, da una enfatizzazione del proprio personale vissuto, a un positivismo documentario falsamente oggettivo.

[Isabella Zanni Rosiello]

 

Note

(1) A. Criscione, Sopravviverà la storia all'ipertesto?, "Memoria e Ricerca", XI, 2003, 12, www.racine.ra.it/oriani/memoriaer icerca/criscione-ipertesto.htm.

(2) J. Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Bari, Laterza, 2001.

(3) R. Musil, L'uomo senza qualità, Torino, Einaudi, 1972, p. 12.

(4) P. Vayola, La storia contemporanea nei siti delle scuole, in La storia a(l) tempo di Internet. Indagine sui siti italiani di storia contemporanea (2001-2003), a cura di A. Criscione, S. Noiret, C. Spagnolo, S. Vitali, Bologna, Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna - Pàtron Editore, 2005, pp. 145-160.

(5) C. Spagnolo, Riviste elettroniche e portali italiani di storia contemporanea, ibidem, pp. 161-190.

(6) C. Spagnolo, S. Vitali, Introduzione, ibidem, pp. 11-20: 13, 20.

(7) T. Maldonado, Memoria e conoscenza. Sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale, Milano, Feltrinelli, 2005.

(8) L. Sciolla, Identità personale e collettiva, in Enciclopedia delle scienze sociali, IV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1994, pp. 496, 504.

(9) G. Focardi, Le istituzioni: organi costituzionali, amministrazioni e altri enti, in La storia a(l) tempo di Internet, cit., pp. 53-78: 57, 58, 65, 73.

(10) S. Vitali, Archivi e istituti culturali di storia contemporanea, ibidem, pp. 79-104: 97.

(11) S. Noiret, Storia e memoria nella Rete, ibidem, pp. 295-352: 297, 298.

(12) C. Spagnolo, S. Vitali, Introduzione, cit., p. 45.

(13) Ibidem, pp. 43, 44.

(14) A. Criscione, Ragnatele di storie, in La storia a(l) tempo di Internet, cit., pp. 353-373: 367, 368.

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